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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
Aprile 2008

28 aprile 2008
ODE

Ti cerco, e so che sei lì.
A volte rimango affascinato dal tuo colore, così vivace, così leggiadro. A volte rimango affascinato dalle sfumature che sembrano attraversarti mentre provo ad osservarti da angolature sempre differenti, sotto la luce di un giorno oramai alla fine di se stesso. A volte penso che la primavera in persona non sia altro che una rappresentazione di tutto il calore che trasmetti, come se tu fossi un piccolo prato fiorito nel mezzo del grigio apatico di una metropoli strisciante e multiforme.
Ti cerco, e so che sei lì.
Mi hai tenuto compagnia fin da quando ero piccolo, e so che non potrebbe essere altrimenti. Non riesco proprio ad immaginare la mia vita senza di te. Mi hai accompagnato da quando ho iniziato a muovere i miei primi passi, hai vissuto con me le mie prime tragiche esperienze di contatto con il mondo fisico, eri al mio fianco quando ho versato le prime lacrime per un amore non corrisposto. Sei un po' come una piccola coscienza incarnatasi in un ricordo che non sfumerà nei giorni a venire, sei un po' come un promemoria di quello che ero e sono destinato a continuare ad essere. Sei un po' la certezza che certe piccole cose non cambiano mai, e noi non possiamo fare altro che essere felici di questo, perchè è anche grazie a te che le nostre poche sicurezze resteranno sempre ancorate a quel fondo marino che è la nostra esistenza.
Ti cerco, e so che sei ancora lì.
Non credere alle mia parole quando ho cercato di allontanarti, non ero sincero. Non fino in fondo. Non prestare orecchio a tutto quello che posso aver detto alle tue spalle, o caro amico. Tu sei più forte di tutti i miei attimi di debolezza messi insieme, e io non posso fare altro che ringraziarti per essere ancora qui, sempre al mio fianco, proprio davanti ai miei occhi, giorno dopo giorno. Grazie per non avermi abbandonato come troppo spesso ho visto fare a mille persone che si professavano amici o conoscenti, solo per poi pugnalarmi alle spalle al primo istante di disattenzione. Tu no. Tu non l'hai mai fatto. Mai. E non penso che sarò mai in grado di ringraziarti abbastanza per questo.
Ti cerco, e so che sei lì.
Non a tutti sei gradito, lo so benissimo. Ti guardano con diffidenza, quando ti sentono arrivare, e ti allontanano come se tu fossi una peste, una malattia incurabile, un untore di chissà quali disgrazie a venire. Ma non capiscono che allontanando te stanno perdendo il contatto con la vita, con una maturità fisica che non possono e non potranno mai perdere definitivamente, per quanto si sforzino. E quindi, tutti i loro tentativi saranno vani, e destinati a fallire miseramente. Io non farò questo errore, o perlomeno non lo farò più. Oramai ti ho accettato come una parte di me, come se tu fossi un mio stesso braccio con cui toccare il mondo che mi circonda, o una gamba che mi permetta di camminare incontro al mio futuro. Ho capito che non solo non potrei mai stare senza di te, ma forse non lo vorrei neanche.
Ti cerco, e so benissimo che sei ancora lì.
Lascia che innalzi al cielo la bandiera che troppo spesso di racchiude o ti confina, quella bandiera bianca che troppo spesso viene tenuta nascosta nel più recondito angolo di un taschino buio e mezzo ammuffito. Lascia che innalzi al cielo il tuo stendardo, professando alto il tuo verbo e mostrandoti al mondo. Lascia che ti allontani un poco da me, perchè so che tanto tu troverai il modo per tornare indietro, e allora sarà come se tu non te ne fossi mai andato. Lascia che scriva questa piccola e monotona ode per te, o caro amico.
Ti voglio bene, o amico muco.
Solo, adesso vai un po' da qualcun altro, che son due mesi che ho il naso in mano.
Ecco, bravo. Così. Vai.

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24 aprile 2008
FREEDOM A TOUT LE MONDE

Io ero, non ricordo dove.

Tutti i migliori racconti dovrebbero iniziare così, piuttosto che con il più classico e banale "c'era una volta". In fondo, non tutti viviamo in una cattedrale gotica. Non tutti possiamo sperare di condurre una felice esistenza a Notre Dame. Non tutti troveremo la felicità dopo aver condotto una vita circondati solo da gargoyle di duro cemento. Ma tutti abbiamo dei ricordi, e tutti prima o poi ci siamo svegliati un giorno non sapendo nammeno dove fossimo, o che ora era, o in quale vita stessimo vivendo.

Io ero, non ricordo dove.

Oh cielo, ecco che adesso io tremo un po'. Può darsi che sia il cielo, può darsi che sia il mare. Può darsi che sia il solo fatto che siamo noi. Insieme. Qui. Non ricordo dove, ma in effetti forse nemmeno importa. Che sia una cattedrale, una spiaggia, una strada affollata, un prato sotto le stelle, un negozio, un treno, un monte. Non importa veramente. Quello che importa è che, o amico, mi mancherai. Mi mancherai tantissimo.
E' in questi momenti che i ricordi mi assaltano, avvolgendomi come se fossero sciami di api assassine e incontrollate, e ne rimango sopraffatto. E' in questi momenti che ricordo quanto siano tristi le separazioni, o amico, perchè tu già lo sai che mi mancherai, mi mancherai tantissimo. Ma è arrivato il mio momento, e devo andare. E' il momento. Io parto per quel viaggio che si chiama libertà, e porto con me la vita e tutti i ricordi che ci hanno legato insieme. Al mondo intero io grido "VI AMO!", ma devo partire. E' il mio destino, lo so. Mi mancherai tantissimo.
Parto con il cuore leggero, però, perchè so che tutto quello che abbiamo vissuto insieme ci ha legati in un modo indissolubile, e questi posti ricorderanno sempre il nostro passaggio. Pensami, se un giorno ti capiterà di tornare qua, se un giorno i tuoi passi ti riporteranno su queste strade, su questi monti, su questi prati, sotto queste stelle. Io penserò a te, o amico, a tutti voi penserò, se un giorno dovessi tornare qua. Io vi penserò, se un giorno tornerò qua.

Io sono, e adesso so perfettamente dove.

[Tratto da 'http://www.chiaradaino.it/blog.asp?id=66']

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16 aprile 2008
MERATE AUTO

- Posso aiutarla?
- Ehm... si... allora io, cioè noi, abbiamo comprato una macchina usata, da voi, qualche mese addietro, non ricordo di preciso quando... era, cioè è, una opel astra furgonata bianca... al momento della consegna non ci è stato dato il secondo paio di chiavi e quindi... sarei venuto qui per chiederlo... so che vi siete sentiti per telefono con un mio socio, e quindi...
- Guardi, vi è stata spedita la chiave per posta.
- Sul serio? Guardi che fino a tre giorni fa a noi non è arrivato niente.
- Impossibile. E' la prassi. E' stata spedita senz'altro.
- Può controllare? Magari c'è stato un disguido di qualche genere...
- Impossibile. Provi comunque a chiedere in magazzino.
- Dov'è?
- Esca, giri a sinistra, e vada dritto fino in fondo alla strada.
- Ok, grazie, arrivederci.
- Umph.

- Posso aiutarla?
- Salve, mi mandano qui dall'ufficio amministrativo. Nei mesi scorsi avremmo acquistato presso di voi una macchina usata, un'opel astra furgonata... e non ci avete dato alla consegna il secondo paio di chiavi. Mi hanno detto di venire a chiedere qui.
- Guardi che deve andare a chiedere in magazzino...
- Perchè, non è questo?
- No.
- E dov'è?
- Esce, e prende quella porta proprio lì davanti a lei.
- Grazie, e scusi.
- Umph.

- Posso aiutarla?
- Salve, arrivo dall'ufficio amministrativo. Sono qui per chiedere il secondo paio di chiavi di una opel astra bianca furgonata usata che abbiamo acquistato qui qualche mese fa.
- Uh, si, so tutto. Abbiamo la sua chiave di là, in un busta pronta per essere spedita. Solo che nessuno l'ha mai fatto. Chissà perchè. Ah ah ah. Gliela vado a prendere...
- Già che c'è, al momento dell'acquisto l'autoradio non funzionava, ed il venditore ci disse di tornare per sostituirla.
- Guardi, la vecchia proprietaria del mezzo è morta. La persona che faceva da intermediario tra lei e noi io non so chi sia. Il nostro addetto che se ne occupava si è licenziato. E non abbiamo più nessun suo contatto.
- Cavallette, niente?
- ...mi scusi?
- No, dicevo, prendo la chiave e va tutto bene.
- Arrivo subito.
- Grazie.

- Posso aiutarla ancora?
- Volevo solo dirle che mi hanno dato la chiave, di là, e che non ci era mai stata spedita.
- Strano, non è la nostra prassi.
- Umph.

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8 aprile 2008
MY STARS

Alzo lo sguardo al cielo e guardo le stelle. Sono le mie stelle, anche se adesso mi sembrano così lontane. Così lontane. Fino ad oggi, nessuno mi ha ancora richiamato a casa. Finora. Ma spero che un giorno non lontano questo accada. Così che io possa tornare lassù, da loro. Come sono lontane. Ma sono le mie stelle. Lascio che la mia mente vaghi per lo spazio, e si abbandoni in esso. Viaggio per distanze siderali, attraverso intere galassie. Sono solo, lo sono sempre stato. Sono un vagabondo dello spazio, e le stelle sono la mia casa. Siamo solo io e loro. Sono loro la mia famiglia. La mia casa. Sono le mie stelle.

Venite tutti a me, adesso, come persone adoranti. Venite a me, o miei sudditi fedeli. Sapete che dovreste farlo. Sapete che dovete farlo. Dovete venire a me. Tutti dovrebbero farlo. Io sono colui che vi permetterà di scoprire finalmente voi stessi. Sono colui che darà un senso al lavoro delle vostre braccia, ad ogni singolo movimento delle vostre gambe. Io sono il vostro nuovo dio, e vi farò vedere tutto quello che nessuno vi ha mai mostrato. Venite a me. Non abbiate paura. Vi giuro sulla stessa aria che state respirando che manterrò le mie promesse. Ed allo stesso tempo, vi giuro che paghereste caro qualunque atto di insolente ribellione. Ve lo giuro. Io sono venuto a voi in pace, ma con il solo potere di una mano potrei sciogliere la torre Eiffel o sbriciolare la Sfinge. Non mi credete? Non sfidatemi. Non osate farlo. Venite a me.

La sento arrivare. Da lontano, arriva sulle ali del vento. Oh no, la sento. La sento sussurrare piano, la sento gridare sottovoce, la sento arrivare fino a me, e portare quelle notizie. Notizie senza senso, notizie di morte, notizie che sembrano proiettili nel buio della notte. Notizie che appaiono come palle di cannone che squarciano le tenebre, e illuminano il cielo intero. La sento, e sta arrivando da me. Il vento la conduce, mano nella mano. Il vento che soffia, che sbuffa, che soffia ancora. E' la venuta di notizie senza senso. E con loro vedo il mondo intero che crolla davanti ai miei occhi, e nessuno riesce a rialzarsi da terra. Tutti cadono giù, sempre più giù, fino a diventare un tutt'uno col terreno, con le loro stesse ombre, che già sono crollate. Tutti cadono, per non rialzarsi più. Nessuno nasce e cresce per vivere all'ombra di qualcun altro, o di qualcuno che è già vissuto. Nessuno imiterà le orme del proprio padre. Ma non importa. Non importa, perchè nessuno in fondo vorrebbe farlo. E quindi cade. E' destino che succeda. Inesorabilmente.

Sono fermo. Immobile. Sono fisso sulla linea della follia. Fisso in viso la follia stessa, guardandola negli occhi. Sono fermo e osservo il mondo dall'alto delle mie convinzioni, delle mie sicurezze. Vedo tutto quello che sta accadendo al creato, guardo tutto quello che sta succedendo. E' come un imbuto nero che cade dal cielo, è come un uragano che arriva e strappa via tutto, lo distrugge, lo porta via. Sono fermo e vedo il mondo che si squarcia. Sono fermo e vedo quella crepa che poco per volta diventa sempre più grande, sempre più profonda. Vedo quella crepa che inizia piano, e poco per volta divora tutto. Qualche orizzonte sopravvive. Qualche orizzonte si salva, e scivola inerme proprio sotto ai miei piedi. Guardo il mondo distruggersi e non posso fare altro che sorridere, colmo di tristezza.

Non chiedevo altro che un olocausto, per rendere perfetto questo giorno. Klaatu barada nikto. Klaatu barada nikto. Sorrido. E muoio col mondo. Klaatu barada nikto. Sto tornando a casa.

[Liberamente ispirato da "The Day the Earth Stood Still", su parole di Alice Cooper]

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2 aprile 2008
NOTTE

Tutto buio intorno. La strada corre.
Il bianco della striscia sull'asfalto è come un faro per mantenere la rotta, nonostante gli occhi stiano iniziando a chiudersi. Gli alberi sembrano sparuti e spauriti fantasmi, lanciati a manciate da qualche dio lungo quel percorso a guardia di chissà cosa. Gli alberi ondeggiano sotto un vento invisibile che li fa danzare nelle ombre della notte, quelle stesse ombre che rendono oscuro anche il buio più nero. Gli alberi sorridono al passaggio della macchina, e incoraggiano la sua corsa in quella direzione ignota e misteriosa. Attorno, tutto attorno, la campagna si perde a vista d'occhio, per chissà quanti metri. L'oscurità nasconde e rende immateriale anche una piccola distanza che di giorno sembrerebbe irrisoria. L'oscurità rende infinito anche un cammino di poche centinaia di metri, al punto che non esiste più una sola certezza ad assicurarmi che la direzione sia quella corretta.
La strada corre.
Una musica, in sottofondo, risuona e rimbalza per le tenui pareti del veicolo. Note che si accalcano all'interno della mia testa e assumono accordi strani quando entrano in contatto con il volante, con un sedile, con i tappetini. Note e ritmi che mi sembrano conosciuti ma che svaniscono nei pensieri di un "chissà quando le avrò già sentite, chissà quando le potrò riascoltare". Una canzone che rievoca tempi remoti, poi una canzone sconosciuta, poi altri tempi remoti. Canzoni che sembrano un eterno ripasso delle coniugazioni temporali, tanto si spostano avanti ed indietro nella linea temporale, perfette ed imperfette nella loro succesione. Più che perfette a sentirle tutte insieme, ma passate oramai nei recessi della mia mente.
La strada corre.
Abbasso il finestrino, e vengo assalito da un folle soffio di passione atmosferica, che cerca affannosamente di spargere disordinatamente tutti i fogli che ho in macchina. Li fermo con una mano, mentre con l'altra continuo a sorreggere fermamente il volante tremante. Guardo fuori dal finestrino, e sento finalmente in modo distinto tutti i rumori che fino a poco prima erano coperti dalla musica. Dalla mia musica. Sento il rumore chelle vetture che avanzano in direzione ostinata e contraria. Sento il cigolio di una saracinesca che viene abbassata al termine di una faticosa giornata di lavoro. Sento la risata di una ragazza in lontananza, che si allontana sempre di più, come un'oasi di serenità destinata a scomparire in un breve soffio di tempo. Sento il rumore del mio cuore battere sempre più forte. Un po' per il freddo, un po' no.
La strada continua a correre.
L'asfalto è buio, di notte. L'asfalto è scuro e potrebbe benissimo essere un manto di nera pece, che tanto non si noterebbe la differenza. Ogni tanto vi sono dei punti bianchi luminosi che lo differenziano dalla pece, altrimenti non riuscirei proprio a dire di essere su di un lembo di strada. Ed è quella la vera differenza. Il mio pensiero va quindi alle stelle, all'intero firmamento sospeso in cielo. Ho come l'impressione di guidare in una corsia preferenziale dell'universo, con i pianeti che mi sfrecciano accanto e quei piccoli bagliori, quelle piccole stelle, che sorreggono il mio pesante cammino ad ogni metro che percorro. Ho come l'impressione che le comete al mio fianco mi stiano indicando direzione e verso, e io non sia per niente disperso in quel nulla oscuro che in realtà è solo la campagna bergamasca.
La strada corre.
Sorrido sui rumori che mi sta regalando la notte in questa calda e strana giornata primaverile. Sorrido e continuo a guardare quella strada che, davanti a me, sembra avere intenzione di non fermarsi mai. Sembra avere intenzione di portarmi a scoprire meraviglie, per il solo gusto di dipingermi sul volto un'espressione sempre più stupefatta, sempre più serena. Una strada che conduce al più remoto angolo della galassia. Una strada che conduce all'eternità. Una strada che conduce a casa. Dove forse sto andando, dove forse sono già arrivato. Perchè la mia casa forse è proprio qui, su questa strada, in questa notte. La mia casa forse è proprio la strada. Che corre. Che continua a correre. Sempre.
Tutto buio intorno.

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1 aprile 2008
CHE COSA HAI FATTO?

Che cosa hai fatto?
Mi sono allontanato da quella caverna che mi aveva visto nascere. Mi sono allontanato dal mio rifugio sicuro per addentrarmi nel mondo che ho sempre osservato dal riparo di quelle spesse mura. Mi sono allontanato da quella grotta oscura che altro non era se non le mie più nascoste ed evidenti paure, per lasciarmi tutto alle spalle e provare ad affrontare il mondo. Ho poggiato un primo piede fuori, su quel terreno incolto, e ho sorriso. Ho poggiato un secondo piede dietro il primo, e tutto mi è subito sembrato più facile, come se non avessi mai fatto diversamente, come se non volessi fare altro. Ho allora iniziato a camminare, sempre più spedito, sempre più veloce, come un maratoneta olimpico in sfida con se stesso ed il mondo. Ho iniziato a gareggiare con il vento stesso per scoprire chi dei due fosse più veloce, e sorprendermi del risultato. Ho iniziato a provare una sicurezza che mai avevo creduto possibile. Mi sono allontanato da quella caverna che mi aveva visto nascere, e ho iniziato a volare.
Che cosa hai fatto?
Ho rovesciato un bicchiere d'acqua sul tavolo. Il vetro s'è infranto come per magia, facendo volare tutto attorno minuscole schegge di pericolo che cercheranno di nascondersi nell'ombra e non farsi trovare fino al momento in cui causeranno una ferita su dita ignare. Il vetro s'è infranto e l'acqua è sgorgata copiosa, libera da quella prigione trasparente che l'aveva fino a quel momento costretta a vivere ingabbiata, lei che era nata selvatica dalla cima di un monte di cui neanche conosceva il nome. Aveva assaporato la libertà, nella sua breve vita da acqua sorgiva, aveva annusato l'aria fresca e pura fino al giorno in cui era stata imbottigliata, e costretta a vivere una perenne esistenza di consumismo disincantato e volgare. Ho rovesciato un bicchiere d'acqua aul tavolo, e sono stato assalito da pensieri non miei.
Che cosa hai fatto?
Ho raccontato una fiaba ad un bambino. Ho osservato i suoi occhi ingrandirsi, poco per volta, mentre il racconto si dipanava e si svolgeva nel tempo. Ho osservato i suoi occhi sorridere e tremare curiosi, in attesa di sapere quale sarebbe stata la sorte di quei protagonisti dai nomi improbabili per un adulto, ma assolutamente normali per la sua età. Ho osservato le sue mani stringersi e muoversi incontrollate, come i suoi pensieri, come la sua immaginazione, come il suo futuro. Ho osservato tutta la curiosità che trasudava da ogni poro, anelando il piacere di scoprire dove lo stessi conducendo con delle semplici parole liberate nel cielo primaverile. Ho osservato le nuvole mentre raccontavo, e mi sono reso conto che vi eravamo seduti sopra, e guardavamo il mondo dall'alto delle nostre parole. Ho raccontato una fiaba ad un bambino, e mi sono accorto che il primo ad ascoltare ero proprio io.
Che cosa hai fatto?
Ho passato una sera a schiacciare tasti neri. Ho sperato che da quel computer potesse uscire un minuscolo briciolo di serenità che mi portasse un poco di compagnia. Inutilmente. Ho sperato che tutti quei tasti e la velocità su di essi esprimesse un pensiero più profondo che mi conducesse là dove nessuno si era mai azzardato prima. Invano. Ho sperato che la mia vita potesse fiorire in mezzo a tutti quei puntini luminosi che poco per volta mi hanno annebbiato completamente la vista, rendendomi cieco come se vivessi in una caverna oscura e dimenticata da dio. Ho sperato di ingannare me stesso e di non accorgermi del tentativo, ma ho miseramente fallito. Ho passato una sera a schiacciare tasti neri, disimparando a scrivere il mio nome.
Che cosa hai fatto?
Niente. Non ho fatto niente. Sono tornato a casa, dopo una snervante giornata di lavoro. Sono tornato a casa, e mi sono adagiato tra le coperte con solo una birra al mio fianco, e la mente libera di vagare sulle ali del blu più lontano e silenzioso. Sono tornato a casa, e ho lasciato che alla mia memoria si affacciassero tutti quei ricordi ed i pensieri che normalmente rimangono relegati nei cassetti più lontani di quella credenza che è la mia memoria. Una credenza disordinata e inaffidabile, sporca e confusa. Ma è la mia credenza, e dentro vi sono tutti i colori che ogni giorno mi passano davanti agli occhi quando osservo ogni più piccolo e sfumato particolare. E' la mia credenza, riempita a fatica durante gli anni con gli oggetti più disparati e curiosi possibili, una raccolta umana di emozioni e sensazioni di cui non potrei mai fare a meno. E' la mia credenza, e non mi importa se sia disordinata e sporca, inaffidabile o confusa: è quello che deve sembrare, quello che deve apparire, quello che deve essere. Quello che è. Non mi importa se a qualcuno potrebbe non piacere, perchè in fondo è mia, e a nessuno deve importare altro. E' solo una credenza. Si. Ma è la mia.
Che cosa ho fatto?
Ho aperto un cassetto e ne ho socchiuso un altro. Perchè è questo che si fa con le credenze. E' questo che si fa con i ricordi. E' questo che si fa con le speranze.

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