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1 Aprile 2008
CHE COSA HAI FATTO?
Che cosa hai fatto?
Mi sono allontanato da quella caverna che mi aveva visto nascere. Mi sono allontanato dal mio rifugio sicuro per addentrarmi nel mondo che ho sempre osservato dal riparo di quelle spesse mura. Mi sono allontanato da quella grotta oscura che altro non era se non le mie più nascoste ed evidenti paure, per lasciarmi tutto alle spalle e provare ad affrontare il mondo. Ho poggiato un primo piede fuori, su quel terreno incolto, e ho sorriso. Ho poggiato un secondo piede dietro il primo, e tutto mi è subito sembrato più facile, come se non avessi mai fatto diversamente, come se non volessi fare altro. Ho allora iniziato a camminare, sempre più spedito, sempre più veloce, come un maratoneta olimpico in sfida con se stesso ed il mondo. Ho iniziato a gareggiare con il vento stesso per scoprire chi dei due fosse più veloce, e sorprendermi del risultato. Ho iniziato a provare una sicurezza che mai avevo creduto possibile. Mi sono allontanato da quella caverna che mi aveva visto nascere, e ho iniziato a volare.
Che cosa hai fatto?
Ho rovesciato un bicchiere d'acqua sul tavolo. Il vetro s'è infranto come per magia, facendo volare tutto attorno minuscole schegge di pericolo che cercheranno di nascondersi nell'ombra e non farsi trovare fino al momento in cui causeranno una ferita su dita ignare. Il vetro s'è infranto e l'acqua è sgorgata copiosa, libera da quella prigione trasparente che l'aveva fino a quel momento costretta a vivere ingabbiata, lei che era nata selvatica dalla cima di un monte di cui neanche conosceva il nome. Aveva assaporato la libertà, nella sua breve vita da acqua sorgiva, aveva annusato l'aria fresca e pura fino al giorno in cui era stata imbottigliata, e costretta a vivere una perenne esistenza di consumismo disincantato e volgare. Ho rovesciato un bicchiere d'acqua aul tavolo, e sono stato assalito da pensieri non miei.
Che cosa hai fatto?
Ho raccontato una fiaba ad un bambino. Ho osservato i suoi occhi ingrandirsi, poco per volta, mentre il racconto si dipanava e si svolgeva nel tempo. Ho osservato i suoi occhi sorridere e tremare curiosi, in attesa di sapere quale sarebbe stata la sorte di quei protagonisti dai nomi improbabili per un adulto, ma assolutamente normali per la sua età. Ho osservato le sue mani stringersi e muoversi incontrollate, come i suoi pensieri, come la sua immaginazione, come il suo futuro. Ho osservato tutta la curiosità che trasudava da ogni poro, anelando il piacere di scoprire dove lo stessi conducendo con delle semplici parole liberate nel cielo primaverile. Ho osservato le nuvole mentre raccontavo, e mi sono reso conto che vi eravamo seduti sopra, e guardavamo il mondo dall'alto delle nostre parole. Ho raccontato una fiaba ad un bambino, e mi sono accorto che il primo ad ascoltare ero proprio io.
Che cosa hai fatto?
Ho passato una sera a schiacciare tasti neri. Ho sperato che da quel computer potesse uscire un minuscolo briciolo di serenità che mi portasse un poco di compagnia. Inutilmente. Ho sperato che tutti quei tasti e la velocità su di essi esprimesse un pensiero più profondo che mi conducesse là dove nessuno si era mai azzardato prima. Invano. Ho sperato che la mia vita potesse fiorire in mezzo a tutti quei puntini luminosi che poco per volta mi hanno annebbiato completamente la vista, rendendomi cieco come se vivessi in una caverna oscura e dimenticata da dio. Ho sperato di ingannare me stesso e di non accorgermi del tentativo, ma ho miseramente fallito. Ho passato una sera a schiacciare tasti neri, disimparando a scrivere il mio nome.
Che cosa hai fatto?
Niente. Non ho fatto niente. Sono tornato a casa, dopo una snervante giornata di lavoro. Sono tornato a casa, e mi sono adagiato tra le coperte con solo una birra al mio fianco, e la mente libera di vagare sulle ali del blu più lontano e silenzioso. Sono tornato a casa, e ho lasciato che alla mia memoria si affacciassero tutti quei ricordi ed i pensieri che normalmente rimangono relegati nei cassetti più lontani di quella credenza che è la mia memoria. Una credenza disordinata e inaffidabile, sporca e confusa. Ma è la mia credenza, e dentro vi sono tutti i colori che ogni giorno mi passano davanti agli occhi quando osservo ogni più piccolo e sfumato particolare. E' la mia credenza, riempita a fatica durante gli anni con gli oggetti più disparati e curiosi possibili, una raccolta umana di emozioni e sensazioni di cui non potrei mai fare a meno. E' la mia credenza, e non mi importa se sia disordinata e sporca, inaffidabile o confusa: è quello che deve sembrare, quello che deve apparire, quello che deve essere. Quello che è. Non mi importa se a qualcuno potrebbe non piacere, perchè in fondo è mia, e a nessuno deve importare altro. E' solo una credenza. Si. Ma è la mia.
Che cosa ho fatto?
Ho aperto un cassetto e ne ho socchiuso un altro. Perchè è questo che si fa con le credenze. E' questo che si fa con i ricordi. E' questo che si fa con le speranze.
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