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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
Aprile 2007

30 aprile 2007
TALLINN - GIORNO OTTO

La bettolaccia dove abbiamo dormito non ci ha lasciato un buon ricordo, ma almeno non abbiamo passato la notte in macchina. Dopo una scarna colazione, ci siamo rimessi in viaggio per attraversare il Lussemburgo, poi la Francia, e successivamente tornare in Germania. Purtroppo va precisato che ai due confini con la Francia siamo stati fermati alla dogana e, se la prima volta i doganieri si sono limitati a farci aprire il bagagliaio e dare una controllata sommaria al contenuto della macchina, la seconda volta ci hanno fatti scendere dalla macchina e perquisito personalmente. Il doganiere mi ha anche palpato il culo, ma questo è un ricordo che voglio assolutamente dimenticare, ed il prima possibile.
In Belgio, prima di abbandonarlo, abbiamo fatto tappa all’autodromo di Spa, scattato varie foto dopo essere entrati addirittura dentro il circuito, e cose del genere che piacciono tanto agli appassionati di motori o gare ma che mi lasciano alquanto indifferente. Da vantarsene e bullarsene con gli amici, insomma.
Una volta tornati in Germania ci siamo diretti verso Frankfurt (indovinate un po’? Francoforte nell’italico idioma!) dove Alf ha cercato accessori strani per la sua lambretta e io sono riuscito anche a comperare due magliette del Jack Daniel’s. In fondo non sono state delle tappe inutili, ma solo con il senno di poi. Abbandonata la cittadina grossa ci siamo diretti verso la Foresta Nera, che abbiamo percorso in lungo ed in largo imboccando anche stradine secondarie non segnalate nemmeno sulla cartina e sterrate al punto da farci temere per la nostra stessa intelligenza. Oddio, non è che normalmente ne andiamo particolarmente fieri, dell’intelligenza, ma questa volta forse…
In ogni caso, siamo riusciti a perderci per stradine sterrate, mezze fangose, verbosamente erbose, boschive e assai tortuose come poche penso ce ne siano, solo per riuscire miracolosamente ad uscirne e dirigerci verso un paesino sempre nel mezzo della Foresta Nera il cui nome è Wolfach. Qui abbiamo trovato un alberghetto nel bel mezzo del borgo e, dopo aver passato una decina di minuti a conversare con il cameriere nel nostro classico inglese stentoreo, abbiamo mostrato i documenti ed il tipone è quindi esploso ridendo in un “ma siete italiani? Ma porco d*o!”. Abbiamo quindi scoperto che il padre era di Latina e nonostante lui fosse nato in Germania parlava e capiva benissimo la lingua tricolore. Ci ha consigliato un bel pub dove abbiamo consumato le ultime birre prima di infilarci in camera e prepararci a dormire. Alf è riuscito a trovare il cartone di South Park in televisione, oltre ad un documentario di maledetti subbacqui. Sono ovunque, maledetti. Maledetti. Adesso ci accingiamo ad andare a dormire, che forse è anche meglio. Domani si tornerà verso l’Italia. Domani. L’avventura è oramai quasi finita.
Aggiunta dell’ultimo minuto, prima del sopravvento del sonno. In questi giorni abbiamo scoperto dei modi di dire che penso ci accompagneranno nei prossimi tempi. Comincio ad elencarli con relativa spiegazione.
Sei proprio un gatto polacco. Ai lati delle strade polacche era pieno di gatti morti: di conseguenza, potremmo riassumere il detto nel più classico “puzzi di cadavere”. Auto esplicativo, direi. Abbiamo visto un solo gatto vivo, ed era all’interno di un giardino recintato.
Sei furbo come una volpe polacca. Sempre ai lati delle strade polacche, oltre ai gatti c’erano anche miriadi di volpi. Quindi, se le volpi polacche finiscono quotidianamente sotto le ruote dei camionisti e delle persone che stanno prendendo la patente (era pieno!), tanto furbe non devono proprio essere. Di conseguenza, la precisazione di cui sopra.
Scopi come un riccio belga. In Belgio non hanno gatti e volpi ai lati delle strade, ma... ricci. Quegli animaletti con tante spine, si, proprio quelli. Ergo, penso che le attività sessuali dei suddetti animali possano essere riassunte in pochissime righe. Praticamente nulle, ecco. Serve dire altro?
Ah, oggi abbiamo superato i 7000 km, percorrendone 800 circa nella giornata di oggi.

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29 aprile 2007
TALLINN - GIORNO SETTE

La giornata di oggi è stata strana. Ci siamo alzati presto e abbiamo puntato a Nord dopo una lauta colazione, per varcare il confine con la Danimarca e puntare a Billund, dove ci aspettava il parco di Legoland. Siamo arrivati alle nove e mezza solo per scoprire che avrebbe aperto alle dieci, ma abbiamo aspettato più che volentieri.
Alle undici e mezza eravamo già sulla strada del ritorno, dopo aver preso le solite cose come souvenir, aver visto parchi subbacqui e aver provato qualche attrattiva locale. Insomma, abbiamo giocato un poco. Tornati sulla strada, abbiamo pranzato in un autogrill danese per spendere le ultime corone in cibo e diesel, e poi abbiamo cominciato la lenta discesa verso sud per tornare in Germania e successivamente sconfinare il Olanda.
Appena oltrepassato il confine siamo stati affiancati da una motociclista della polizia che ci ha fatto fermare in una piazzola di sosta per un controllo di confine da parte di due suoi colleghi. Abbiamo spiegato sommariamente il nostro giro e ci hanno fatto andare via senza ulteriori complicazioni. In effetti, con le facce buone che ci ritroviamo, come potremmo risultare sospetti?
Le strade olandesi sono la morte, da fare in macchina. Limiti di velocità bassissimi e posti di controllo continui. Insomma, per fare 100 km passa una vita. Almeno, c’era poco traffico. Ma è una ben magra consolazione. Le strade sono belle, il paesaggio un po’ monotono ma rilassante e pulito. E c’erano anche dei campi da golf veri ai lati delle strade, giuro. Però continuo a preferire la Lituania.
La giornata comunque è stata principalmente di viaggio, e come tale ci ha permesso di fare circa 1100 km. Abbiamo sconfinato con il Belgio dalle parti di Maastricht, e dopo aver scartato la nottata nella città di Liege perché attraversandola abbiamo visto solo volti brutti, siamo scesi poco sotto per finire a Tilff, dove siamo finiti in un locale belga-siculo per mangiare un ottimo piatto di pasta e andare a dormire poco dopo. Cioè, non sto ancora dormendo, ma poco ci manca come penso si capisca dalla costruzione di queste poche frasi.
A domani.

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28 aprile 2007
TALLINN - GIORNO SEI

Giallo.
Giallo è il colore dei fiori che predominano nei campi della Polonia. Giallo è il colore di certi biscotti tipici che oggi abbiamo acquistato prima di partire. Giallo è il colore del sole che ci ha accompagnato in tutti questi giorni, tranne la spruzzatina di pioggia sopra Praga dopo la prima notte, e che quindi è stato più che generoso con il nostro girovagare per l’Europa. Giallo è il colore di certe stradine che abbiamo percorso oggi così come sono segnate sulle mappe stradali.
Giallo.
Abbiamo impiegato quasi otto ore ad uscire dalla Polonia, prima di iniziare nuovamente ad usufruire delle velocità delle autostrade tedesche. Gli ultimi chilometri polacchi sono bastati a farci piacere ancora di più il paese, che tanto poco ci era piaciuto nel primo passaggio. Le strade in effetti sono più lente da percorrere, ma gradevoli come paesaggio per la loro varietà. I paesini alla fine nella parte nord sono molto più curati e colorati, e quindi meno noiosi alla vista. Certo, bisogna stare attenti ai camion che sfrecciano a velocità superiori ai limiti in percorsi che fanno venir voglia di stracciare la patente e cominciare ad andare solo a piedi, ma questo è un altro discorso.
Abbiamo pranzato in una specie di autogrill in un misero pezzo di autostrada polacca, e poi ancora in viaggio. Arrivati nel cerchio di autostrada intorno a Berlino abbiamo dovuto uscire per colpa di lavori o di un incidente, non l’abbiamo ancora capito perché le scritte erano poche ed in tedesco. Fatto sta, insomma, che l’autostrada era chiusa e siamo stati costretti a deviare e percorrere delle stradine secondarie che ci hanno permesso di vedere un po’ di Germania al di fuori dei soliti stradoni immensi.
A cosa stiamo puntando adesso? Alla Danimarca. Dobbiamo ancora decidere se provare ad arrivare fino in Svezia, ma un salto a Billund nel parco di Legoland non ce lo toglie nessuno. Lo so, ci sono già stato qualche anno fa con Mirko, ma non è affatto un buon motivo per non tornarci e vedere tutti quegli omini dalla testa di color giallo.
Giallo.
Ad Hamburg (ovviamente Amburgo, tradotto) siamo usciti momentaneamente dall’autostrada per instradarci correttamente, e siamo riusciti a fare ancora una settantina di chilometri in direzione nord, prima di uscire e cercarci un tetto per la notte. Totale odierno? Circa 1000 km. Non male, ma in effetti le strade tedesche aiutano non poco. Lavori e chiusure permettendo, ovviamente.
Abbiamo cenato in una kebab-eria e trovato quindi una sistemazione chiedendo informazione alla cameriera. La camera è un po’ spoglia per il prezzo che ci hanno chiesto, ma fa niente. Peccato solo per queste pareti un po’ cupe. Sarà colpa del fatto che hanno uno strano colorito giallo.
Giallo.

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27 aprile 2007
TALLINN - GIORNO CINQUE

Siamo partiti alle sette circa dal paesino di Iecava (credo si chiamasse così, ma non ricordo con esattezza) dove abbiamo passato la notte, e abbiamo quasi immediatamente salutato il confine con la Lituania. Abbiamo puntato dritti verso Vilnius, ma abbiamo fatto tappa ad un’area di sosta lungo l’autostrada per fermarci a dormire un’oretta. Ebbene si, avevamo del sonno da recuperare. E, più o meno, l’abbiamo recuperato.
Siamo arrivati a Vilnius vero mezzogiorno circa, e abbiamo girato la città praticamente sempre in macchina. La capitale della Lituania si presenta più grande e frammentata rispetto a Riga o Tallinn, nel senso che non ha un centro storico ben presente e piazzato in cui siano presenti tutte le bellezze architettoniche da visitare, ma ha disperso le sue bellezze un po’ in giro, così, come meglio pareva a lei. Insomma, senza una cartina della città ed una buona giornata a disposizione, credo sia impossibile affrontare degnamente Vilnius. In altre parole? Abbiamo girato per un’oretta la città in macchina, e poi abbiamo deciso di allontanarcene.
Purtroppo, bisogna dire che i cartelli stradali in questi posti lasciano molto a desiderare, perché ci siamo mezzi persi imboccando stradine secondarie praticamente prive di indicazioni ben precise, ma questo ci ha permesso di attraversare dei paesaggi lituani che altrimenti ci sarebbero rimasti ignoti, visto che ha una rete di autostrade piccola ma abbastanza efficiente. Lungo le vie minori ci siamo quindi imbattuti in “Pusynèlis”, una locanda tipica dove ci siamo potuti rifocillare un poco con piatti tipici a base di sfornati di patate con bacon, uova e altra roba buona.
Ci siamo quindi rimessi in cammino, abbiamo attraversato nuovamente il confine polacco, e abbiamo iniziato ad attraversare le Polonia nella sua parte alta. Bisogna dire immediatamente che il nord è messo decisamente meglio rispetto al sud. Sarà perché la zona da noi attraversata è più turistica per i laghetti sparsi e presenti ovunque, ma le strade sono decisamente più belle e ben tenute e di conseguenza si viaggia decisamente meglio. Anche i paesi ai lati della via paiono più curati, ed il panorama che ci sfrecciava a fianco era molto più simile alla Lituania e ai suoi campi da golf che non alla stessa Polonia del sud.
Abbiamo attraversato senza indugi la città di Olsztyn e proseguito fino alle 19 circa, quando abbiamo trovato a Rapaty (credo) le indicazioni di un albergo lungo la via dove ci siamo quindi fermati per la notte. Il proprietario, che non ci ha nemmeno chiesto i documenti e non parlava una parola di inglese, ci ha indirizzati da un suo amico per cena ove Alf ha preso un piatto tipico che si è rivelato molto simile alla nostra trippa genovese. Ci siamo fatti consigliare dal simpatico gestore su alcune bottiglie di vodka polacca e poi siamo andati a dormire, ancora provati per il viaggio e la nottata precedente. Erano le 21 circa.

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26 aprile 2007
TALLINN - GIORNO QUATTRO

Ci siamo alzati presto per partire da Riga il prima possibile. Destinazione del giorno: Tallinn.
Se è vero che la Lituania mi ricorda degli enormi campi da golf, come paesaggio, la Lettonia è molto più nordica: le strade si aprono ampie e si alternano passaggi boschivi a lande desolate e con casette sparute disperse nel nulla. La strada seguita per fortuna è stata abbastanza tranquilla e priva di traffico, e abbiamo oltrepassato il confine con l’Estonia senza alcun problema.
Giunti a Tallinn per ora di pranzo, siamo andati anzitutto ad informarci sui traghetti per Stockholm (per gli italiani è Stoccolma, come si può facilmente intuire), perché se non fossero costati tanto l’intenzione era quella di provare a sconfinare il mare e finire in Svezia. Ahimè, l’illusione è presto finita in fumo e quindi ci siamo limitati a girarci la cittadina dopo aver posteggiato la macchina. Il centro storico di Tallinn è veramente gradevole, con i suoi vicoli ampi e ben tenuti, i palazzi signorili ed i parchi tutti intorno. Non puoi girare lo sguardo che compare la sede di un’ambasciata o una ragazza accompagnata da, possiamo solo sperare che sia così, il rispettivo fratello. È in effetti vero che se le ragazze con capelli ed occhi chiari hanno un fascino tutto loro, il corrispettivo maschile ci sembra sempre nettamente inferiore alla media. Sarà anche per questo che il fascino latino ed italiano è così noto all’estero? Possiamo ben sperare. E ci fermiamo lì, ovviamente. Abbiamo quindi comprato un po’ di cartoline da spargere in giro, e pranzato in un pub poco tipico che si chiamava Molly Malone’s. Si, proprio come quello di Pegli.
Dopo aver visitato la città siamo quindi risaliti in macchina per tornare indietro lungo la medesima via, perlomeno per quanto riguarda la parte di Estonia e Lettonia. Nel frattempo è cominciato a calare il buio, e quindi abbiamo vagato un po’ alla ricerca di una sistemazione, fino a giungere in un locale per cena. Locale che ci avrebbe, alla fine, ospitato fino al mattino. Ma questa è un’altra storia.
Ecco invece un piccolo riassunto dei chilometri percorsi finora.
23 aprile: 1100 km.
24 aprile: 800 km.
25 aprile: 700 km.
26 aprile: 800 km.
Andiamo bene...

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25 aprile 2007
TALLINN - GIORNO TRE

Siamo stati rifiutati. Ci siamo alzati presto con la speranza di arrivare alla frontiera bielorussia in tempo per non perdere troppo tempo, e siamo rimasti fregati. Purtroppo, serviva un timbro sul passaporto per poter oltrepassare con successo la frontiera. E quindi, dopo aver varcato il confine polacco, siamo stati fermati dalle valenti ma simpatiche guardie della Bielorussia e costretti a fare marcia indietro. Degno di nota l’incontro con due loschi figuri che hanno cercato di convincerci, inutilmente, a dar loro 100 euro per evitare una coda che non abbiamo nemmeno fatto perché i veicoli europei avevamo un instradamento privilegiato.
Affranti per l’impossibilità di attraversare Minsk, ci siamo quindi diretti a nord in direzione Lituania, che abbiamo raggiunto poco dopo pranzo grazie a delle strade polacche insolitamente perfette. Infatti, mentre ieri avevamo incontrato e attraversato manti stradali pessimi e in condizioni da terzo mondo, stamattina siamo riusciti a mantenere una media di viaggio discretamente alta. Abbiamo pranzato in un locale lungo la via, e abbiamo quindi abbandonato la Polonia.
La Lituania si è presentata come un enorme campo da golf. Prati sterminati e gibbosi, con strade lineari e pulitissime. Non abbiamo praticamente attraversato nessun centro abitato, e abbiamo puntato alla città di Riga in Lettonia, che abbiamo raggiunto verso le sei e mezza di sera, dopo circa trecento chilometri di Lituania decisamente indolori.
La città di Riga non è affatto male, anche se si vede che è europea. Bei palazzoni tutti decorosi, ed un centro storico che non è come quello di Genova (ci mancherebbe) ma degno di nota. Pieno di locali, soprattutto night club, con loschi individui che cercano di convincerti ad entrare millantandoti caratteristiche sopraffine del loro circolo rispetto ad altri. Abbiamo cenato in un ottimo ristorante locale consigliatoci dalla ragazza dell’albergo, e ci siamo fatti un giro in centro, rigorosamente a piedi. Dopo neanche tanto siamo tornati in albergo, dove sto scrivendo queste ultime righe prima di andare a dormire.
Domani, andremo alla volta di Tallinn, giusto per raggiungere la nostra meta iniziale. Poi, decideremo come tornare. Come e quando. E da dove. Insomma, siamo ancora più che indecisi sulle nostre prossime tappe. Ah, altra nota di colore. Da quando siamo in Lituania avremmo dovuto portare l’orologio avanti di un’ora. Ovviamente, ce ne siamo accorti casualmente ascoltando la radio ed abbiamo deciso di ignorare il fatto. Però mentre scrivo sono le 23 in Italia, ma mezzanotte passata in Lettonia. Vorrà ben dire qualcosa, no?

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24 aprile 2007
TALLINN - GIORNO DUE

In Polonia ci sono più bancomat che gatti. Vivi, intendo. I gatti, però, non i bancomat. Ma andiamo con ordine. Ieri abbiamo fatto circa 1100 km in 11 ore di viaggio, oggi circa 800 in 13 ore. Un piccolo massacro, tenendo conto che le strade percorse erano praticamente tutte statali.
Siamo riusciti ad alzarci in orario da Praha, e verso le sette eravamo già in viaggio. Abbiamo fatto velocemente colazione in un autogrill con tanto di centro espositivo Hummer, e poi via alla volta della Polonia, in direzione Warszawa (Varsavia per noi poveri italiani). Abbiamo raggiunto il confine polacco dopo un paio di ore circa: il paesaggio è decisamente più brullo e le terre più incolte e disastrate, ma in compenso tutti i primi centri abitati sono muniti di controlli radar per gli eccessi di velocità. Ovviamente questo influisce sia sulla tranquillità del viaggio, che sulla effettiva velocità dello stesso. In altre parole? Le strade polacche non finiscono mai.
Abbiamo fatto una lauta seconda colazione alle dieci e mezza circa in un chiosco trovato lungo la strada, a base di carne speziata e strani crauti dall’aspetto ambiguo ma dal gusto ottimo. Che fossero interiora di un qualche strano tipo poco importa, tanto erano buone. In effetti, il pasto alla fine si è convertito in un mezzo pranzo anticipato.
La giornata, in fin dei conti, è stata abbastanza monotona. Tutte strade statali, come ho già detto, in cui c’era abbastanza poco da vedere e non si poteva nemmeno andare veloci. Purtroppo, in Polonia non sono ancora dotati di autostrade, e quindi ci si deve adattare. Le stanno costruendo, ma con calma. Con molta calma. Nel frattempo, il passatempo preferito sembra essere investire dei poveri gatti indifesi, a giudicare dai cadaveri incontrati lungo la strada. A decine, direi. Siamo riusciti a vede un solo gatto vivo, all’altezza di Wroclaw circa, mentre eravamo alla ricerca di un bancomat per prelevare degli zloti (la moneta locale). Col passare del tempo, i bancomat si sono fatti trovare, seppur pochi, mentre i gatti vivi sono rimasti un misero miraggio. Cristo.
Giunti a Varsavia, stanchi di tutti i pochi chilometri percorsi in assenza di strade degnamente attrezzate e guardando le cartine a nostra disposizione, abbiamo deciso di puntare alla Bielorussia nella speranza di trovare strade a scorrimento più veloce. Abbiamo quindi deciso di puntare a Minsk, passando per Brest. Città, quest’ultima, che sembra non esistere sui cartelli stradali polacchi, sostituita da un’altra il cui nome adesso non ricordo. Mistero. Domani, quando arriveremo al confine e scopriremo se possiamo sconfinare in Bielorussia, forse scopriremo l’arcano. Nel frattempo, mi vado a coricare nel letto di un motel trovato lungo la strada, poco dopo le otto di sera, perché l’osso sacro mi fa ancora male da quanto sono rimasto in macchina oggi. Siamo ad una ventina di chilometri dal confine, e domani dovremo alzarci presto. Come al solito, d’altronde.

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23 aprile 2007
TALLINN - GIORNO UNO

Volevamo andare in Russia.
Purtroppo, la burocrazia ha mosso tutti i passi nella nostra direzione, e quindi ci siamo trovati sommersi di documenti da preparare e da possedere che erano veramente troppi per il poco tempo a nostra disposizione nei preparativi del viaggio. E così abbiamo optato per l’Europa dell’est, verso nord, e poi a ovest. Insomma, un giro alla cieca.
La prima tappa decisa? Praga. Un po’ per abitudine, un po’ per malinconia, un po’ perché comunque sarebbe stata di strada per puntare ad est e a nord. Insomma, è un’ottima prima tappa. Siamo partiti da Genova alle sette ed un quarto, dopo una leggera colazione in un bar sotto casa di Alf. Abbiamo puntato verso nord, per lasciare l’Italia il prima possibile, ed inoltrarci dentro le frontiere della Svizzera. Neanche due ore di viaggio, ed avevamo già lasciato il bel paese.
C’è da dire, in effetti, che la giornata è stata una ventiquattr’ore di viaggio, per portarsi il più lontani possibile dall’Italia alla volta della nostra direzione, che nel frattempo aveva assunto un nome: Tallinn. Non possiamo andare in Russia e a San Pietroburgo o a Mosca? Beh, noi ci andiamo a fianco. E chi se ne frega.
La giornata è trascorsa pressoché tranquilla, senza grossi intoppi durante il viaggio. Siamo riusciti a sbagliare strada un paio di volte, tornare indietro, sbagliare nuovamente, tornare ancora indietro, capire dove avevamo sbagliato e dove saremmo dovuti andare, e sbagliare ancora. Ebbene si, abbiamo anche pensato che la Svizzera non volesse lasciarci andare via.
Non ho ancora capito se abbiamo attraversato anche il Liechtenstein, perché in confini quando si attraversano le autostrade svizzere sono un po’ ambigui, ma dopo circa tre ore siamo arrivati in Austria per un breve tragitto, e quindi finalmente in Germania.
Pranzo veloce in un autogrill, e diretti verso Praha (o Praga a scriverlo in italiano). C’è poco da dire del tragitto tedesco: le autostrade erano libere e ogni tanto c’era qualche cantiere che spezzava un po’ il ritmo di guida, ma per il resto tutto tranquillo. Siamo riusciti comunque a sbagliare strada ancora una volta, giusto per esserci distratti un attimo e aver perso un uscita, ma ben poca cosa. Alle quattro e qualcosa eravamo finalmente alla frontiera della repubblica Ceca.
Abbiamo attaccato un’altra vignette sul vetro della macchina (la prima era delle autostrade svizzere, mentre per il breve tragitto austriaco ce la siamo allegramente rischiata), e giù dritti verso Praha, che abbiamo raggiunto verso le diciotto circa. Un breve giro per trovare un albergo il più in centro possibile, e poi via verso il centro. Certo, abbiamo anche rischiato di finire con la macchina in un centro pedonale, ma questi sono episodi irrilevanti.
Abbiamo cenato da U Fleku, dove abbiamo scoperto avere “solo” birra del luogo, fatta da loro cioè, e quindi scura. Alf l’ha detestato. Siamo quindi rimasti pochissimo, e ci siamo diretti alla ricerca di altri locali caratteristici. Alf è riuscito finalmente ad assaggiare l’assenzio, e ne ha anche comprata una bottiglia per ricordo imperituro. Che temo invece finirà presto, viste le dimensioni, ma questo è un altro discorso.
Poco dopo le dieci eravamo già in strada per tornare in albergo, visto che dovevamo ancora guardare il tragitto per il giorno successivo e con l’ottima intenzione di alzarsi verso le sei.
Una nota di colore per i posteri? Praha è una città oramai decisamente europea, ma alcune cose rimangono come ai vecchi tempi. Il costo di una birra, ad esempio. A seconda del locale, con un euro circa ti portano una media chiara, anche se in effetti sulla gradazione ci sarebbe un po’ da discutere, visto che segnano 10 o 12 gradi. Ma devono avere dei fattori di conversione strani, come avevamo già notato con Mirko in un viaggio precedente.

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4 aprile 2007
URLA

Graffi. Tagli. Squarci ovunque. Lembi di quercia che lambiscono il terreno come a voler nascondere la natura sottostante. Frammenti di follia bruciata e dimenticata da dio in una radura eletta a tempio di empietà nascoste e maledette.
Urla tutto attorno.
Graffi tracciati da mani disperate. Tagli sulla corteccia che è stata testimone di notti che non avrebbero mai dovuto vedere la luna. Squarci provocati da strumenti di tortura e piacere. Peccato soltanto che il piacere fosse per qualcuno, e la tortura per qualcun altro.
Ancora urla.
Le stesse civette non osano avvicinarsi a quegli alberi, come a voler dimostrare che tutto il mondo sa quello che avviene tra quelle pareti trasparenti che sono delimitate da un percorso nascosto nel parco, celato alla vista di tutti ma praticamente sotto gli occhi di chiunque. Niente civette, niente uccelli che con il loro canto porterebbero allegria e gioia di vivere in qualunque posto poggiassero le ali.
Urla sempre più disperate.
C’è chi chiamerebbe “casa” questo posto, abituato alle empietà più oscure tramandategli da chissà quale convinzione, o per semplice diletto. C’è chi ammirerebbe tutto quello che succede qui attorno per il solo piacere della trasgressione, o della più bieca follia umana. C’è chi scriverebbe racconti su quanto avviene tra questi monoliti di legno per il più puro piacere di provocare brividi lungo la schiena di chi legge, senza far trapelare il fatto che in realtà è tutto vero. Tutto reale. Tutto assolutamente vivo.
Urla di dolore.
Sono un semplice scultore. Mi hanno commissionato una targa in legno, e finisco in questo posto per caso, senza sapere quello che mi si sarebbe parato davanti agli occhi. Davanti alla mente. Avrei dovuto svolgere il mio lavoro e basta, un compito semplice come tante altre volte prima di oggi, ma mi sono bastati pochi sguardi per rendermi conto che questa volta sarebbe stato diverso. Ed in effetti, dovevo rendermi conto che quella scritta era particolare, e che c’era qualcosa di inquietante in tutto quello che mi era stato commissionato.
Urla agghiaccianti.
Consegno il mio lavoro e cerco una scusa per andarmene il prima possibile. No, non mi interessa vedere dove andrà attaccata. Si, sapete, c’è mia moglie che mi aspetta a casa. Devo proprio andare, lo so, mi farebbe veramente piacere assistere al momento del posizionamento. No, veramente. Devo andare. Grazie e arrivederci. Buone cose.
Urla soffocate.
Mi allontano con il gelo nel cuore. Non posso cancellare dalla mente quei graffi. Quei tagli. Quegli squarci che domani saranno ancora allo stesso posto. Ed il problema è che so che altri si affiancheranno ai primi. Altri graffi si uniranno ai precedenti. Altri tagli si intrecceranno con quelli già presenti. Altri squarci disturberanno le tenebre della notte unendosi a quelle urla. A quelle urla.
Urla tutto attorno.
Tornate alla vostra vita quotidiana, perché quello che avete visto non fa parte di voi. Quello che avete sentito ve lo siete immaginato. Quello che avete letto non è vero, non lo è mai stato. Tornate alla vostra vita quotidiana perché il male non esiste, giuro. Era una semplice targa di legno. Signore, ti prego, perdonami. L’impossibile non diventerà mai possibile. Mai. Ma io oggi ho avuto le prove del contrario. Le ho viste con questi miei occhi. Le ho toccate con queste mie rude mani. Le ho sentite con queste mie orecchie.
Urla sconosciute. Fhtagn.

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3 aprile 2007
SORRISO

Cos’è un sorriso?
Un istante di leggerezza, un attimo di pace, un singhiozzo di gioia. Un sorriso è un gesto da regalare a chi ci sta di fronte, a chi vogliamo, a chi conosciamo e a chi vorremmo conoscere. Un sorriso è un ricordo che serberemo nella memoria anche quando non l’avremo più davanti a noi, anche quando non saremo spensierati e sereni.
Donate un sorriso a chi avete di fianco. Magari non se lo merita, magari non se lo ricorderà finchè non sarà troppo tardi, ma a voi non costa niente. Donate un sorriso a chi avete vicino. Potrebbe essere il momento migliore della sua giornata. Potrebbe diventare il momento migliore della vostra. Donate un sorriso a chi volete.
Per lui. Per voi.
Cos’è un sorriso?
È un verbo riflessivo da coniugare all’infinito. È un sussurro silenzioso nel buio della notte eterna. È la vita che vi sorride e vi pone una sola domanda.
Cos’è un sorriso?
La risposta è già in voi. Trovatela.

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2 aprile 2007
DESERTO

Doveva andarsene. Scappare. Urlare. Liberarsi di quello sporco che si sentiva addosso, che lo bruciava, lo contaminava, lo serrava. Non gli lasciava spazio. Lontano da quella stanza, lontano da quel parco, lontano da quelle scritte. Lontano da dio.
E pensare che tutto era cominciato nel modo più innocuo, nella maniera più casuale, inaspettata, innocente. Vieni alla mia festa di compleanno? Certo, mi fa piacere.
Poi quella casa. Quel parco immenso. Quell’albergo in ristrutturazione. Quei segni. Quei dettagli. Quegli indizi marchiati a fuoco nel legno e nella natura contaminata dalla follia. Quelle scritte. Quelle scritte impossibili da dimenticare. Quelle scritte dannate. Quelle scritte arcane e misteriose, simulacri di riti dimenticati e oscuri, ma sempre presenti nel più profondo del pozzo dell’inganno. Quelle scritte curiose e ammalianti, affascinanti e terrificanti allo stesso tempo. Maleodoranti. Quelle scritte immerse in un parco antico come la morte stessa. Quelle scritte blasfeme e rinnegate.
Un parco talmente grande per i suoi miseri 14 anni che avrebbe potuto essere il mondo intero. Un parco talmente strano che mai ne aveva veduti di eguali, in precedenza. Un parco talmente oscuro che i pochi sprazzi di luce illuminavano strani ceppi bruciacchiati e disadorni di ogni umanità. Un parco destinato a diventare un ricordo da rimuovere, da dimenticare, da cancellare il più in fretta possibile.
Giochiamo, dai. Vieni qui.
Un gioco innocente che avrebbe potuto finire in modo completamente diverso. Un gioco strano, diverso. Un gioco unico. Facciamolo dai. Vai a prendere le corde, papà? Tu aspetta qui. Aspetta. Ti copro anche gli occhi. È divertente dai. Poi tocca a me. Non avrai paura, vero? Aspetta. Torniamo subito. Adesso arriviamo.
E poi il vuoto. Il silenzio. Oppure no.
L’impressione di sentire voci e suoni che non pensava neanche potessero esistere sulla terra. Ph’nglui. L’impressione di non essere solo, ma circondato da occhi che lo fissavano, lo scrutavano, lo esaminavano. Mglw’nafh. L’impressione di essere destinato a qualcosa di diverso di un innocente gioco in un parco sconosciuto. Fhtagn. L’impressione di essere sul ciglio di un precipizio profondo come la follia più estrema e gelata.
Ma una fortuna, in tutto questo. Non essere solo, ma con due compagni di sventure. Che non potevano infine arrivare in un momento migliore. Cosa stai facendo? Andiamo. Andiamo via. La luce accecante gli cancellò alcune impressioni, ma non tutte. Alcune restarono, albergate com’erano nel più profondo del suo intenso spirito ancora ignaro delle oscurità e perversioni del mondo. E poi la corsa. Quella corsa liberatrice, oltre quel cancello che separava quel parco dalla vita normale. La vita di tutti i giorni. Una corsa da spezzare il fiato, che lo portasse lontano da tutto quello che aveva visto quel giorno. Da quel che aveva sentito, o creduto di sentire.
Quelle scritte. Attaccate agli alberi, bruciate sulle pareti della sua memoria, per l’eternità. Quelle scritte avrebbero torturato i suoi ricordi per sempre, bruciando quei 14 anni di vita e lasciandoli al passato come un foglio annerito dal sole in un deserto arrugginito e dimenticato da dio.
Deserto. Dove l’impossibile diventa possibile.

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1 aprile 2007
FUTURO

Il tempo avanza inesorabilmente. Avanza sempre e comunque, come una gru senza freni in una strada affollata, destinata a travolgere chiunque si trovi sul suo cammino. Ed è impossibile non trovarsi sul suo cammino. Decisamente impossibile. Tutto questo, Lui lo sapeva benissimo.
A volte, nel mezzo della notte o mentre sorseggiava un caffè al bar, gli veniva da chiedersi come avrebbe vissuto in un mondo in cui il tempo fosse andato avanti, invece che indietro. A volte si chiedeva come avrebbe reagito l’umanità intera se fosse stata in grado di progredire, invece di regredire come succedeva allora. Come era sempre successo, come sarebbe successo per sempre.
Il 2027 stava volgendo al termine, e tra pochi mesi sarebbero entrati direttamente alla fine del 2026. Avrebbero dovuto abbandonare una parte di tutte quelle comodità a cui erano stati abituati dalla nascita, semplicemente perché non le avrebbero più avute davanti a loro, non sarebbero più state in commercio, non ne avrebbero nemmeno più serbato il ricordo del funzionamento. L’unico frammento che sarebbe rimasta loro di tutto quanto, sarebbe stata la sensazione di aver perso qualcosa di importante, qualcosa di unico, qualcosa di vitale ma che non avrebbero più conservato se non in qualche angolo recondito della loro memoria.
Lui era solito porsi domande del genere. Che senso avrebbe avuto la vita, nascendo giovani e privi di esperienze, per poi colmarle nel corso degli anni? Era un pensiero troppo strano e fumoso, per potervi ragionare apertamente e liberamente. Lui sapeva che si nasceva già con tutta l’esperienza a cui si era destinati, esperienza che poco per volta diminuiva mentre si diventava giovani, fino a sparire del tutto in quel lampo bianco che tutti temevano e che era la nascita. E forse era proprio per questo che il progresso era destinato a diminuire: per il semplice fatto che anche le esperienze tendevano a scomparire con gli anni, mese dopo mese, minuto dopo minuto.
Tra qualche tempo avrebbe detto addio ai veicoli aerei che gli consentivano di spostarsi agevolmente da una parte all’altra del continente in cui viveva, e che cominciava a stargli stretto. Tra qualche tempo avrebbe detto addio a gran parte di quei computer che gli regolavano la vita rendendola talmente facile da rasentare la noia. Tra qualche tempo non sarebbe stato nemmeno più sposato con Lei, e questo era il pensiero che più gli spezzava il cuore.
Cosa sarebbe stata la sua vita tra qualche anno? Cosa ne sarebbe stato di Lui, quando tutti i ricordi avrebbero iniziato a lasciare il posto a quell’inconsapevolezza e quella spensieratezza che non erano altro che le prime avvisaglie della nascita? Non lo poteva sapere. Così come non sapeva come il mondo si sarebbe comportato senza l’appoggio della tecnologia che aveva scandito gli anni fino ad allora, tecnologia che nei prossimi 30 sarebbe quasi sicuramente scomparsa del tutto. Nel volgere di pochissimo tempo, aveva come la convinzione che tutte le regole morali che avevano governato il mondo sarebbero state capovolte e il mondo avrebbe rischiato di collassare su se stesso, privato di quelle certezze su cui non bisognerebbe mai fare troppo affidamento. Ma sono proprio quelle certezze su cui poggiano intere esistenze, e inesorabilmente sono sempre le prime a crollare. In un certo senso, era felice di non dover assistere ai successivi 100 anni.
Forse i profeti, in fondo, avevano ragione. Forse tornando indietro con gli anni la vita sarebbe migliorata, si sarebbe ripreso quel rapporto umano a cui non erano mai stati abituati e che spaventava chiunque. Forse lo stress di una vita sempre frenetica e veloce sarebbe diminuito. Forse. Ma sarebbero allo stesso tempo venute a mancare tutte quelle piccole cose a cui non voleva pensare. Non ora.
Ora, Lui era in preda ad un mal di testa di quelli epocali. Un cerchio gli stringeva i pensieri stessi e sapeva cosa avrebbe dovuto fare per farlo passare. Lo sapeva perché quelli che stava provando erano i chiari sintomi di un dopo-sbornia che ancora doveva esserci e che Lui avrebbe dovuto causare. Il mattino, fortunatamente, stava per volgere al termine. La sera, quindi, lo aspettava con tutte le sue promesse di divertimento in compagnia di vecchi amici e di qualcosa di più di una pinta di un qualche liquore di cui non avrebbe poi ricordato il nome.
Forse, in effetti, berci sopra era proprio la soluzione migliore.

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