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7 Luglio 2008
EDGAR CAFÈ
Il sole splendeva già alto in cielo. L'interno della stanza era ancora scuro, segno di una serata trascorsa in compagnia di amici e di qualche bottiglia di buon vino. Le ore erano sfumate via leggere, con qualche postumo di consapevolezza per il futuro anteriore. I raggi penetravano adesso a fatica oltre le veneziane abbassate, trasmettendo pace e calma, e rendendo tigrato quel divano che lo aveva accolto e accudito nella notte. Ora, era infine giunto il momento: come tutte le mattine Edgardo si alzò, sicuro e delicato, e corse incontro alla sua giornata.
Edgardo non era una persona come tutte le altre. La sua vita era scandita da pensieri sonori che lui riusciva poi a convertire in azioni quotidiane. Per tutto il passare del tempo, per tutto il dipanarsi delle ore, il cervello di Edgardo era continuamente bombardato da input acustici che rendevano la sua esistenza differente da quella di tutti gli altri esseri viventi sulla faccia della terra. La musica che suonava nel suo cervello era una musica dolce, vellutata, quel tipo di musica che ti culla e ti sveglia di soprassalto, quel tipo di musica che non possiede l'immediatezza di una banale suoneria da cellulare, ma piuttosto le profondità di un sentimento condiviso. Ogni giorno della vita di Edgardo era un continuo susseguirsi di immagini e suoni, che lo portavano a vivere esperienze che pochi sarebbero stati in grado di capire, esperienze che pochi sarebbero stati altrettanto fortunati da saper ascoltare.
Ogni ora della sua vita era come un canzone che risuona in una vecchia radio, di quelle radio mezze impolverate e con grosse manopole per poter filtrare e rendere il suono sempre più perfetto, sempre più nitido, sempre più armonico con l'ambiente circostante. Ogni ora era un soffermarsi ed approfondire situazioni ed evoluzioni sonore che si riversavano in gesti come se fossero state eseguite da maestri musicisti e burattinai con esperienza decennale alle spalle. Ogni ora era un viaggio in un mondo che risuonava alto nella sua mente, con arrangiamenti classici e soluzioni acustiche che talvolta sfociavano in assaggi di ballate rock sullo sfondo di una voce sussurrata e trascinante. Una voce melodica e narrante. Una voce non banale, capace di renderti gli occhi gonfi di stupore come pochi altri, una voce capace di rispecchiare il sole, e richiamare a sè all'unisono l'immagine di ogni amata, e di ogni amante.
La spontaneità di tutte quelle ore è palpabile, in chi ha la fortuna di incontrare Edgardo. E' come ricevere visita da un vecchio parente che ti richiama alla memoria arcaiche melodie sature di fisarmoniche e mani che applaudono lentamente. Melodie di tempi che furono, melodie di tempi che non torneranno ma che ci tormenteranno invisibilmente. Melodie colme di accenti vissuti in prima persona, come gli strumenti solo riescono ad esprimere. E su queste melodie, su queste canzoni, su tutte queste ore della giornata di Edgardo, vi sono mani perennemente presenti. Mani che applaudono. Sempre, lentamente. Quasi in crescendo, ma senza la banalità di voler essere notate, e per questo ricordate. Mani che accompagnano, che stringono, che indicano, che soffrono. Mani che applaudono. Mani che piangono. Mani che suonano.
A fine giornata, come sempre, Edgardo era solito recarsi in quel vecchio caffè, e sedersi a riflettere sulla giornata che aveva appena vissuto. Sulla giornata che era appena terminata. Ogni giorno era in fondo uguale, ma ogni giorno diventava irripetibilmente diverso, come se avesse il dono di morire e resuscitare ogni notte, sotto lo sguardo attento e vigile della luna. Un giorno poteva nascere bambino, il giorno dopo condottiero della chiesa, il giorno dopo ancora poteva nascere cammello. E avanti così, per sempre, nell'illusione di sapersi costruire e plasmare un'esistenza con la leggerezza di note che sfumano sui soffi di un tempo soffuso. Per sempre. Le differenze tra un giorno ed il precedente, oramai lo sapeva benissimo, erano soltanto alcuni fattori marginali.
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