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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
14 Gennaio 2009
GENOVA BOULEVARD

Spazio.
In astronomia, è la porzione di universo situata al di fuori dell'atmosfera stellare o planetaria. In altre parole, è l'insieme di tutti quei posti che ci tolgono il respiro, quei posti fantastici in cui vorremmo andare o che desidereremmo tanto raggiungere, ma che per un motivo o per l'altro ci sono stati proibiti. Posti da sogno, posti che invidiamo a tutti quelli che al contrario di noi riescono a raggiungere, riescono ad ottenere. Posti incantati, che fino a qualche anno fa non eravamo in grado di immaginare. Posti che adesso ci sono stati negati, come se avessimo colto la mela proibita da chissà quale paradiso terrestre a cui nemmeno eravamo destinati.

Spazio.
In fisica, è l'elemento dell'universo attraverso il quale ci muoviamo e esistiamo, misurato nel sistema internazionale con l'unità di misura del metro e con i multipli, sottomultipli e derivati di quest'ultimo. In altre parole, è tutto quello che ci circonda, e che misuriamo [magari anche inconsciamente, ma comunque misuriamo] ogni giorno. Lo spazio a disposizione diventa un vero e proprio metro di giudizio per misurare i nostri spostamenti, se non il fine stesso. Cosa facciamo stasera? Dove andiamo? Dove? E' tutta una questione di spazi, e di obiettivi [fisici o meno] da raggiungere.

Spazio.
In grammatica, è l'elemento che separa tra di loro le parole di una frase. In altre parole, nessun dialogo sarebbe possibile senza l'ausilio di questo piccolo strumento verbale e scritto, che rende tutto più chiaro e privo di possibili equivoci. Le bocche si aprono, comunicano tra loro, scambiandosi opinioni e pareri, e tutto attraverso quel piccolo elemento invisibile che non è più un fine, ma il mezzo più potente per fare chiarezza. La parole sgorgano dalla penna, scritte come piccoli segni neri sul bianco di quel foglio di carta che tutto racchiude in se stesso. E tra tutte le parole, che siano urlate o miniate, c'è sempre lui, c'è sempre la sua invisibile presenza. Intangibile come un desiderio che non si riesce a raggiungere. Trasparente come il vento, e capace allo stesso tempo di gelare nel freddo dell'inverno o riscaldare durante l'estate del discorso. Incorporeo come l'anima stessa.

E' tutta una questione di spazi. Sempre.
Spazi che mancano sempre di più, e dei quali a Genova si sente la mancanza. Quali sono quei posti dove si può fare musica, oggi? Dove sono gli spazi in cui si possa coltivare l'arte musicale, la cultura del suono? I locali continuano a chiudere, uno dopo l'altro, cadono come soldati al fronte, oppressi e soggiogati da restrizioni sempre più pesanti, sempre più soffocanti. Esiste un palazzetto dello sport, ma è adatto solo per grandi eventi. Esistono arene e palchi all'aperto, ma non sono praticamente utilizzabili al di fuori della bella stagione. E cosa resta? Restano alcuni circoli ARCI, restano i centri sociali che per natura sono sempre criticati, e resta una manciata di luoghi al di fuori del capoluogo ligure. Restano anche i festival estivi, organizzati col sudore da poche anime che ancora credono di poter fare qualcosa, e si attaccano ai loro sogni nella speranza di non svegliarsi tanto presto. Per il resto, non ci sono alternative per portare avanti discorsi di cultura musicale, ed è francamente assurdo. E' assurdo perchè proprio quest'anno si celebra il decimo anno dalla morte di Fabrizio De Andrè, il cantautore, il poeta, il simbolo della musica a Genova. E' assurdo perchè sembra quasi che a Genova la musica sia soltanto più quel nome, e non vi sia nient'altro. E' assurdo perchè se da un lato è corretto festeggiare e solennizzare un mito, dall'altra è meschino e ridicolo che una città che si vanta di avere un così nobile cantante si ostini poi a mettere i bastoni tra le ruote a chi cerca di portare avanti un discorso di cultura e di arte. Non è un fatto ignoto che Fabrizio abbia iniziato la sua carriera musicale cantando di ghetti, di vicoli malfamati, di storie vissute da gente povera e semplice, di emarginati. I ghetti degli anni '70 sono diventati i centri sociali di oggi, e ghetti sono anche tutti quegli spazi che vengono boicottati solo perchè osano cercare di alzare la testa e proporre discorsi artistici che fuoriescono dalla normalità. E dietro quale scusa si nascondono le istituzioni che dovrebbero promuovere la cultura? Non può non venirmi in mente il discorso che il manager faceva al povero scrittore nel famosissimo film Viale del tramonto: "io ho fiducia in te, io ti stimo, ma so che per essere creativo tu devi fare la fame, e perciò ti tolgo tutto...". Sappiamo benissimo a quale universo al di fuori dell'atmosfera stiamo puntando. Sappiamo benissimo dove vorremmo arrivare. Sappiamo benissimo che quello che manca è un dialogo. E dunque è a questo che siamo arrivati? Alla celebrazione dei miti del passato, oramai troppo grandi per esistere in questo piccolo mondo, e al tentativo di distruzione di tutto quello che ne è venuto dopo? Siamo dunque arrivati al nostro viale del tramonto?

E' tutta una questione di spazi, dicevo: la musica è ancora grande, è Genova che è diventata piccola.

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