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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
10 Maggio 2000
IN THE WOODS... - THREE TIMES SEVEN ON A PILGRIMAGE

Tre volte sette. Un titolo curioso per l'ultimo lavoro degli In The Woods..., che raccoglieva i tre "sette pollici" pubblicati negli anni passati. E questi norvegesi sembravano proprio voler giocare con i numeri in questo loro disco numero quattro, che sommato ai tre singoli raggiungeva proprio la magica quota sette. Tre volte sette. Ventuno. Due più uno. Tre. Il numero perfetto.
E perfetto sembrava anche l'album, al punto che il Gatto Fenriz si chiedeva cosa mai ci poteva essere nell'atmosfera in Norvegia per far uscire gruppi geniali come i Motorpsycho, i The 3rd And The Mortal, e appunto gli In The Woods...!
Recensire questo disco significava in un certo senso gettare uno sguardo su tutta la carriera passata, perché racchiudeva in se l'evoluzione subita e creata dai tempi di "HEart Of The Ages", quando ancora il suono richiamava quegli eccessi black metal che erano invece cominciati a svanire nel successivo "Omnio", per essere soppiantati definitivamente dalle melodie acide e psichedeliche di "Strange In Stereo".
Quattro dischi, che erano sempre stati intervallati dall'uscita dei sette pollici. Il primo, "White Rabbit", conteneva l'omonima cover dei Jefferson Airplane e "Mourning the death of Aase" (dedicata ad Edvard Grieg, da sola meritava l'acquisto del disco!), una rivisitazione di una canzone apparsa sul primo disco, stravolta per l'occasione dalle gelide, lancinanti e in un certo senso erotiche qualità vocali della straordinaria singer.
Il successivo singolo "Let There Be More Light" (la cover dei Pink Floyd) preannunciava quello che sarebbe stato il sound del terzo disco, ed era quindi più acido e oscuro. L'altro brano "Child of universal tongue" vantava un suono meno immediato, perché racchiudeva un senso di fatica, di melodia che soffre per uscire fuori, che si agita ma sembra non riesca a farsi notare.
Il terzo e ultimo mini "Karmakosmik" era una vera e propria bomba. Persa un po' di quella acidità ossessiva dell'album precedente, riapriva la strada ad una triste melodia sempre condita dal doppio cantato maschile e femminile e da linee di chitarra che soavemente districavano l'intera composizione. "Epitaph", la cover dei King Crimson, non era da meno ma anzi esaltava ancor di più quella sensazione di triste tranquillità (chi ha detto o pensato "prati verdi e cagnolini" non potrebbe essere più lontano dalla verità!).
Quattro brani nuovi infine completavano il nuovo disco. Un'intro strumentale, che aveva le sorti di aprire le danze all'intero lavoro, basata su una chitarra liquida e cosmica che navigava all'interno dello spazio artistico creato dagli In The Woods..., uno spazio che partiva direttamente dagli anni '70 e portava a "Empty room", song dapprima lenta ed evocativa che poco per volta cresceva e cresceva, fino a scoppiare in urla di dolore e rassegnazione placate solo in un secondo tempo da una voce ora angelica ora alienata. Erano inoltre state aggiunte delle basi campionate quasi trasparenti che si fondevano e quasi scomparivano tra le chitarre, per poi ricomparire nella canzone "Soundtrax for cycoz", più inquietanti di prima, più oniriche che mai.
Il disco infine si chiudeva con "If it's in you" di Syd Barret, dallo struggente inizio pizzicato e dai suoni decisamente retrò. Per trovare l'anima degli In The Woods... bisognava infatti andare indietro di almeno trent'anni, quando in giro c'erano ancora gruppi quali gli Hawkwind, per capire il senso della melodia e il gusto di fare musica che traspariva dalle nuove composizioni. Ipnotiche sperimentazioni sonore. Decisamente ammalianti.
Era la musica che comandava, al punto che gli In The Woods... in passato non avevano mai pubblicato nei booklet le loro foto. Nei primi album erano invece raffigurate immense distese boscose colpite da luminosi raggi solari o coperte dalle più oscure tenebre. Si dava così la parola ai suoni, alle emozioni che immancabilmente riuscivano a trasmettere con quelle canzoni che entravano nell'anima per non uscire più. Solo in "Strange In Stereo" erano comparse per la prima (ed unica) volta i volti dei norvegesi. Ora erano nuovamente scomparsi.
Quattro brani nuovi, quattro cover. Il disco numero quattro. Tre volte quattro, tre volte sette. Il Gatto Fenriz spense lo stereo, si alzò e si diresse verso il salotto. Era appagato di quell'ora abbondante di musica, ma adesso accese la TV e avviò il televideo. La pagina 777 lo stava aspettando...

[Commento lasciato da bluenowere il 24 Aprile 2004]
Come al solito faccio casino!! ;OP
...cmq finalmente ho capito come usi il tempo invece di adempiere ai tuoi doveri di ricercatore!! Ciao Zuuuuppaaaaaaaaaa!!

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