Nei primi mesi di quest'ultimo anno del millennio e' uscito Spellbound, ultimo album in ordine cronologico dei Ten di Gary Hughes e Vinny Burns, album che sin dalle prime note si rivela essere di pregevole fattura.
Questo Spellbound e' un album trascinante dall'inizio alla fine, che ti sa prendere e condurti per tutti i dodici brani che lo compongono senza mai stancarti grazie alla sua incredibile raffinatezza a livello di tecnica e d'atmosfere, ma anche alla sua grinta ed energia, alla sua potenza e alla sua dolcezza.
L'intro e' la bellissima March of the Argonauts, uno strumentale dai toni fortemente epici, come richiede il suo titolo, che comincia con dei tamburi martellanti e sfocia in un riff dalla melodia indimenticabile per poi introdurre la grandiosa Fear the Force, potente come richiede il suo nome ma sempre molto melodica. La particolarita' di quasi tutte le canzoni e' un uso delle chitarre davvero singolare. In pratica mentre la chitarra ritmica suona i riff che fungono da impalcatura per la struttura del brano, l'altra chitarra si lancia in soli e fill funambolici che creano le bellissime melodie che contraddistinguono quest'album.
Dopo l'energica Inside the Pyramid of light, che si distingue per i suoi contro tempi, c'e' la title track. Questa ha un attacco davvero forte, con una batteria davvero tellurica seguita dalle chitarre. Poi tutto si ferma per dare spazio alla caldissima voce di Hughes, che offre una prestazione formidabile per tutto l'album, nel primo degli stacchi che segnano tutta la song. Il ritornello si basa sempre sulla forza della batteria e sulle melodie delle tastiere.
E' quindi la volta di We Rule the Night, abbastanza semplice come canzone, anche se devo dire che a me piace abbastanza nella sua epicita' evocativa: chitarra acustica, tastiere e Hughes che mette i brividi per come canta.
Giunge poi il momento centrale dall'album, con le due canzoni piu' belle, o per lo meno le mie preferite, ovvero la strumentale Remembrance for the Brave, dove flauti e violini la fanno da padrone, che funge da apripista per la grandiosa Red. Questo e' un inno agli Scozzesi e alla loro voglia di liberta', un incitamento alla lotta. Incomincia con la chitarra acustica la sola voce del biondo cantante accompagnate da una seconda chitarra in sottofondo che tesse la melodia per poi sfocia, alla parola Red, in una song potente ed epica, con tanto di doppia cassa ed assolo al fulmicotone.
Una canzone che ho sentito a ripetizione e che da sola vale il prezzo del cd.
Dopo The Alchemist, che conferma sempre come si possano fare canzoni potenti ma con una melodia incredibile e una classe unica, ecco la prima vera ballad dell'album ovvero la dolce Wonderland che si distingue per la voce di Hughes innanzitutto e per i contro cori all'inizio del ritornello.
Dopo un attimo di paura, ancora un po' di metallo con Eclipse e The Phantom. In particolare, quest'ultima e' davvero coinvolgente per le sue strane strofe in cui si distinguono basso e batteria e dove le chitarre sono relegate in secondo piano a fare solo da accompagnamento.
L'album si chiude con la seconda ballad Till the End of Time, in cui la voce di Hughes e' accompagnata dal piano.
Insomma le caratteristiche principali di quest'ultima fatica dei Ten sono la potenza mescolata sapientemente alla melodia, con due pizzichi di classe infinita, una voce da brividi e con contorno di pathos epico. Che volete di piu'? Ha anche la copertina piu' bella del 99 a mio parere!
Andate a cercarvelo, ne vale la pena!