STRATOVARIUS - infinite
Febbraio 2000
E' sempre difficile riuscire a recensire un album del genere, trovare il giusto approccio nei confronti della band e del suo lavoro... Perche'? Perche' fondamentalmente si pone il problema di come valutare un disco che non dice assolutamente nulla di nuovo rispetto a quanto fatto in precedenza, non solo dagli Stratovarius stessi, ma anche da tutte le band da cui Tolkki & C. traggono "ispirazione". Dovendo vagliare questi aspetti, questo Infinite va incontro ad una stroncatura totale: non solo appaiono costanti, come gia' in passato, continui deja vu (per non dire scopiazzature) di materiale proprio e altrui... ma ormai si e' andata persa completamente anche quella freschezza che aveva caratterizzato, quantomeno, i lavori della band fino ad Episode compreso.
Inutile... Gli Strato di adesso sono una band totalmente ferma, che ha trovato la formula giusta per vendere e si limita a riproporla all'... "Infinite", rendendo infinita anche la noia dell'ascoltatore piu' smaliziato, quello che non si accontenta di sentire ripetute all'infinito (ehm...) le solite poche idee.
Detto questo, e' da notare come, preso a se' (e lasciando quindi da parte queste doverose considerazioni), questo disco non si rivela comunque inferiore alle ultime prove della band, anzi: se avete apprezzato Destiny e Visions, e non vi da fastidio ascoltare una band che varia pochissimo il proprio stile, di sicuro non sarete delusi da questo Infinite.
L'album pero' si apre, nella maniera peggiore possibile, con Hunting High & Low, pezzo che trovo veramente insopportabile nel suo voler riproporre con lo stampino S.O.S., l'opener del precedente Destiny. Come gia' detto nella recensione del singolo del mese scorso (che per completezza ritrovate allegata qua in fondo), la situazione migliora decisamente con la speed song Millennium... Siamo ben lontani dal capolavoro, ma questa cavalcata mostra comunque una decisa vitalita'.
Con Mother Gaia le atmosfere cambiano totalmente: ballata "d'atmosfera" (con cantato alla Before The Winter/Season Of Change) interrotta a meta' da un irritante stacco pianistico in stile Queen (irritante perche' Mercury & C. queste cose le facevano Infinite-mente meglio, con tutto il rispetto). La parte piu' interessante e' senza dubbio il finale, con chitarra e tastiere a ripercorrere le orme di certe arie di Bach, ma complessivamente siamo di fronte a un pezzo decisamente stucchevole e noioso.
Con Phoenix ci risvegliamo, e ci ritroviamo una delle tracce piu' riuscite dell'album: a meta' fra mid tempo e accelerazioni speed, con qualche interessante scarica di una chitarra un po' piu' cattiva del solito (pero' sempre naturalmente nell'ottica del solito, formalissimo, Stratovarius-sound... ODIO queste produzioni cosi' perfettine e pulite, ma totalmente asettiche e glaciali). Un coro un po' troppo lezioso e' probabilmente il difetto piu' grosso di questa canzone.
Su ottimi livelli si attesta la Rainbow-esca Glory Of The World: sinfonica, epica, trascinante e sostenuta da un notevole lavoro del grande Jens Johansson, che fra l'altro si diletta a trovare sonorita' strane per i suoi assoli. Indubbiamente il pezzo migliore dell'album (guarda caso l'ha scritto proprio Jens!), e comunque una delle cose piu' riuscite dai tempi di Episode.
A Million Light Years Away invece e' un mid-tempo che non decolla e non va da nessuna parte, nonostante, ancora una volta, un ottimo lavoro di Johansson (su Infinite decisamente piu' ispirato che in passato... anche se e' chiaro che il ruolo di keyboard player degli Stratovarius continua ad essere estremamente limitativo e riduttivo per un musicista del suo calibro).
Sostenuta da tastiere utilizzate a mo' di trombe (si vede che Jens si e' divertito, a suonare nel secondo disco dei Blackmore's Night) ecco Freedom, il pezzo piu' veloce del disco, con un refrain simile a quello di Forever Free. Un po' scontato, ma tutto sommato direi che c'e' di peggio.
E' poi la volta di Infinity, e qui gli Strato dimostrano di avere apprezzato molto Scenes From A Memory dei Dream Theater: dopo un attacco di vago stampo prog, entra infatti una parte di voce e chitarra acustica che ricorda decisamente l'opener dell'ultima fatica della band di Petrucci (anche se, visti i tempi di lavorazione dell'album, c'e' la possibilita' che di coincidenza si tratti). Comunque il pezzo e' un altro degli high-lights dell'album, con interessanti cambi di tempo e di nuovo un Jens Johansson strepitoso, a sostenere questa lunga canzone di stampo sinfonico (che chissa' perche' mi ha ricordato un po' le colonne sonore di Guerre Stellari).
Ottima conclusione affidata a Celestial Dream, elegante pezzo acustico che per certi versi ricorda un po' la grande Space Oddity di Bowie (!!!), anche se naturalmente manca l'atmosfera surreale che caratterizzava quel grande classico. Il pezzo e' indubbiamente bello, peccato che sia troppo breve (2 minuti e mezzo) e sfumi proprio al momento di decollare. Un'occasione mancata!

Insomma... Io la mia l'ho detta: se siete fan sfegatati e proprio non ne potete fare a meno, compratevi anche questo Infinite, dato che con ogni probabilita' vi piacera'. Ma il mio consiglio e': se amate il rischio, lasciatelo perdere e dedicatevi a riscoprire qualche classico delle band che piu' hanno "ispirato" Tolkki & C. E vedrete che album come Rising dei Rainbow o un Mindcrime dei Queensryche vi apriranno un mondo!

VOTO: 1/1
Purple74
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INFO:
Anno: 2000
Etichetta: Nuclear Blast
Distribuzione: Audioglobe
Durata: 49.54 minuti
Leggi la recensione del singolo
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