Impressionante secondo lavoro per questi Soilwork, una tra le migliori band uscite dalla penisola scandinava negli ultimi due anni. Se In Flames e Dark Tranquillity (indubbia-mente band leader del movimento svedese) con i rispettivi ultimi dischi hanno segnato chi la cristallizzazione e chi la trasformazione del proprio suono, i Soilwork rappresen-tano invece un'ipotetica "terza via", che recupera le radici piu' selvagge del genere e le esaspera, modernizzandole senza pero' allontanarle dallo spirito originale. I due chitarri-sti inanellano riff taglienti che si susseguono senza pieta', ad innalzare un vero muro so-noro (quasi industrial metal), sostenuto da una sezione ritmica incalzante (anche se non particolarmente fantasiosa) e da una discreta dose di tastiere di atmosfera. Anche il cantato esagitato si distacca dagli stereotipi death metal per avvicinarsi invece al piu' classico stile thrash. Il tutto condito da una sana attitudine "heavy metal" che si rifa' si-curamente piu' ai Judas Priest che ai pupazzetti fantasy tanto di moda oggi, impressione confermata anche dai testi tipo "ammazza ammazza spacca spacca". Come non vedere in questa "Chainheart Machine" il nipotino giovane e incazzato del caro vecchio "Painkiller"?
Non c'e' un attimo di respiro per l'ascoltatore, letteralmente travolto dalla title-track po-sta in apertura, un brano demolitore con la ritmica in grande spolvero e un assolo malmsteeniano innestato su basi death metal. Su queste coordinate si muovono anche altre canzoni, come la devastante "Generation Speedkill", "Possessing the Angels" e "Bulletbeast": parti velocissime, suonate pero' con una notevole perizia degli arrangia-menti chitarristici, si alternano a momentanei stacchi mid-tempo, che non fanno altro che esaltare le corse a perdifiato della band. In certi punti (la citata "Bulletbeast, all'altezza dell'assolo) la chitarra ritmica e' davvero impressionante. Nella furia senza pieta' che marchia tutto il disco si distinguono l'attacco maideniano di "Millionflame" (che potrebbe essere un brano degli In Flames, se non che e' decisamente piu' brutale), gli assoli doppiati dell'accattivante "Neon Rebels" e soprattutto il fantastico lavoro soli-stico della massacrante "Machinegun Majesty", dove suona l'ospite Mattias Eklundh (Freak Kitchen). Unici momenti di respiro sono il pomposo inizio di "Spirits of the Fu-ture Sun" (forse il mio brano preferito) che pero', dopo dieci secondi, riparte a testa bas-sa, e la leggermente piu' cadenzata "Room no.99", che, non so perche', mi riporta vaga-mente alla mente i Carcass. La versione giapponese di "The Chainheart Machine" con-tiene una bonus track, "Shadowchild" che mescola il solito approccio brutalizzante a un ritornello cantato con voce pulita su basi tastieristiche: un brano sperimentale ma inte-ressante.
I Soilwork dimostrano con questa seconda release di essere una delle nuove leve piu' interessanti del mondo metallico. Gli evidenti progressi fatti rispetto al primo disco li pongono nella stessa scia degli Arch Enemy, per il gusto della commistione tra brutal death e assoli di scuola vetero-metallica. Certo, i fratelli Amott e la loro band sono piu' avanti tecnicamente e compositivamente, ma la violenza dei Soilwork non e' davvero seconda a nessuno. Se riusciranno a correggere alcune sbavature (prima tra tutte, l'uniformita' della sezione ritmica), questi svedesi diventeranno presto una band di pri-maria importanza nella futura scena death-thrash. Ci contiamo.