ROYAL HUNT - fear
Novembre 1999
Quando si parla di Royal Hunt non si puo' prescindere dal fare paragoni con quello che e' considerato universalmente il loro capolavoro: "Moving Target". Ed infatti il loro precedente album ("Paradox") per chi scrive resta un capitolo poco riuscito in quanto troppo simile al succitato masterpiece.
Da questo punto di vista questo "Fear" soddisfa a pieno, riuscendo a svincolarsi da quanto proposto fino ad ora dal gruppo e al contempo conservandone lo spirito, con parti strumentali elaborate, arricchite da orchestrazioni, e ritornelli facili da ricordare. Ma cio' che piace di questo platter e' l'uso della chitarra: Kjaer si dimostra chitarrista solista di valore, e ci regala qualche solo da manuale.
Altro elemento da considerare e' il cambio di cantante che la band ha affrontato negli ultimi mesi (con l'inevitabile strascico di polemiche non ancora placate); ed e' la seconda volta che cio' accade, anche se Henrik Brockmann probabilmente ce lo ricordiamo in pochi... John West e' un singer espressivo, capace di toccare diversi registri, che restituisce al suono dei Royal Hunt quella vena Hard Rock piu' presente nei primi dischi e al contempo dimostra di essere a suo agio in pezzi vicini all'ultima produzione (Faces of war).
La prima cosa che si nota di questo "Fear" e' il numero di pezzi (sette) che unito alla durata non eccessiva del tutto farebbe pensare ad un lavoro frettoloso; e in parte l'impressione non sparisce completamente dopo un ascolto attento del disco. Piu' che altro per la mancanza di omogeneita' qualitativa nello stesso.
Mi spiego. La vera perla e' la title-track: nove minuti di poesia, con un intro strumentale da brivido sfociante in un'apertura semi-acustica. Un pezzo melodico, accostabile addirittura al migliore AOR, dove West mostra tutta la sua abilita'. Purtroppo resta un episodio a se', e di questo mi dolgo perche' se tutto il cd fosse a questo livello ora starei a parlare di capolavoro assoluto, il resto invece gira su binari almeno in parte gia' battuti e l'unica traccia che per intensita' ci si avvicina e' la conclusiva "Sea of time".
Intendiamoci: siamo di fronte ad un grande disco, certamente da collocare ai vertici della produzione Royal Hunt, ma non e' perfetto purtroppo.
Pur contenendo pezzi notevoli come "Voices", "Cold city lights" (con West che in certi momenti ricorda terribilmente Don Dokken) o la bella ballad "Follow me" (a dire il vero un po' scontata) il disco lascia l'amaro in bocca proprio perche' tutti questi restano ben al di sotto della title-track.
Un lavoro comunque notevole, ripetiamolo, dal quale traspare l'immagine di una band matura, con un potenziale una volta di piu' enorme e soprattutto in forma. Una proposta coraggiosa, che allontana la band dai territori sicuri del power (ma siamo poi cosi' sicuri che vi sia mai entrata?) per avvicinarla ai lidi perigliosi dell'Hard Rock, che pare proprio sia vicino ad un ritorno in grande stile.

VOTO: 1/1
Marco LG
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INFO:
Durata: 49.07
Anno: 1999
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