Il Gatto Fenriz entro' nel suo negozio di dischi preferito e comincio' a
guardarsi intorno. Noto' quasi subito il nuovo lavoro dei Moonspell, e
ne chiese una copia al Sacro Pino.
"No, una schifezza del genere a te non la vendo", lo fulmino' uno dei
tre gestori di Ragnarok Records. Cosa poteva avere indotto il suo
vecchio amico Dotto Pino a sconsigliargli quell'album con tali parole?
Nonostante tutti i dubbi che cominciavano a germogliare nel suo
tormentato animo, il Gatto Fenriz rincaso' e si preparo' all'ascolto.
"The Butterfly Effect", l'Effetto Farfalla. Al Gatto Fenriz erano sempre
piaciute le farfalle, ma sapeva che in quel contesto gli insetti non
c'entravano niente. Tale nome era infatti la spiegazione di un concetto
scientifico secondo il quale un minimo cambiamento nell'ordine delle
cose poteva portare ad enormi sconvolgimenti e variazioni impreviste.
Una farfalla che sbatteva le ali a Pechino avrebbe potuto causare un
temporale in Italia.
Teoria. Al Gatto Fenriz interessava la pratica adesso, e indirizzo
quindi le proprie sensazioni all'ascolto del disco.
"Soulsick" era il primo brano che apriva le danze, e iniziava a spiegare
la realta' dei Moonspell nel 1999. Il progetto parallelo Daemonarch
aveva lasciato i suoi influssi, soprattutto nel cantato di Fernando e in
certe parti di chitarra e batteria.
"Butterfly fx", che dava il titolo all'intero album, era una canzone
stoppata molto particolare, di sicuro impatto.
"Can't bee" era invece un brano lento (non una ballad!) con scoppi
improvvisi tetramente epici.
"Lustmord" era invece forse la canzone piu' violenta dell'intero album,
con delle percussioni che tiravano le funi di tutti gli strumenti e
conducevano alla successiva...
..."Selfabuse", dominata da un pesantissimo basso, ricca di pause,
rallentamenti e magiche atmosfere regalate da una grande tastiera.
"I am the eternal spectator" si faceva ricordare invece per essere
industrialeggiante, col cantato di Ribeiro che strizzava l'occhio ai
Fear Factory di Demanufacture e ai Type O Negative.
"Soulitary vice" (carino il gioco d parole) aveva una chitarra ipnotica
che, come il ronzio di una mosca, gli entrava in testa e non usciva piu'.
"Disappear here" era forse il brano meno riuscito, una canzone lenta
senza grossi spunti personali.
"Adaptables" era un'altra canzone stoppata molto particolare, e
sicuramente trascinante.
"Angelizer" era invece l'essenza del sound Moonspell in questo disco.
Cambi melodici frequenti, parti lente che diventavano violente per poi
tornare lente.
"Tired" giocava molto col Requiem di Mozart, che faceva da intro alla
canzone, ricompariva al centro e chiudeva le danze.
"K" era la canzone che chiudeva il disco ed era suddivisa in due parti:
la prima, strumentale, era decisamente rilassante a tal punto da far
sembrare di essere al centro diuna giungla amica popolata da fantastiche
creature; la seconda parte, invece, era una litania portoghese crescente
anticipata da un lugubre suono di campane a lutto ed accompagnata ora da
una caotica chitarra distorta ora da un organo inquietante.
Dovette confessare al proprio intimo di essere confuso. Il Gatto Fenriz
seriamente non capiva che cosa non andasse in quel disco. C'era
evoluzione sonora, c'era il recupero della cattiveria andata un po'
persa in "Sin/Pecado", c'era... non c'era una canzone immediatamente
riconoscibile. I Moonspell si stavano spostando verso scritture sempre
piu' criptiche (sperava che non sarebbero diventate troppo rischiose...) ma cosi'
facendo non riuscivano piu' a centrare quelle perle di canzoni che erano
riusciti a comporre in passato.
"Alma mater" e "Opium" erano ormai solo piu' un ricordo?
Il Gatto Fenriz miagolo', sperando che il vento gli portasse quelle
risposte che tanto desiderava.