Doveva succedere, prima o poi...
Senza fare troppi giri di parole, la verita' e' che i Marillion sono riusciti a produrre il primo disco realmente inutile della loro carriera. Non parlo da fanatico oltranzista della fazione
"quando c'era Fish era tutta un'altra cosa", dato che sono un'estimatore di lunga data della
svolta "Hogarthiana", ma da appassionato di un gruppo che ha dato moltissimo alla scena rock
non ottenendo (almeno negli anni novanta) il giusto riconoscimento da parte del pubblico. Un
disco inutile, dicevo, che manca quasi del tutto di guizzi vincenti, di emozioni vere.
Forse alla ricerca di un'accessibilita' "radiofonica"(almeno entro i patrii confini) che a mio
parere avevano gia' raggiunto (senza aumentare in modo significativo vendite ed airplay) con i
precedenti "Radiation" e "This Strange Engine", Rothery e soci si sono diretti verso un mix di
British pop-rock settantiano e piu' soffuse atmosfere tastieristiche (periodo "Afraid Of
Sunlight" circa).
Formalmente ineccepibili, le canzoni risultanti dall'esperimento mancano pero' di quella
scintilla che rende memorabile una composizione: brani come "Go" e "Enlightened" sembrano
promettere esplosioni di romanticismo che in realta' non arrivano, limitandosi ad accarezzare
l'ascoltatore e scivolare via senza lasciar segni duraturi.
Un po' meglio se la cavano le tracce piu' "energiche" e ritmate come "Deserve"(innervata da un
sax aggressivo ed in bilico tra produzione moderna e rock tradizionale) e soprattutto "Rich",
con il suo orecchiabilissimo motivetto da fischiettare sotto la doccia e l'incedere
contagiosamente sixties delle strofe.
Gli arrangiamenti complessi, attuali ed inconsueti tengono quasi a galla anche "Built-In
Bastard Radar", ma, in generale le poche idee azzeccate vengono diluite troppo allungando la
durata media dei pezzi.
In un'ottica pop, l'unico brano realmente riuscito e' "Tumble Down The Years": melodico e
sognante ma carico di un'energia dolce, sprigionata da limpidi arpeggi di chitarra e da un
ritmo deciso sostenuto dal pianoforte. Quasi un'out-take da "This Strange Engine"(avete
presente "80 Days"?) ed un possibile singolo di successo.
Note positive spazzate via dai 14 minuti di "Interior Lulu", una suite atmosferica nelle
intenzioni, noiosa e banale nei fatti. Raramente mi e' capitato di sentir produrre da gruppi di
tale valore un pezzo cosi' scontato, messo li' quasi per far abboccare all'amo i fans piu'
prog-oriented in virtu' della durata sopra la media: quattro minuti iniziali basati su di un
reiterato e placido loop di batteria, tappeti di tastiere ed una melodia vocale melliflua
lasciano spazio ad un acidissimo, violento assolo di tastiere per poi ricadere nello stato
semiletargico iniziale. Tutto qui? Magari fosse cosi', perche', in evidente crisi creativa, la
band decide di riciclare sprazzi(ipersemplificati) delle atmosfere pompose di "Clutching At
Straws"("Hotel Hobbies", in particolare). E avanti cosi' per un quarto d'ora...che tristezza.
Hogarth rimane uno dei migliori vocalist degli ultimi dieci anni ed un ottimo paroliere, il
resto della band si conferma raffinatissimo(dove sono finiti gli assoli di Rothery,pero'?), ma
mancano l'anima, l'intensita', lo struggimento, la stordente malinconia che hanno sempre
caratterizzato la band.
Non c'e' nulla che possa giustificare l'acquisto di "Marillion.com" da parte di un ascoltatore
che non faccia parte della ormai poco nutrita schiera dei fans. Per non perdere totalmente la
speranza invito questi ultimi a comprare comunque l'album ed a sostenere la band in virtu' di un
precedente ben noto: il successore di un disco non riuscito completamente come "Holidays In
Eden" e' stato il capolavoro "Brave". Speriamo che la storia si ripeta.