MACHINE HEAD - the burning red
Settembre 1999
The Burning Red chiude un’epoca ed apre un nuovo capitolo nella storia dei Machine Head. L’operazione COMMERCIALE e' palese (altro che Dark Tranquillity, Amorphis ecc...), il gruppo di Rob Flynn ha messo insieme il produttore piu' richiesto in America, Ross Robinson, influenze hip hop leggermente incattivite da schitarrate (Korn docet), ritornelli che gia' al primo ascolto entrano in testa ed anche qualche idea rubata a Marilyn Manson (fate il confronto tra "Desire to Fire", quando Rob comincia a cantare e "Dried Up, Tied..." da "Antichrist Superstar".
Che volete di piu' dalla vita? Una cover per esempio! Magari dei Police, possibilmente Message in a Bottle che fa ancora piu' trendy. Negli Stati Uniti impazziranno per questo disco, non mi stupirei se tra qualche mese, i nostri, siano i vincitori del’MTV Musci Awards. Dimenticatevi le accelerazioni di "A Nation on Fire" o le sfuriate di "The More Things Change..." qui vige l’equilibrio assoluto, ne troppo cattive (potrebbe dar fastidio a qualcuno), ne troppo pop (siamo sempre un gruppo metal!).
La struttura della canzoni e' standard, un pizzico di voce filtrata, un po’ di rap e ritornello con voce pulita, pochi assoli, quasi inesistenti. Dopo aver preso coscienza di cio', il disco e' piacevole, fila liscio come l’olio senza nessun picco, non c’e' una canzone migliore dell’altra o una piu' brutta dell’altra. Il cambiamento dei Machine Head e' stato studiato nei minimi particolari, hanno compromesso senza compromettersi.
Voto per il manager: 10 e lode!
VOTO: 1/1
Pierangelo
Devo confessare che me lo aspettavo. The burning red e' un dischetto che va giusto bene come sottobicchiere. Non nutrivo molta fiducia nei confronti del nuovo lavoro dei Machine Head gia' prima che uscisse, e purtroppo i miei timori sono stati confermati.
Il buon Robb Flynn la sa lunga, ed e' probabile che TBR venda benone, pieno zeppo com'e' di citazioni korniane, di ammiccamenti ai trend attuali, divagazioni rap e melodie che se le sente il signor MTV non te le levi piu' dai piedi; peccato che tutto questo non basti a fare un buon album. L'impressione che si ha e' che Machine Head fossero terribilmente a corto di idee e cosi' per rimpolpare alcuni buoni spunti (ci sono dei riff che messi altri contesti avrebbero fatto sfracelli!) si siano limitati a rubacchiare a destra e a manca per tirare fuori qualcosa di sensato. Il risultato e' un'accozzaglia di arrangiamenti e soluzioni buttate li' un po' a caso, senza un minimo di logica.
Prendiamo From this day: l'inizio sembra promettere scintille, ma poi il tutto si risolve in vocette rappate che non sono ne' carne ne' pesce, un basso che sembra strappato dalle mani di Fieldy dei Korn e un ritornellino melodico scialbo e anonimo che neppure gli ultimi Fear Factory se lo sarebbero mai sognato. Insomma, un bel frullatone di tutti i cliche' del cosiddetto new metal statunitense, ne' piu' ne' meno. Non che sia tutto da buttare, intendiamoci: Desire to fire e' un buon brano, cosi' come I defy, ma e' decisamente pochino per una band che solo qualche anno fa aveva quasi fatto gridare al miracolo con Burn my eyes.
Ah, ci sarebbe anche la cover di Message in a bottle dei Police, sul quale e' meglio stendere un velo pietoso...penso che se la sentissero gli Analcunt probabilmente ne sarebbero fieri. E cosi' Logan Mader se la stara' ridendo di gusto, mentre i suoi ex-amici si divertono a seguire affannosamente le mode nella speranza di riempire gli stadi ai concerti...contenti loro!
Fatevi un regalo: lasciate questo album negli scaffali.
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VOTO: 1/1
Aragorn
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