|
The Burning Red chiude un’epoca ed apre un nuovo capitolo nella storia dei
Machine Head. L’operazione COMMERCIALE e' palese (altro che Dark
Tranquillity, Amorphis ecc...), il gruppo di Rob Flynn ha messo insieme il
produttore piu' richiesto in America, Ross Robinson, influenze hip hop
leggermente incattivite da schitarrate (Korn docet), ritornelli che gia' al
primo ascolto entrano in testa ed anche qualche idea rubata a Marilyn Manson
(fate il confronto tra "Desire to Fire", quando Rob comincia a cantare e
"Dried Up, Tied..." da "Antichrist Superstar".
Che volete di piu' dalla vita? Una cover per esempio! Magari dei Police, possibilmente Message in a Bottle
che fa ancora piu' trendy. Negli Stati Uniti impazziranno per questo disco,
non mi stupirei se tra qualche mese, i nostri, siano i vincitori del’MTV
Musci Awards. Dimenticatevi le accelerazioni di "A Nation on Fire" o le
sfuriate di "The More Things Change..." qui vige l’equilibrio assoluto, ne
troppo cattive (potrebbe dar fastidio a qualcuno), ne troppo pop (siamo
sempre un gruppo metal!).
La struttura della canzoni e' standard, un pizzico
di voce filtrata, un po’ di rap e ritornello con voce pulita, pochi assoli,
quasi inesistenti. Dopo aver preso coscienza di cio', il disco e' piacevole,
fila liscio come l’olio senza nessun picco, non c’e' una canzone migliore
dell’altra o una piu' brutta dell’altra. Il cambiamento dei Machine Head e'
stato studiato nei minimi particolari, hanno compromesso senza
compromettersi.
Voto per il manager: 10 e lode!
|
|
|
Devo confessare che me lo aspettavo. The burning red e' un dischetto che va
giusto bene come sottobicchiere. Non nutrivo molta fiducia nei confronti
del nuovo lavoro dei Machine Head gia' prima che uscisse, e purtroppo i miei
timori sono stati confermati.
Il buon Robb Flynn la sa lunga, ed e'
probabile che TBR venda benone, pieno zeppo com'e' di citazioni korniane, di
ammiccamenti ai trend attuali, divagazioni rap e melodie che se le sente il
signor MTV non te le levi piu' dai piedi; peccato che tutto questo non basti
a fare un buon album. L'impressione che si ha e' che Machine Head fossero
terribilmente a corto di idee e cosi' per rimpolpare alcuni buoni spunti (ci
sono dei riff che messi altri contesti avrebbero fatto sfracelli!) si siano
limitati a rubacchiare a destra e a manca per tirare fuori qualcosa di
sensato. Il risultato e' un'accozzaglia di arrangiamenti e soluzioni buttate
li' un po' a caso, senza un minimo di logica.
Prendiamo From this day:
l'inizio sembra promettere scintille, ma poi il tutto si risolve in vocette
rappate che non sono ne' carne ne' pesce, un basso che sembra strappato dalle
mani di Fieldy dei Korn e un ritornellino melodico scialbo e anonimo che
neppure gli ultimi Fear Factory se lo sarebbero mai sognato. Insomma, un
bel frullatone di tutti i cliche' del cosiddetto new metal statunitense, ne'
piu' ne' meno. Non che sia tutto da buttare, intendiamoci: Desire to fire e'
un buon brano, cosi' come I defy, ma e' decisamente pochino per una band che
solo qualche anno fa aveva quasi fatto gridare al miracolo con Burn my
eyes.
Ah, ci sarebbe anche la cover di Message in a bottle dei Police, sul
quale e' meglio stendere un velo pietoso...penso che se la sentissero gli
Analcunt probabilmente ne sarebbero fieri. E cosi' Logan Mader se la stara'
ridendo di gusto, mentre i suoi ex-amici si divertono a seguire
affannosamente le mode nella speranza di riempire gli stadi ai
concerti...contenti loro!
Fatevi un regalo: lasciate questo album negli scaffali.
|
|