Dieci anni fa i Loudness rappresentavano un fenomeno singolare nel metalrama internazionale: erano l'unica band giapponese presente sul mercato, ed erano il solo gruppo del Paese del Sol Levante che proponesse della musica efficace, coinvolgente e personale. Se siete interessati alle vicende di questa storica formazione, vi invito a leggere l'articolo in proposito, nella sezione "Archives" di questa rivista. In queste righe invece intendo presentarvi uno dei dischi meglio riusciti della formazione nipponica: "Soldier of Fortune".
L'album in questione rappresenta un punto di svolta nella storia dei Loudness: infatti, e' il primo registrato con il cantante Mike Vescera (ex Obsession, poi anche nella band di Malmsteen), che sostituisce il membro fondatore Minoru Niihara. Quest'ultimo era stato, fino al precedente "Jealousy", un po' il punto critico del sound dei giapponesi: benche' dotato di una voce rude e personale, Niihara era piuttosto limitato e per di piu' frenato da un pesante accento nipponico. Vescera al contrario si presenta come il classico screamer di stampo heavy metal, magari non molto vario, ma estremamente potente. Il suo ingresso in formazione porto' in dono ai Loudness un'ulteriore accessibilita', fino a quel momento rimasta latente: il risultato fu un disco molto orecchiabile, ma non per questo bassamente commerciale.
Compatto. Graffiante. Melodico. Ecco i tre aggettivi giusti per descrivere questo "Soldier of Fortune". Tutto il merito va al genio del chitarrista Akira Takasaki, autore di tutte le musiche della band; il suo talento di musicista e compositore si distende energico su tutte e dieci le tracce del disco: riff dinamici e aggressivi, costruzioni musicali anche complicate ma mai fini a se' stesse, arrangiamenti di classe e staffilate solistiche ultra tecniche. Se a questo aggiungiamo una potente sezione ritmica (Munetaka Higuchi alla batteria e Masayoshi Yamashita al basso) e una produzione cromata, opera di Max Norman, ecco che ci troviamo di fronte a un disco davvero di prima qualita'. E' difficile elevare un brano a simbolo dell'intero lavoro, ulteriore testimonianza della qualita' del songwriting del chitarrista. Si parte con la potente title track, dal riff priestiano, interpretata magistralmente da Vescera e con un Takasaki in grande spolvero (sentite la parte in tapping dell'assolo). L'atmosfera coinvolgente del pezzo marchia a fuoco tutto il disco, che non mostra momenti di cedimento lungo i dieci brani: heavy metal aggressivo e, se mi passate, il termine, "maschio", lontano da melodie facili e allegre, rude anche nei testi da "guerriero urbano". "You Shook Me", "Danger of Love" e "Red Light Shooter" ricalcano le orme della prima song, con cori accattivanti, ritmiche sempre solidissime e attacchi solisti da K.O. Alzate il volume, mettete un piede sul bordo del letto e rispolverate la vostra air-guitar: non ve ne pentirete! "Running for Cover" e "Faces in the Fire" sono due brani abbastanza simili: un poco piu' elaborati, sono quasi delle cavalcate ricche di cambi di tempo e ritmo (che sottolineano la bravura della sezione ritmica), mentre Takasaki si produce in una serie di ricami chitarristici di pregio e Vescera si sgola con classe.
Non possono mancare, come in ogni disco metal che si rispetti, le ballad: "Twenty-five Days", piu' up-tempo, inizia con un gentile arpeggio e si evolve melodicamente per giungere al possente coro gridato a tutta forza da Vescera. Takasaki si esibisce in un buon solo, supportato da dei begli intrecci di chitarra acustica. "Lost Without Your Love" e' invece la classica ballad mid-tempo, di nuovo costruita con maestria sulla combinazione elettroacustica delle chitarre e su un coro malinconico. Takasaki si erge ancora a protagonista con un assolo vorticoso strappato al repertorio del miglior Malmsteen. "Long after Midnight" e' un brano cadenzato che offre spazio alla coppia basso/batteria, prima di tornare su un ficcante riff di marca Judas Priest, alternato a passaggi arpeggiati. Chiude il disco la devastante "Demon Disease", che pare in piu' di un momento un vero tributo/rielaborazione della mitica "Kill the King" dei Rainbow. Il gruppo si esibisce in una performance compattissima e inattaccabile che esplode in un epico coro; ancora una volta la chitarra di Takasaki prima stordisce l'ascoltatore con la forza delle ritmiche, poi lo abbatte con il vortice dell'assolo: un brano che assolutamente non ha perso nulla con il passare degli anni, e che continua a far scuotere ampiamente il capoccione.
Insomma, "Soldier of Fortune" e' uno di quei dischi metal come non se ne fanno piu': senza alcuna pretesa di grande innovazione, il quartetto nippo-americano ci lascia un disco energico che straccia ampiamente ancora oggi molte velleitarie band esordienti. Non esitate a far vostro questo album (e anche gli altri dei Loudness).
Una citazione di merito va anche al pazzesco look della band: in particolare la foto di Mike Vescera truccato in modo da farlo passare per giapponese e' da annali del pacchian-metallo.