Due domande sempre popolari sono "qual'e' il primo disco heavy metal?" e "c'e' differenza fra metal e hard rock?".
Per quanto mi riguarda, "Sad Wings Of Destiny", secondo album dei Judas Priest nonche' innegabile capolavoro di ogni tempo, risponde ad entrambe le domande. Se ci pensate bene, gruppi geniali e grandissimi come Uriah Heep, Deep Purple, Black Sabbath e Led Zeppelin, per quanto totalmente diversi fra loro, erano accomunati da un sola cosa: l'influenza del blues e della psichedelia e il gusto per l'improvvisazione solistica. Il gruppo di Glen Tipton e KK Downing, dopo un ottimo primo album in cui si sentiva ancora l'influenza degli Uriah Heep e dei Black Sabbath, decise di dare un sonoro calcio a questa convenzione, spezzando una sorta di dipendenza psicologica: con "Sad Wings Of Destiny" andarono a costruire un sound potentissimo, maestoso, epico e gotico basato sull'impatto delle doppie chitarre ritmico/soliste, le ritmiche spesso veloci e schiacciasassi e la voce tecnica, teatrale, cattiva o evocativa a seconda dei casi, di Rob Halford. A livello solistico, le divagazioni erano inesistenti e gli assoli costruiti ad effetto (cosa che all'epoca suscito' non poche perplessita', al punto che i Judas Priest furono considerati un gruppo produttore di "calcolata violenza"), il suono d'insieme compatto e pesantissimo (per i tempi): il credo della band di sviluppare nuove forme di aggressivita' trova qui la sua prima estrinsecazione. Parlando dei contenuti strettamente musicali dell'album, la partenza e' affidata alla celeberrima "Victim Of Changes", monumentale brano epico di quasi otto minuti sorretto d aun riff monolitico e maestoso su cui la voce di Halford vola altissima ed evocativa: un solo vorticoso (ad opera del selvaggio Downing, perfetto contraltare al chitarrismo melodico e piu' controllato di Tipton), una parte centrale rilassata e malinconica ed un finale devastante ed intensissimo affidano il pezzo alla leggenda della musca rock.
Segue l'altrettanto famosa "The Ripper", breve frammento di atmosfere gotiche e sinistre guidato da un Halford inquietante e maligno, e dalle continue accelerazioni e rallentamenti: grandioso per quanto semplice il break solistico centrale con tanto di doppia cassa in terzine. A seguire "Dream Deceiver", ballad dai toni drammatici ed eterei, dove la voce si lancia in acrobazie incredibile, che sfocia poi nella pesante cavalcata metallica "Deceiver". Abbiamo poi "Prelude", brano strumentale con tanto di piano forte che lascia spazio alla durissima e veloce "Tyrant", con il suo incedere bellicoso, i cori epici e gli assoli scintillanti. Se non e' power metal questo! La successiva "Genocide" e' un pezzo cadenzato e teatrale dagli improvvisi break tritaossa, con un finale esplosivo e squassante. Infine abbiamo "Epitaph", una splendida ballata malinconica e romantica, e "Island Of Domination", brano dall'inizio incredibilmente epico che poi si trasforma in una veloce cavalcata dominata da un Halford ora sadico ora quasi ironico.
Un album fondamentale, che non puo' mancare nella collezione di nessuna persona che si reputi un fan del metal e dell'hard rock; e fa un po' rabbia che per molti "giovinastri" i Judas Priest siano solo "la band di Painkiller" e che i loro meriti vengano invece attribuiti ai discepoli Iron Maiden.
L'album e' attualmente nel catalogo della Repertoire e la sua reperibilita' e' agevole, quindi non avete scuse, recuperate questa fetta di storia!