GREAT WHITE - can't get there from here
Settembre 1999
Toh, chi si rivede!
Alla faccia di chi li dava per morti, sorpassati, finiti eccetera... Tornano a farsi sentire i Great White.
Sinceramente, pur non appartenendo alla categoria sopraccitata, mi ero comunque perso la loro ultima uscita, ma da vecchio estimatore dello squalo bianco devo ammettere che torvarmi tra le mani il loro nuovo lavoro mi ha procurato un'emozione inaspettata. Avete presente quando alzate la cornetta e sentite la voce diuna vostra vecchia fiamma che pensavate di aver dimenticato... ed invece parte quel brivido lungo la schiena? Insomma, sta di fatto che non riesco piu' a togliere questo cd dal lettore ormai da cinque giorni e che in definitiva mi piace anche parecchio.
Certo non sara' il disco che vi fara' cambiare opinione su di loro se non vi sono mai piaciuti e non e' nemmeno la nuova frontiera musicale del terzo millennio, ma un pezzo ocme "In the tradition" rischia di rendere felcie il tabacchino sotto casa che vi vende i fazzolettini (non ascoltatela nemmeno se siete in un brutto momento, altrimenti declino ogni responsabilita'), e la regola si ripete ogni volta che questi cinque marpioni decidono di andare a toccare il tasto del feeling come in "Silent night" o in "Freedom song", cosi' come non si puo' non apprezzare la vena bluesy che permea un pezzo come "Loveless age".
Nell'insieme si ha l'impressione di un disco che si muove agilmente tra atmosfere molto seventies e alcuni spunti di classico Great White sound anni ottanta.
Alla prima categoria appartengono sicuramente "Gone to the dogs", che si guadagna anche la palma di brano piu' duro dell'intero lotto, e "psychedelic hurricane", il cui titolo dice piu' di quanto potrei inventarmi per descriverlo.
Molto piu' ottantine sono invece "ain't no shame" e la conclusiva "Hey Mister" che mi riportano in mente i tempi di "Twice shy" e di "Hooked".
Se proprio devo trovare un difetto a questo disco, devo dire che si sente la mancanza di una certa carica che emanavano pezzi strappamutande come "Rock me" o "The orignial Queen of Sheba", mae' un peccato veniale che mi sento di perdonare a questi vecchietti, che in fin dei conti riescono a non avere quell'aria un po' triste di rockers in pensione che giocano a fare i ragazzini trasgressivi solo per attirare l'attenzione (chi ha detto "WASP"?). Siamo invece di fronte a singori di mezza eta' che fanno (bene) quello che hanno sempre saputo fare e visti i tempi che corrono non e' comunque cosa da poco.
Potrebbe anche essere che insieme a loro stia cominciando anch'io ad invecchiare e quell'atmosfera familiare che mi comunicano sia solo indice di una precoce demenza senile. Forse questo disco piacera' solo a me, comunque consiglio a chi ha ancora voglia di farsi commuovere da certe emozioni di dargli almeno la possibilita' dell'ascolto e poi decidere.
Concludo facendo notare che la produzione di un pezzo e' affidata ad altre due glorie del passato come Jack Blades e Don Dokken.
home
VOTO: 1/1
Ricky Manazza
back