FATES WARNING - parallels (1991)
Ottobre 1999
Metal Blade
45.31 minuti
Esistono delle band metal che forse non raggiungeranno mai le vette delle classifiche, delle band che costruiscono la loro musica senza usare schemi precostituiti e senza farsi trascinare dai trend imperanti, delle band che non hanno niente da invidiare a quelle piu' note ma che, spesso, sono addirittura superiori per abilita' compositive e tecnica strumentale. Un classico esempio e' quello dei Fates Warning, un gruppo che sicuramente meriterebbe maggiore attenzione di quella che in pratica gli viene riservata dal cosiddetto "popolo metallico". Nati negli anni '80 proponendo album dalle chiare influenze maideniane (influenze che si ritrovavano anche nel timbro del cantante John Arch, in effetti molto simile a quello di Bruce Dickinson), sicuramente gradevoli ma non certo trascendentali, la band del leader e principale songwriter Jim Matheos compie il salto di qualita' con l'arrivo del singer Ray Alder, un vero fuoriclasse, e del raffinatissimo Mark Zonder, gia' batterista degli Warlord. Escono quindi due grandi dischi come "No exit" (dalle sonorita' quasi thrash) e "Perfect symmetry", in cui il gruppo allarga notevolmente i suoi orizzonti introducendo persino delle parti di archi. Ma e' nel '91 che i Fates Warning producono il loro primo vero capolavoro, quel "Parallels" che e' a mio parere uno dei migliori dischi degli anni '90. In quel disco il gruppo riesce finalmente a sprigionare tutta la sua genialita' e tutto il suo gusto musicale, attirandosi (finalmente) le attenzioni della critica piu' attenta. Un suono limpido e cristallino, una pulizia strumentale che non ha eguali, arrangiamenti raffinati, atmosfere notturne: sono queste la caratteristiche di "Parallels", una manciata di canzoni di altissima qualita', costruite su arpeggi magici che hanno fatto scuola tra alcune delle band moderne, le quali citano spesso gli Warning come una delle influenze principali. I pezzi sembrano intrecciarsi tra di loro in modo perfetto, come se il disco fosse una sorta di concept (e magari lo e', visto che le -splendide- liriche si soffermano soprattutto su di un unico tema, quello delle relazioni interpersonali e della difficolta' di comunicazione tra le persone, argomento molto caro al gruppo, che lo riprendera' in seguito nel mastodontico e meraviglioso "A pleasant shade of gray"), e le linee vocali sono incredibilmente catchy pur nella loro complessita', mentre la sezione ritmica comandata da Zonder dimostra di essere unica per classe e precisione. Il disco si apre con la cerebrale "Leave the past behind", splendido affresco in bianco e nero, che ci accoglie con tutta la sua sensuale maestosita', e continua con "Life in still water" (che vede la partecipazione di James LaBrie dei Dream Theater ai cori), pezzo piu' robusto ma sempre incredibilmente raffinato. Il terzo e il quarto brano rappresentano dei classici per ogni fan dei Fates Warning che si rispetti (ma quale di queste canzoni non e' un classico?): si tratta della commovente "Eye to eye", che ha dalla sua una melodia sognante e malinconica e un testo capolavoro per profondita' e capacita' di creare immagini mentali, e della lunga "The eleventh hour", con il suo dolce inizio e l'inaspettata accelerazione centrale, altro brano da applausi, impreziosito da raffinatissimo drumming e da un spettacolare prova di Alder dietro al microfono: da lacrime. Seguono la piu' aggressiva "Point of view", altra perla di immenso valore (che Zonder suoni da Dio non importa piu' ricordarlo) e la radiofonica "We only say goodbye", ancora una volta trainata da un bellissimo e "liquido" arpeggio di chitarra, che esplode all'altezza di un chorus un pochino ruffiano ma veramente spettacolare, mentre ancora una volta Matheos dona alla melodia delle grandi liriche, tristemente filosofiche. Il viaggio termina con "Don't follow me", pezzo tirato e notturno, e con la suadente "The road goes on forever", cristallina e dolce, lontana e inafferrabile, che chiude l'album come l'alba del nuovo giorno porta via le lacrime della notte.
Cosa aggiungere? Questo e' un album incredibilmente emozionante, suonato da un gruppo che ha pochissimi rivali. Uno di quei pochi dischi veramente fondamentali, uno di quei pochi dischi che sanno come entrarti dentro, uno di quei pochi dischi che ti lasciano qualcosa anche quando l'ascolto e' finito. Insomma: un capolavoro.
home
Gianluca "Geoff"
back