FIREBIRD - firebird
Gennaio 2000
Dietro la bellissima copertina di questo debutto dei Firebird si nasconde il chitarrista Bill Steer, che molti di voi ricorderanno come membro dei primi Napalm Death e fondatore degli imprescindibili Carcass alla fine degli anni Ottanta. Considerato il background di Bill e la sua fama di chitarrista tecnico e violento, non si puo' che rimanere stupiti e piacevolmente sorpresi dalla svolta che ha preso la sua produzione musicale. Accompagnato da una solida sezione ritmica, il pallido musicista ci presenta, con notevole scioltezza infatti, un disco intriso di sonorita' rock-blues molto "British", dove l'unica concessione alla modernita' e' la produzione corposa, scintillante e piena di profondita'. Preso atto della metamorfosi musicale, a molti verra' in mente di accostare questi Firebird ad un altro progetto di un ex-Carcass, gli Spiritual Beggars di Michael Amott. Attenzione, pero': nei Firebird non c'e' traccia della potenza acida e sferragliante che anima i Beggars. Si parla sempre di Seventies, ma questi Firebird si rifanno a una tradizione completamente diversa. Cream, Mountain, Robin Trower, primi Fleetwood Mac, Led Zeppelin, Rory Gallagher, Traffic (di cui e' riproposta con "Stranger to Himself") e un tocco di Hendrix: questi sono alcuni dei nomi di riferimento per inquadrare il nuovo suono di Bill Steer.
In tutta onesta', sono rimasto stupefatto da quanto il chitarrista sia stato abile, compositivamente e tecnicamente, nel riprodurre certe sonorita'; il disco, piuttosto omogeneo, presenta brani di alto livello qualitativo, tutti accattivanti, affascinanti e suonati senza sbavature. Bill si cimenta anche al canto, con risultati tutt'altro che spregevoli, anche se le linee vocali non sono particolarmente incisive e la voce non e' cosi' "soulful", come invece a mio parere lo stile musicale richiederebbe. L'apertura del disco e' affidata alla breve e zompettante "Meantime", alla cui ruota segue "Torn Down", veloce brano riffato che si apre in modo suggestivo sul ritornello e concede un assolo di classe prima di chiudersi su un gran lavoro di basso. Dopo la gia' citata "Stranger to Himself" (magistralmente eseguita) si passa a "Bollard", curiosa canzone lenta e soffusa costruita su un pizzicato chitarristico di sapore latino e vocals languidi: un brano semplice ma accattivante, davvero ben riuscito. Il ritmo incalzante di "One Trick Pony" (con un finale per armonica a bocca, suonata da Steer stesso) si inserisce alla perfezione nella seguente "Raise a Smile", quasi hendrixiana nei suoi sussulti chitarristici e nel bruciante assolo pieno di feeling. "Hardened Sole" e "Fat Cat Groan" sono due mid-tempos dai riff squadrati e potenti (soprattutto la prima, con una parte finale un po' alla Cathedral) che spezzano l'andamento, fino a questo punto veloce, del disco. In entrambi i brani Steer suona con scioltezza e classe, ma mi sembra giusto sottolineare anche il gran lavoro del basso, suonato (guarda caso) da Leo Smee dei Cathedral: il suo stile dinamico e rotondo accompagna alla perfezione il chitarrismo pieno di feeling e passione. "Caught in the Quagmire" e' il brano piu' zeppeliniano del lotto, con atmosfere un poco psichedeliche dove fa nuovamente apparizione il suono dell'armonica. La conclusiva "Through the Fields" e' forse la canzone piu' affascinante del disco: un lento crescendo di arpeggi chitarristici, con malinconico sottofondo di hammond, che si sviluppa nel finale in un ritmo funkeggiante e caldo assolutamente travolgente.
Nella confusione di stili e tendenze che contraddistingue l'attuale panorama musicale, "Firebird" e' un disco sorprendente e unico, quasi uscito da una capsula temporale sigillata nel 1970. Bill Steer si dimostra musicista versatile e inventivo in un ambito musicale lontanissimo dai suoi esordi, offrendoci un lavoro caldamente consigliato non solo agli amanti delle sonorita' retro', ma in generale a chi cerca buona musica lontana da facili schemi e inutili complessita'. In questo gelido inverno, lasciatevi scaldare dalla fiamma dei Firebird: ne vale davvero la pena.

Segnalo che l'edizione giapponese di questo disco contiene due ottime bonus tracks: "Robin's Riff", brano rapido infarcito di wah-wah, e "World of Tears", altra canzone dalle atmosfere latine basata quasi tutta sulle tastiere. Se avete la possibilita' di procurarvi questo disco come Japanese-import, non esitate: i due brani valgono tutti i soldi spesi.

VOTO: 1/1
Lorenzo
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INFO:
Anno: 1999
Etichetta: Toy's Factory
Durata: 54.37 minuti
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