Il cerchio si e' chiuso. Si alza finalmente il sipario sul nuovo lavoro
del Teatro Del Sogno e la rappresentazione puo' avere inizio. "Sipario",
"Teatro", "Rappresentazione": non e' un caso che abbia usato questi
termini per introdurre "Scenes From A Memory", dato che l'album
rappresenta l'espressione in musica dell'affascinante storia di un uomo
che, affidandosi all'ipnosi, scopre di aver vissuto molte vite in
passato e di essere stato protagonista di una vicenda tragicamente
conclusasi con la morte di una giovane ragazza. Le origini di un
progetto cosi' ambizioso(un "vero" concept album, non una serie di
canzoni autonome collegate solo dai testi) risalgono addirittura a
"Metropolis Part 1(The Miracle And The Sleeper)", contenuta nell'ancora
insuperato capolavoro del gruppo "Images And Words": quel brano aveva
sollevato domande che, dopo sette anni, trovano una risposta all'altezza
delle aspettative.
SFAM e' un album "monstre", estremo, sfrenato: una sorta di colossal nato
con la precisa intenzione di far cascare la mascella ai fans della band
rimasti delusi dalla svolta melodico-commerciale di "Falling Into
Infinity". In quest'ottica, il siluramento di Derek Sherinian in favore
del tastierista extraordinaire Jordan Rudess(compagno di Portnoy e
Petrucci nel turbinoso progetto strumentale Liquid Tension Experiment)
ha rappresentato un'inequivocabile dichiarazione di intenti: qui si
vuole produrre del super-progressive rock senza compromessi, signori!
Queste, le premesse...Ed il risultato di cotanto sforzo?
Una suite in due atti(per un totale di 77 minuti) suddivisa in 9 "scene"
che, sotto ogni aspetto, rappresenta un punto di non ritorno per
l'evoluzione dei Dream Theater. Non ha il minimo senso parlare di
"canzoni" tradizionalmente intese: qui la musica fluisce per
materializzare le azioni, i pensieri ed i sentimenti dei personaggi
della vicenda, riuscendo nella maggior parte degli episodi a cogliere
nel segno.
Immaginate le atmosfere della gia' menzionata "Metropolis part 1"(di cui
riemergono,volutamente, riff e melodie), espandetele esponenzialmente
aggiungendo la liberta' espressiva dei Liquid Tension Experiment e legate
il tutto con momenti piu' melodici e lineari che (non saprei dire
diversamente) arrivano dai Pink Floyd piu' ispirati ed evocativi, oltre
che dalla tradizione dei musical teatrali. SFAM e' tutto questo, ma non e'
un album perfetto, non rivela nuovi territori espressivi, non indica
nuove vie per il gruppo (tantomeno per la scena prog): e' piuttosto la
sublimazione di un discorso iniziato nel 1989 con "When Dream And Day
Unite" e che qui trova il suo apice. Grandi melodie, tecnica sopraffina,
feeling (i detrattori di LaBrie dovranno ricredersi riguardo alle sue
capacita' espressive), una finalmente maturata attenzione nei confronti
delle stratificazioni corali(compaiono momenti gospel orchestrati e
diretti da Rudess e c'e' una voce femminile da brividi-vedi l'inizio di
"Through Her Eyes"-).
Da ammiratore di lunga data del gruppo, devo ammettere che il difetto
piu' evidente di alcuni passaggi strumentali e' che, forse per la prima
volta, i Dream Thater hanno recitato la parte dei Dream Thater,
aggiungendo assoli e passaggi perche' quella e' la loro cifra stilistica,
il loro trademark, non per reali necessita' espressive. John Petrucci e' il
piu' colpito da questa smania da auto-citazione, tanto da essere messo in
ombra in diverse occasioni da Jordan Rudess, straripante in quanto a
inventiva e ricerca di soluzioni timbrico/musicali personali, coraggiose
al punto di spingersi ai confini della dissonanza nella spesso
terremotante "Beyond This Life". Non a caso gli assoli migliori di
Petrucci sono quelli in cui il chitarrista si trova a duellare piu' a
fondo con Rudess, in una sfida che spinge entrambi a dare il meglio di
se'.
Le "ombre" sono concentrate principalmente in Home (i cui momenti
orientaleggianti vengono protratti al punto da sconfinare nel manierismo
piu' sterile, pur rimanendo concettualmente un'ottimo spunto per
illustrare un momento di passionale sensualita') e nella (troppo) lunga
strumentale "The Dance Of Eternity", comunque non priva di intuizioni e
temi sperimentali interessanti (come l'intermezzo ragtime ad opera di
Rudess).
Difetti che e' impossibile non notare, ma quando, come nella maggior
parte del disco, il gruppo decide di mettere il proprio enorme potenziale al
servizio della storia, i risultati sono eccellenti. Il virtuosismo
diventa strumento per visualizzare gli sviluppi dalla trama, tanto che
la musica non e' piu' colonna sonora di quanto narrato dai testi: diventa
essa stessa rappresentazione degli eventi!
L'aspetto forse piu' interessante, in definitiva e' che, pur in un
contesto che vede predominare l'assunto strumentale, Portnoy&Co. hanno
riservato un'attenzione particolare alla costruzione di linee vocali
fluide e dirette: nessuno spazio a ritornelli da canticchiare, ma
splendide melodie piene di pathos che rendono giustizia alla classe di
James Labrie. Poco importa se l'ispirazione e' di palese matrice
floydiana, quando i risultati sono di questo livello!
Oltre settanta minuti di peripezie strumentali _e_ grandi melodie,
mantenendo una compattezza di fondo invidiabile: cosa chiedere di piu' ad
un album di progressive rock?
Per convincere i piu' scettici, invito ad ascoltare la drammaticita'
emotiva e la "grandeur sinfonica" dei 18 minuti conclusivi formati
dall'accoppiata "The Spirit Carries On/Finally Free": grande musica, a
prescindere da ogni considerazione stilistica.
Solo il tempo sara' in grado di stabilire se ci troviamo di fronte ad un
capolavoro(anche se ho qualche dubbio) o "soltanto" ad un grande disco:
di sicuro i Dream Theater dovranno esplorare nuove rotte per il prossimo
album, dato che l'orizzonte rivelato da "Images And Words" e' ormai
raggiunto. Per ora godiamoci "Scenes From A Memory" cercando di
assaporarne le molteplici sfumature, il futuro e' ancora da scrivere(ma
gia' ci incuriosisce...).