DREAM THEATER - scenes from a memory
Novembre 1999
Il cerchio si e' chiuso. Si alza finalmente il sipario sul nuovo lavoro del Teatro Del Sogno e la rappresentazione puo' avere inizio. "Sipario", "Teatro", "Rappresentazione": non e' un caso che abbia usato questi termini per introdurre "Scenes From A Memory", dato che l'album rappresenta l'espressione in musica dell'affascinante storia di un uomo che, affidandosi all'ipnosi, scopre di aver vissuto molte vite in passato e di essere stato protagonista di una vicenda tragicamente conclusasi con la morte di una giovane ragazza. Le origini di un progetto cosi' ambizioso(un "vero" concept album, non una serie di canzoni autonome collegate solo dai testi) risalgono addirittura a "Metropolis Part 1(The Miracle And The Sleeper)", contenuta nell'ancora insuperato capolavoro del gruppo "Images And Words": quel brano aveva sollevato domande che, dopo sette anni, trovano una risposta all'altezza delle aspettative.
SFAM e' un album "monstre", estremo, sfrenato: una sorta di colossal nato con la precisa intenzione di far cascare la mascella ai fans della band rimasti delusi dalla svolta melodico-commerciale di "Falling Into Infinity". In quest'ottica, il siluramento di Derek Sherinian in favore del tastierista extraordinaire Jordan Rudess(compagno di Portnoy e Petrucci nel turbinoso progetto strumentale Liquid Tension Experiment) ha rappresentato un'inequivocabile dichiarazione di intenti: qui si vuole produrre del super-progressive rock senza compromessi, signori! Queste, le premesse...Ed il risultato di cotanto sforzo?
Una suite in due atti(per un totale di 77 minuti) suddivisa in 9 "scene" che, sotto ogni aspetto, rappresenta un punto di non ritorno per l'evoluzione dei Dream Theater. Non ha il minimo senso parlare di "canzoni" tradizionalmente intese: qui la musica fluisce per materializzare le azioni, i pensieri ed i sentimenti dei personaggi della vicenda, riuscendo nella maggior parte degli episodi a cogliere nel segno.
Immaginate le atmosfere della gia' menzionata "Metropolis part 1"(di cui riemergono,volutamente, riff e melodie), espandetele esponenzialmente aggiungendo la liberta' espressiva dei Liquid Tension Experiment e legate il tutto con momenti piu' melodici e lineari che (non saprei dire diversamente) arrivano dai Pink Floyd piu' ispirati ed evocativi, oltre che dalla tradizione dei musical teatrali. SFAM e' tutto questo, ma non e' un album perfetto, non rivela nuovi territori espressivi, non indica nuove vie per il gruppo (tantomeno per la scena prog): e' piuttosto la sublimazione di un discorso iniziato nel 1989 con "When Dream And Day Unite" e che qui trova il suo apice. Grandi melodie, tecnica sopraffina, feeling (i detrattori di LaBrie dovranno ricredersi riguardo alle sue capacita' espressive), una finalmente maturata attenzione nei confronti delle stratificazioni corali(compaiono momenti gospel orchestrati e diretti da Rudess e c'e' una voce femminile da brividi-vedi l'inizio di "Through Her Eyes"-).
Da ammiratore di lunga data del gruppo, devo ammettere che il difetto piu' evidente di alcuni passaggi strumentali e' che, forse per la prima volta, i Dream Thater hanno recitato la parte dei Dream Thater, aggiungendo assoli e passaggi perche' quella e' la loro cifra stilistica, il loro trademark, non per reali necessita' espressive. John Petrucci e' il piu' colpito da questa smania da auto-citazione, tanto da essere messo in ombra in diverse occasioni da Jordan Rudess, straripante in quanto a inventiva e ricerca di soluzioni timbrico/musicali personali, coraggiose al punto di spingersi ai confini della dissonanza nella spesso terremotante "Beyond This Life". Non a caso gli assoli migliori di Petrucci sono quelli in cui il chitarrista si trova a duellare piu' a fondo con Rudess, in una sfida che spinge entrambi a dare il meglio di se'.
Le "ombre" sono concentrate principalmente in Home (i cui momenti orientaleggianti vengono protratti al punto da sconfinare nel manierismo piu' sterile, pur rimanendo concettualmente un'ottimo spunto per illustrare un momento di passionale sensualita') e nella (troppo) lunga strumentale "The Dance Of Eternity", comunque non priva di intuizioni e temi sperimentali interessanti (come l'intermezzo ragtime ad opera di Rudess).
Difetti che e' impossibile non notare, ma quando, come nella maggior parte del disco, il gruppo decide di mettere il proprio enorme potenziale al servizio della storia, i risultati sono eccellenti. Il virtuosismo diventa strumento per visualizzare gli sviluppi dalla trama, tanto che la musica non e' piu' colonna sonora di quanto narrato dai testi: diventa essa stessa rappresentazione degli eventi!
L'aspetto forse piu' interessante, in definitiva e' che, pur in un contesto che vede predominare l'assunto strumentale, Portnoy&Co. hanno riservato un'attenzione particolare alla costruzione di linee vocali fluide e dirette: nessuno spazio a ritornelli da canticchiare, ma splendide melodie piene di pathos che rendono giustizia alla classe di James Labrie. Poco importa se l'ispirazione e' di palese matrice floydiana, quando i risultati sono di questo livello!
Oltre settanta minuti di peripezie strumentali _e_ grandi melodie, mantenendo una compattezza di fondo invidiabile: cosa chiedere di piu' ad un album di progressive rock?
Per convincere i piu' scettici, invito ad ascoltare la drammaticita' emotiva e la "grandeur sinfonica" dei 18 minuti conclusivi formati dall'accoppiata "The Spirit Carries On/Finally Free": grande musica, a prescindere da ogni considerazione stilistica.
Solo il tempo sara' in grado di stabilire se ci troviamo di fronte ad un capolavoro(anche se ho qualche dubbio) o "soltanto" ad un grande disco: di sicuro i Dream Theater dovranno esplorare nuove rotte per il prossimo album, dato che l'orizzonte rivelato da "Images And Words" e' ormai raggiunto. Per ora godiamoci "Scenes From A Memory" cercando di assaporarne le molteplici sfumature, il futuro e' ancora da scrivere(ma gia' ci incuriosisce...).

VOTO: 1/1
Tiziano
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INFO:
Etichetta: EastWest
Durata: 77.14 minuti
Anno: 1999
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