Di solito, quando si vocifera che una band e/o un musicista stanno per tornare alle sonorita’ che li avevano resi celebri,
si crea nel cuore dei fan una sensazione mista di attesa e scetticismo, soprattutto per il timore che possa trattarsi di un
come-back forzato, di un semplice riciclo di idee vecchie messe li’ per pure e semplici questioni di cassetta.
E, nel caso di Magica e Ronnie James Dio, la preoccupazione era aumentata dal fatto che gia’ le sue ultime fatiche degli
anni ’80 (quelle prima del brevissimo rientro nei Sabbath di Dehumanizer, e delle innaturali tentazioni moderniste di
dischi come Strange Highways e Hungry Machines) erano tutto fuorche’ dei capolavori, pur restando nel solco della
tradizione classica dei Rainbow, degli stessi Sabbath e dei primi due meravigliosi dischi solisti.
Ecco quindi che, licenziata l’ultima incarnazione della band (e in particolare l’insipido chitarrista Tracy G.), Ronnie si
e’ circondato di alcuni suoi vecchi compari come Jimmy Bain al basso, Craig Goldy alla chitarra e Simon Wright alla
batteria, con il fine dichiarato di riconquistare i fan che aveva deluso col tempo.
Bene, questa e’ la premessa. I fatti sono altri: chi aveva descritto questo disco come il ritorno della band alle sonorita’
ottantiane, quelle di Holy Diver e The Last In Line per intenderci, ha preso una bella cantonata. Perche’ questo e’ vero
solo in parte: se da un lato e’ chiaramente (e finalmente) sparito tutto il modernume forzoso degli ultimi due album,
Magica e’ un platter che, ad un ascolto attento, rivela piu’ di una sorpresa!
Praticamente scomparsi i Rainbow (con la sola eccezione di Fever Dreams e pochi altri passaggi), quasi totalmente
assenti le scintillanti tonalita’ metalliche dei primi Dio (e gli up-tempo alla We Rock e Stand Up And Shout), ad
emergere chiaramente, dietro i tempi lenti e cadenzati dei Black Sabbath, sono atmosfere psichedeliche e spaziali che
riflettono l'influenza dei Pink Floyd e che (di riflesso) avvicinano vagamente la band agli ultimi Gathering (ascoltate il
Magica Theme!) o ai Ryche di Promised Land!
Naturalmente l’identita’ dei Dio pero’, non e’ assolutamente messa in discussione, grazie alla meravigliosa voce di
Ronnie (veramente superba in alcuni passaggi) e alle sue classiche melodie... Ma questo e' tutto fuorche' un disco
autocompiacente o che si limita a ripetere il proprio passato!
Scorrendo velocemente la tracklist, ecco che vanno segnalati il suggestivo Magica Theme (soprattutto nel breve reprise
cantato), la cadenzata Lord Of The Last Days (che, come altre canzoni del disco, mostra un legame diretto con il
sottovalutato Dehumanizer), la cavalcata di Fever Dreams (il pezzo piu’ classico dell’album), la potente Feed My Head
(con un coro vagamente alla Heaven’s On Fire dei Kiss, e soprattutto con un magico intermezzo melodico), la
rockeggiante Challis, la medieval-cibernetica Loosing My Insanity (che gran titolo!) e, su tutte, il capolavoro assoluto
As Long As It’s Not About Love - un pezzo veramente emozionante, grazie ad un’interpretazione da paura dell’elfo
newyorkese e a una solida prova chitarristica di Goldie.
Per quanto riguarda i testi, se il concept vero e proprio e’ nulla piu’ che una (bella) favoletta (che Ronnie ci racconta
con grandissima classe, come farebbe a un nipotino, nella lunga traccia finale del CD), le liriche ad esso collegato
dimostrano ancora una volta tutta la sapienza del singer americano nell’allestire versi suggestivi e inquietanti al tempo
stesso. E, naturalmente, a renderli ancora piu’ belli concorre il fatto che sono narrati da una voce a dir poco sublime!
Questo mi porta a parlare della prestazione della band: qualcuno ha obiettato che i musicisti in questione non sono
proprio dei mostri. Questo e’ vero, ma il feeling e’ sempre quello giusto, e devo dire che la prestazione dei singoli e’
tutto fuorche’ deludente o scarsa: Jimmy Bain e’ un bassista solido (non dimentichiamoci che e’ pur sempre il 50%
della sezione ritmica di Rising!) e si lascia sempre ascoltare con piacere; Simon Wright ha gia’ dimostrato negli Ac/Dc -
e’ stato il loro miglior drummer - il suo valore (e, per una volta, e’ un piacere ascoltare un disco di metal classico in cui
la batteria e’ una batteria e non un frullatore), mentre Craig Goldy ha fatto notevoli progressi rispetto ai tempi in cui era
un semplice clone di Blackmore.
Conclusione: Magica e’ un album assolutamente non immediato, ma a dir poco meraviglioso! Non lasciatevelo
sfuggire!