DIAMOND HEAD - canterbury (1983)
Marzo 2000
I Diamond Head sono stati, artisticamente parlando, fra le stelle piu' fulgide della New Wave Of British Heavy Metal. Talento compositivo, grande attitudine on stage, ottime canzoni... Considerando questi elementi, risulta difficile spiegare le ragioni che hanno impedito al gruppo di ottenere quel successo che band come Iron Maiden e Def Leppard non si sono lasciate sfuggire. Poi capita di ascoltare a distanza di anni questo meraviglioso "Canterbury"(in pratica, il canto del cigno del combo, dato che "Death And Progress", disco della reunion datato '93, non ha sostanzialmente cambiato le sorti di una carriera finita troppo presto), ed i motivi cominciano ad apparire piu' chiari, ancorche' assurdi.
Senza tanti giri di parole, "Canterbury" e' un capolavoro assoluto, splendente, mozzafiato... con un unico, enorme, paradossale difetto: e' un disco senza tempo, concepito dal duo Sean Harris (voce)/ Brian Tatler (chitarra) in evidente stato di grazia, al punto da disinteressarsi di tutto quello che la scena rock-metal proponeva all'epoca. Un suono cristallino, raffinatissimo, inconfondibile e potente senza il bisogno di ricorrere ad un muro di suono volgarmente aggressivo. Un suono "senza tempo", appunto, essenza musicale depurata da ogni grezza scoria storico-contingente. Le canzoni dell'album sono idealmente raggruppabili in due categorie: a brani piu' diretti e rock'n'roll come "Makin' Music", "Out Of Phase" e "I Need Your Love" si alternano maestose composizioni dalla fortissima carica evocativa come "Knight Of The Swords", "To The Devil His Due", "Ishmael" e l'immortale title-track. Ogni singola traccia non rappresenta altro che una diversa sfaccettatura di un diamante inattaccabile dal tempo: impossibile elencare tutte le sfumature e sottigliezze contenute fra i solchi. Harris e Tatler riescono a riplasmare strutture semplici, incastonando in esse soluzioni apparentemente avventate ma efficacissime: si pensi al gioco di accordi dissonanti intessuti nel "classico" rock melodico di "One More Night", ai trascinanti arpeggi quasi-folk (echi di un altro combo immortale come i Led Zeppelin) di "Out Of Phase", alla galoppata stentorea di "Knight Of The Sword", al viaggio nel tempo, alla volta di antiche corti, di "Canterbury"... Ogni inutile orpello e' rimosso, ma il semplicismo e' bandito: ogni nota assume un'importanza centrale, permettendo alle varie idee musicali di emergere attraverso le progressioni di accordi, i frequenti cambi di tempo, riff ed arpeggi magistrali e l'incredibile prestazione vocale della cristallina voce di Harris. Una sfida rivolta ad evitare la banalita', flirtando con soluzioni rischiose, sonorita' leggermente dissonanti (in realta' percepibili solo in quanto creatrici di "tensione narrativa" in un tessuto musicale comunque fluido) ed inusuali...
Tutti questi elementi preziosi hanno probabilmente contribuito (e qui sta l'assurdita' di cui parlavo in precedenza) a rendere questo disco troppo diverso rispetto al resto del branco per essere apprezzato da un pubblico distratto da soluzioni musicali piu' fisiche e troppo difficile da scegliere come punto di riferimento da emulare per le altre band. La luce emanata da Canterbury ha probabilmente finito con l'accecare molti di quelli che hanno tentato di accostarvisi... in ogni caso la melodia medio-orientale di "Ishmael" (cosi' ricca di spiritualita' ) e le atmosfere cavalleresche sprigionate dalla cangiante title-track continueranno ad emozionarci ad ogni ascolto. Forse l'Eden musicale esiste davvero, se ci e' concesso di imbatterci in dischi come questo...

VOTO: 1/1
Tiziano
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INFO:
Anno: 1983
Etichetta: MCA
Durata: 40.46 minuti
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