DEATH SS - panic
Febbraio 2000
Si parla spesso a sproposito di metal italiano, se ne parla sempre peggio e sempre soltanto nell'ambito di entita' come band bluff e cose simili. Spesso viene a mancare la prospettiva storica, una coscienza critica che vada al di la' dell'esordio dei Labyrinth, pr dimenticarsi degli esordi al fulmicotone su etichetta Minotauro di una band come questa. Band di culto per ignoranza del pubblico, certamente e non per sottoesposizione o altro. Stavolta, i Death SS hanno colpito le corde giuste: quelle del rimanere fedeli a se' stessi, cambiando gli approcci, diventando moderni, sporcandosi con l'elettronica, lasciando inalterata la magia del loro inconfondibile suono e stile. Da sempre, Steve Sylvester e soci sono stati portatori del verbo hard rock in terra tricolore, e purtroppo sempre pochi non si sono fermati alle solite accuse da Orsoline relative alla loro immagine. Con "Panic" parla prima di tutto la musica, si impone il piu' grande gruppo italiano di hard rock sulla scena, e si deve essere sordi per non accorgersi che questo disco e' tutto fuorche' un compromesso di qualsiasi sorta.
L'intro e' solo un pretesto, ma Jodorowski cita se stesso, e fra La Vey, Burroghs e Crowley, qualcuno potrebbe gia' strocere il naso. Lo stesso naso che sanguinera' dopo la botta di "Let the Sabbath begin", un'opener che sara' inno nell'imminente tour. Il glam strizzato di "Hi tech Jesus" rappresenta uno dei singoli piu' riusciti in ambito hard rock, ma "Lady of babylon" e' trascendentale, una danza di macabro amore sottolineata dalle vocals in duetto taglienti e inquietanti, sopra samples, loops ed elettronica mai invadente quanto compriamria del muro sonoro della band. "The equinox of Gods" rischia di diventare un classico con il tempo, nel suo affondo "pure-ss", suono e stile ben rappresentanto dalla sua innovazione in "Ishtar", che idealmente chiude il primo lato dell'opera. Si riprende il dolore in "The cannibal queen", cattiva e spietata cosi' come e' malignamente perversa "Tallow Doll" oppure oscura e avvolgente e' "Hermaphrodite", cantilena schizzata da Hotel Lovelock. La title track e' solo una pedata colossale all'immobilismo di certi guerriglieri in carta(pecoriti)pesta che campeggiano sulle agonizzanti note finali (speriamo) di un panorama ormai stantio e obsoleto, ridotto alla caricatura di se' stesso, "I'm the mystic clown of lust, I'm the jester, I'm the panic king", forse una non troppo velata confessione. Chiude Jodorowsky (non mi dilungo, ne hanno parlato anche troppo tutti gli altri), "auto sacramental" e' il congedo di "Panic", prima della partenza per un'altra direzione.
Neil Kernon sicuramente ha dato l'esperienza in fase di produzione di questo album, ma d'altra parte e' facile far "suoanre" bene un disco che ha al suo servizio un songwriting ispirato come quello racchiuso in questi solchi, malati, perversi, malvagi, estremamente heavy metal, proiettati nel nuovo millennio, stanchi della standardizzazione, come a ribadire che un certo sano genere, anche se usa la tecnologia, l'elettronica e tutto il resto, rimane sempre e comunque una musica emozionante; a ribadire il concetto che il metallaro medio, invece di fuggire all'aura del "oddio, i Death SS", dovrebbe inchinarsi di fronte a questo talento e lasciar perdere spade, dragoni e fate ed iniziare a tener conto di una considerevole fetta di storia di metal italiano che osa, che respinge lo status di cult band e urla la propria vendetta con un disco che non ha nulla da invidiare a nessuno. Non siate stupidi, approfittate di "Panic". Semplicemente e malignamente delizioso.

VOTO: 1/1
Space Captain
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INFO:
Anno: 2000
Etichetta: Lucifer Rising
Distribuzione: Self
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