QUEENSRYCHE
Gennaio 2000
DISCOGRAFIA:
  • 1983 - QUEENSRYCHE (Emi)
  • 1984 - THE WARNING (Emi)
  • 1986 - RAGE FOR ORDER (Emi)
  • 1988 - OPERATION:MINDCRIME (Emi)
  • 1990 - EMPIRE (Emi)
  • 1994 - PROMISED LAND (Emi)
  • 1997 - HEAR IN THE NOW FRONTIER (Emi)
  • 1999 - Q2K (Atlantic)

NASCITA DEL GRUPPO
La leggenda dei "Queensryche" inizia all' "Easy Street", piccolo negozio di dischi di Seattle, agli albori degli anni '80, in piena era NWOBHM. Proprio li', in quella bottega, ritrovo culto per gli ascoltatori metal della citta', le menti di cinque giovanissimi (Geoff Tate, Chris DeGarmo, Scott Rockenfield, Micheal Wilton e Eddie Jackson)si incontrano e decidono, dopo essersi conosciuti meglio, di porre le fondamenta di una band, "The Mob". Il solo Geoff Tate ha avuto una precedente esperienza in un gruppo locale (i Myth), mentre gli altri in pratica iniziano allora la avventura musicale. Il progetto "The Mob" e', nel suo piccolo, molto ambizioso e particolare, ed ha lo scopo principale di permettere alla band di affinare le proprie doti tecniche, evitando di esibirsi live fino al momento in cui ogni singolo membro non fosse stato piu' che abile nel destreggiarsi con il proprio strumento. Questo suo modo di operare assai misterioso e schivo, questo suo "camminare nell'ombra", crea un certo interesse attorno alla band, che, nel 1981, comincia a scrivere per la prima volta dei brani originali. E' dal nome del primo di questi, "Queen of the reich", cavallo di battaglia delle future esibizioni live, che il gruppo decide di cambiare il proprio monicker nell'epico "Queensryche". Le canzoni sono raccolte e registrate in un demo che viene spedito immediatamente alla rubrica "Armed and Ready" della rivista inglese "Kerrang!", che lo esalta a dismisura: "Poche Heavy metal bands sono capaci di avere tanta classe, e poche sanno essere cosi' brutali", queste le parole del recensore.
Mentre il gruppo continua a scrivere altri brani e si prepara al suo primo vero show, la "206", piccola label gestita dai proprietari dell "Easy Street", decide (finalmente) di pubblicare il demo, il quale, incredibile a dirsi, riesce a vendere quasi diecimila copie(!!!).
E' giunto il momento di porre fine all'alone di mistero che circonda la band, e' il momento di esibirsi dal vivo: al secondo show (che si svolge a Seattle davanti a 3000 persone!!) assiste anche un manager dell' EMI America, che mette la band sotto contratto senza pensarci due volte, con l'intenzione di ristampare immediatamente il demo.

FORMAZIONE DELLA BAND
  • Geoff Tate - voce e tastiere
  • Chris DeGarmo - chitarra
  • Michael Wilton - chitarra
  • Eddie Jackson - basso
  • Scott Rockenfield - batteria

1983 - QUEENSRYCHE (Emi)
Si tratta in pratica della ristampa, da parte della EMI, del primo terremotante parto musicale della band. L'EP e' composto da quattro brani (ai quali verra' aggiunto in seguito un quinto, la spettacolare "The prophecy") che sono, nell'ordine, la gia' citata "Queen of the reich" (devastante nella sua linearita'), "Nightrider", "Blinded" e la semi-ballad "The Lady wore black". Il tentativo della band e' quello di rileggere a proprio modo gli stilemi dell'heavy metal anglosassone a quel tempo dominante, ma le canzoni (pur non raggiungendo l'originalita' e la genialita' di quelle scritte negli anni successivi) denotano comunque la forte personalita' del gruppo e (soprattutto) la sua straordinaria voglia di farsi sentire. Le inflluenze di gruppi come Iron Maiden e Judas Priest appaiono lo stesso molto evidenti, anche se i Queensryche si rendono riconoscibili giocando immediatamente quello che e' il loro asso nella manica, la voce di Geoff Tate, singer che costituira' sempre il marchio di fabbrica della band, dotato di un timbro caldo ed avvolgente e di un'estensione vocale a dir poco incredibile.
Insomma, un disco piacevole e fresco (e sorprendente, dato il gruppo e' appena nato): ma niente in confronto alle complesse architetture che la band sapra' costruire in seguito.

1984 - THE WARNING (Emi)
La band comincia fin da questo disco (il primo full lenght, dunque), a cambiare forma, per una trasformazione che continua ancora ai giorni nostri (e chissa' quando finira'). Improvvisamente vengono abbandonate tutta quella grinta e quell'immediatezza che avevano caratterizzato l'EP d'esordio, le chitarre si fanno piu' leggere e raffinate (complice anche una produzione non all'altezza, come verra' ammesso in futuro dagli stessi membri della band), e il disco nel suo complesso e' piu' riflessivo e oscuro. "The warning" ha un'anima progressiva, come denotano le numerose pause acustiche, o gli intermezzi orchestrali (curati da un certo Michael Kamen, non so se mi spiego), e le melodie non sono mai semplici o banali, ma anzi, costituiscono una ventata d'aria fresca nel panorama metallico dell'epoca. L'ambizione visionaria dei Queensryche viene tradotta in una sorta di concept musicale/lirico fortemente debitore nei confronti delle atmosfere dei libri di G.Orwell e delle storie di fantascienza. La sensazione generale e' quella di una fragile e distante decadenza, tratteggiata in modo superbo dalle numerose parti arpeggiate (da sentire il passaggio centrale della metallica "Child of fire") ma soprattutto dalla prestazione teatrale di Tate, irraggiungibile sulle tonalita' alte e commovente su quelle medio-basse.
I classici di "The warning" si chiamano (soprattutto) "Take hold of the flame" (che verra' suonata in molti dei tour successivi) e la conclusiva "Roads to madness", lunghissima e visionaria, vero masterpiece del disco; ma un po' tutte le canzoni sarebbero da citare, e nel mucchio ricordiamo "NM 156" (dalla quale i Ryche prenderanno spunto per scrivere alcuni pezzi del successivo "Rage for order") e "Child of fire" (magari semplice, ma notevolmente coinvolgente).

1986 - RAGE FOR ORDER (Emi)
E' questo il disco di rottura che ci voleva, l'album che allontana definitamente ogni reminiscenza NWOBHM, quel lavoro che permette ai Queensryche di uscire da ogni categoria, di ripudiare qualsiasi etichetta. "Rage for order" e' sicuramente una delle cose piu' folli e inaspettate che il metal anni '80 abbia mai partorito, cosi' imprevedibile da dividere in due fazioni ben distinte gli stessi fans del gruppo, tra coloro che lo considerano "freddo e troppo diverso dal precedente" e coloro che lo ritengono il primo vero capolavoro della band. Solamente in seguito molti dei detrattori si accorgeranno della pura genialita' contenuta nel platter in questione, un lavoro decisamente innovativo e fuori dagli schemi, il quale influenzera' molto del (prog) metal degli anni successivi. La continua ricerca di nuove forme di espressione e la voglia incontenibile di sperimentazione (quasi fosse una necessita' di primaria importanza) porta la band ad appassionarsi al sampling ed all'elettronica, e il disco ne risente in modo massiccio, descrivendo atmosfere fredde e asettiche, inframezzate dai soliti dolcissimi arpeggi alla DeGarmo. E' questo dualismo sentimento/tecnologia il concetto base sul quale si poggia l'intero lavoro (emblematica in questo senso l'anomala e bellissima "Screaming in digital"), ed e' ancora una volta la fantascienza la prima musa ispiratrice del gruppo, come era accaduto nel disco precedente, con il quale evidentemente la band non era riuscita a dire tutto quello che voleva sull'argomento.
Questo e' dunque il primo vero capolavoro della band, un disco -volutamente- glaciale e claustrofobico, pieno di idee e di spunti, caratterizzato da un massiccio uso di voci filtrate e geniali inserti tastieristici. Non c'e' una canzone al di sotto delle altre, a partire dall' opener "Walk in the shadows" (metallica e trascinante), passando per la dolcezza nascosta in "The killing words" e in "I dream in infra red" o per il gusto tecnologico di "Neue regel" e "Screaming in digital", fino ad arrivare alla conclusiva "I will remember", sorta di ballad dalla atmosfera post-nucleare (!!!), il lamento di chi ha perduto tutto e si volta indietro per rimpiangere il passato (con un Tate inarrivabile per capacita' interpretative).

1988 - OPERATION:MINDCRIME (Emi)
Ecco il platter che il "metallaro" medio considera il capolavoro assoluto della band, sicuramente uno dei dischi metal piu' belli di ogni tempo (se non, ma questi sono gusti personali, il piu' bello). "Operation:mindcrime" e' un intricatissimo ed affascinante concept-album (e diventera' cosi' importante che chiunque, almeno in ambito metal, vorra' in futuro musicare una storia, dovra' necessariamente confrontarsi con esso). Il disco, nel suo insieme, e' un impasto sonoro di non facilissima assimilazione, come ogni lavoro dei Ryche che si rispetti, ma le canzoni, prese singolarmente, rivelano un'accessibilita' notevole (basti pensare all'impatto di songs come "The needle lies" o "Spreading the disease" per farsene un'idea). Le geniali sperimentazioni di "Rage for order" vengono inspiegabilmente messe in un cassetto (e verranno tirate fuori nuovamente nel decennio seguente, con l'uscita di "Promised Land"), ma nessuno verra' a lamentarsi, perche' la qualita' di "Operation:mindcrime" non puo' essere ovviamente messa in discussione. Inutile dire che non c'e' un pezzo al di sotto degli altri, ma che, anzi, ogni parte sembra essere necessaria e funzionale alla descrizione della storia (storia che non e' mai risultata chiarissima, tant'e' che ancora oggi la gente si chiede: "Chi ha ucciso Sister Mary?"). La sequenza iniziale che va da "Anarchy X" a "Spreading the disease" e' sinceramente devastante per dinamismo e intensita' (e la sezione ritmica capitanata dal duo Rockenfield/Jackson ribadisce ancora una volta, come se ce ne fosse bisogno, di che pasta sia fatta). Solo con "The mission" e la lunghissima e gotica "Suite sister Mary" (al cui interno possiamo sentire Tate duellare con una voce famminile, quella di Pamela Moore) arriviamo ad una sorta di pausa di riflessione, subito frantumata dalla potenza cataclismatica di "The needle lies", ennesima gemma di valore inestimabile presente nel disco. Dopo di essa, l'atmosfera generale dell'album muta improvvisamente, ed arrivano pezzi piu' cerebrali e di conseguenza meno diretti ed accessibili (i quali intendono descrivere le gravi crisi psicologiche che turbano la mente del protagonista della storia). E' il turno di "Breaking the silence", della tensione di "I don't believe in love" e dello strumentale drammatico "Waiting for 22", con DeGarmo semplicemente commovente alla chitarra. L'epilogo della storia, con tutti i suoi misteriosi risvolti, viene narrato da "Empty room" e da "Eyes of a stranger", musica e testo da brividi, per una canzone cosi' straordinaria che non la si puo' descrivere, ma solo ascoltare.
Il disco vendera' piu' di un milione di copie, soprattutto perche' sara' ripescato da coloro che scopriranno il gruppo solamente dopo il successo del seguente Empire.

1990 - EMPIRE (Emi)
E per i Queensryche giunge finalmente anche il meritato momento di celebrita'. La band, dopo l'enorme lavoro concettuale ideato nei dischi precedenti, decide di uscirsene con un album dalle coordinate e dalla filosofia diametralmente opposte, creando, una volta tanto, un platter composto esclusivamente da canzoni, senza che ci sia un qualche filo logico che intenda metterle in relazione. E' cosi' che nasce "Empire", una semplice raccolta di songs (molte di esse incentrate comunque sul tema delle relazioni interpersonali), sicuramente le piu' solari e radiofoniche che la band abbia mai creato, basate su melodie straordinariamente catchy e vincenti. Un disco cosi' (raffinatamente) "commerciale", nell'accezione piu' positiva del termine, non poteva che portare i Queensryche in cima alla classifiche di vendita americane, trascinato prepotentemente dal singolo "Silent Lucidity" (sognante ballad orchestrale, trasmessa di continuo dalle radio statunitensi e, sotto forma di video, dalle TV), che verra' premiata da MTV come "miglior canzone rock" dell'anno. Sulla spinta di "Silent Lucidity" e degli altri 5 singoli estratti (!!!), "Empire" vende milioni di copie e porta i Queensryche a calcare i palcoscenici piu' noti (memorabile la toccante prestazione della band all' MTV unplugged).
Ma cosa pensano i sostenitori piu' fedeli del gruppo dell'ennesima svolta stilistica della band, stavolta alle prese con sonorita' piuttosto "americane" e mainstream anche se decisamente accattivanti? C'e' chi accusa la band di essersi venduta al business, sfornando un album che le permettesse di dominare le classifiche, c'e' chi, per l'ennesima volta, loda il suo essere eclettica. "Empire" e' sicuramente piu' facile e immediato dei dischi precedenti, con canzoni come "Jet city woman" o "Another rainy night" o la gia' citata "Silent lucidity" che non possono non entrare in testa fin dai primi ascolti, ma non e' mai commerciale per il gusto di esserlo. E' un album decisamente melodico ma allo stesso tempo robusto e concreto, e rappresenta in tutto e per tutto quello che il gruppo aveva intenzione di creare, cioe' un lavoro che fosse in grado di allargare notevolmente il numero dei sostenitori senza per questo rinnegare la maestosita', la tecnica e la pulizia sonora che avevano caratterizzato i dischi precedenti, e senza cadere nelle facili tentazioni del pop. Ancora un grande disco, dunque, emozionante all'inverosimile (come non commuoversi di fronte all'energia dell'opener "Best I can" o alla magia di "Silent lucidity"?), magari piu' easy listening e disimpegnato dei precedenti (anche se i testi di "Empire" o della languida "Anybody listening"? sembrerebbero dimostrare il contrario), ma sicuramente Queensryche al cento per cento. Ultime considerazioni: la produzione (del suono) e' fantastica, gli arrangiamente sublimi (quello orchestrale di "Silent lucidity" e' ancora una volta curato da Micheal Kamen), e la prestazione dei singoli musicisti come al solito e' irreprensibile, con il duo DeGarmo-Wilton sempre geniale nel tessere le sue trame chitarristiche e con un Tate che, abbandonati gli acuti ultrasonici di gioventu', abbraccia tonalita' ancora piu' calde e coinvolgenti.

1994 - PROMISED LAND (Emi)
Le eccezionali vendite di "Empire" portano quindi i Queensryche ad assaporare le gioie, e forse anche i dolori, che un successo come quello, cosi' improvviso ed inaspettato, puo' comportare. Dopo l'uscita del disco il gruppo vede la sua immagine esposta sulle copertine delle riviste rock/metal di mezzo mondo, partecipa (come gia' accennato) all' MTV unplugged, intraprende un lungo tour mondiale (nel quale la band potra' rappresentare finalmente, come ha sempre desiderato, l'intero concept di "Mindcrime"), fa uscire alcune videocassette (tra cui "Building Empires", una raccolta di video, e "Operation:livecrime", un cofanetto comprendente VHS+CD) e scrive una canzone per la colonna sonora di "Last action hero" (la dolcissima "Real world"). Insomma: il gruppo sembra quasi essersi sperduto all'interno del labirinto del music-business e, passato tutto il clamore che gli si era creato attorno, decide di prendersi un (lungo) periodo di riflessione. Giunge cosi' l'autunno del 1994, e, quando tutti sembrano essersi dimenticati di loro, i Queensryche fanno uscire il loro quinto disco (EP escluso), "Promised Land" , che comunque esordira' al terzo posto di Billboard. Nuovo disco, nuova svolta musicale. Sarebbe stato facile per loro fare un disco fotocopia di "Empire" e vendere ancora una volta milioni e milioni di copie, ma "Promised Land" e' quanto piu' di diverso dal suo predecessore la band potesse scrivere. In un'era in cui e' il minimalismo musicale di un certo grunge a farla da padrone, i Queensryche sfornano un disco raffinato e ultracomplesso, un capolavoro di inestimabile valore che non e' solo un album, ma un vero e proprio viaggio dentro la psiche umana. Il successo clamoroso di "Empire" sembra quasi aver scosso l'anima del duo DeGarmo/Tate (musica e parole su gran parte delle canzoni), che ora paiono disillusi e ancora piu' filosofici che in passato, e che, dimenticata la carica positiva di quel disco, disegnano talvolta atmosfere oniriche e riflessive, anteponendo la potenza del concetto a quella delle chitarre (comunque presenti, nelle forme piu' disparate). Registrato su una sperduta isola in mezzo all'oceano (e con una produzione paurosa!), "Promised Land" e' un disco nuovamente sperimentale e coraggioso, fondamentalmente inetichettabile, ricco di dettagli e di sfumature nonche' di diverse chiavi di lettura, che cerca di descrivere la societa' odierna osservandola pero' dal punto di vista dell'individuo. L'individuo che cerca la risposta alle domande eterne, l'individuo che trascorre la vita perseguendo scopi che si riveleranno essere effimeri. "Promised Land" parla di tutto questo, e lo fa senza scadere mai nel retorico o nel banale, ma anzi, riuscendo a miscelare in modo perfetto la parte strettamente musicale con quella lirica, tanto che non avrebbe senso separare l'una dall'altra. L'attacco maestoso di "I am I" (quasi una implicita dichiarazione d'intenti da parte della band) e' di quelli che lasciano il segno, mentre la rabbia controllata di "Damaged" e' forse l'unico momento ruvido di un lavoro che da qui in poi diviene estremamente riflessivo. Si prosegue infatti con la dolcissima ballad acustica "Out of mind" (e Geoff Tate e' da applausi), con la semplice ma efficace "Bridge" (alla cui melodia DeGarmo ha donato un testo notevolmente duro) e poi con l'onirica title-track, vero cuore pulsante del lavoro, prima del momento forse piu' sperimentale, quello di "Dis con nec ted", song inusuale ed ammaliante. Tocca all'oscura melodia senza tempo di "Lady jane" chiudere questa sorta di pausa di riflessione, alla quale succedono le due mid-tempo "My global mind" e "One more time" (dalla chitarre multiformi e fantasiose). Il viaggio nella Terra Promessa si chiude con "Someone else?", pezzo per piano e voce, nel quale la voce di Tate ci prende per mano per portarci a rivivere qualche frammento del suo passato, ed ogni commento ulteriore e' superfluo.
Incredibilmente anche un disco clamoroso come "Promised Land" ha avuto i suoi detrattori, cioe' quei fan che si aspettavano un disco fotocopia di "Empire", e che trovano che l'album abbia "poca potenza" e "poca energia".
I Queensryche sapevano di rischiare, ma non hanno potuto astenersi dal comporre un simile album, sentivano di doverlo fare. Per fortuna.

1997 - HEAR IN THE NOW FRONTIER (Emi)
"Hear in the now frontier" e' a tutt'oggi il disco dei Queensryche piu' criticato e denigrato. E questo potrebbe bastare. Spariscono in modo inaspettato i tocchi di tastiera e le malinconiche atmosfere di "Promised Land", a favore di un album rock ruvido ed essenziale, anche se non necessariamente diretto ed accessibile, dalle sonorita' soprendentemente alternative. Il gruppo viene subito accusato di aver voluto seguire (anche se in netto ritardo) la moda del grunge, e "Hear" si rivela essere un clamoroso flop sotto ogni punto di vista. Sono in molti a rimpiangere la grandeur del passato, la voce cristallina di un Tate che ha cambiato radicalmente stile, le chitarre magniloquenti dei dischi precedenti,e, in ultima analisi, l'emozione, che sembra essere rimasta tra i solchi di "Promised Land". Comunque sia, questo, per molti, non e' un disco dei Queensryche, ma il disco di Chris DeGarmo (autore di quasi tutte le canzoni), che decidera' di lasciare il gruppo proprio nel tour promozionale dell'album (a dimostrazione che qualcosa nella band non funzionava, all'epoca). Se analizzato a freddo, "Hear in the now frontier", sicuramente il livello piu' basso toccato dalla produzione queensrychiana, non e' un brutto lavoro, ma un disco di buona qualita' basato sull'idea di porre i testi (bellissimi ed impegnati) al centro di tutto, rendendo di conseguenza la musica scarna e semplice. Infatti contiene ottimi episodi e altri decisamente meno riusciti: a brani assolutamente fantastici come "Spool" (con delle liriche meravigliose che sembrano attingere a piene mani dalle teorie semiotiche e sociologiche) e "The voice inside" si contrappongono pezzi banalissimi come "Miles away" e "All I want", che mostrano una preoccupante carenza di idee e di energia.
Il grosso insuccesso a livello commerciale costringe la EMI a licenziare la band.

1999 - Q2K (Atlantic)
L'uscita di "Q2K" coincide con la rinascita della band che ritorna, almeno dal punto di vista qualitativo, agli splendori del (glorioso) passato. "Q2K" non rappresenta una prosecuzione del discorso stilistico intrapreso con "Hear in the now frontier" (come alcuni affermano) ma neppure una comoda riproposizione di sonorita' gia' sperimentate in passato (come molti speravano). E' solo l'ennesimo straordinario disco alla Queensryche, senza vie di mezzo, che denota la forte personalita' di una band nuovamente compatta (il chitarrista Kelly Gray e' nel frattempo subentrato a Chris DeGarmo). E' un disco rock, non piu' scarno e scialbo come accadeva negli episodi meno riusciti di "Hear", ma vitale, energico, e, in alcune parti, maestoso (la finale "The right side of my mind", per esempio).
"Sacred ground", "Liquid sky" e "The right side of my mind" sono canzoni capolavoro che valgono i classici del passato, ma anche gli altri pezzi non sono da meno, e la qualita' globale del platter e' altissima, anche se manca ancora qualcosa per raggiungere i picchi di "Operation:mindcrime" e "Promised Land" (masterpieces forse irraggiugibili anche per loro). Tate e' tornato a cantare alla sua maniera (soprattutto a livello di feeling), mentre le chitarre di Wilton/Grey fanno della essenzialita' il loro punto di forza (tanto che alcune canzoni non hanno neppure un vero e proprio assolo). Da rimarcare, infine, la splendida prestazione delle coppia Rockenfield/Jackson, soprattutto dal punto di vista degli arrangiamenti (ma non solo).
E se sentite qualcuno che vi dice che questo e' un album "grunge"....Lasciatelo fare.... :-)
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Gianluca "Geoff"
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