Maggio 2000
GLI INIZI
Gli Iron Maiden nascono a meta' degli anni '70 per volere del bassista (e tutt'ora leader) Steve Harris. All'inizio era poco piu' di una band nata per gioco da un gruppo di amici al liceo, ma e' con l'arrivo nel 1976 del chitarrista Dave Murray che le cose si fanno decisamente piu' serie. Il gruppo, che subisce vorticosi mutamenti di line-up, inizia nel 1978 ad incidere i primi pezzi di quella che sara', ed e' ancora, una carriera grandissima e leggendaria. Il primo demo, registrato negli Spacewodd Studios a Cambridge, conteneva quattro canzoni ("Prowler", "Iron Maiden", "Strange World" e "Invasion") e vedeva come cantante definitivo il bravo Paul Di' Anno. Questo demo viene stampato su vinile, autoprodotto e distribuito l'anno dopo con il titolo di "The Soundhouse Tapes". Inutile dire che questo primo disco ebbe un grande successo, e adesso sia praticamente introvabile, se non a prezzi esorbitanti o dentro alcuni bootleg. Fortunatamente il prezioso vinile e' stato ristampato in parte nel greatest hits del 1996, "The Best of the Beast", versione doppio cd, che contiene le proprio le antiche registrazioni di "Strange World" ed "Iron Maiden". Ascoltate al giorno d'oggi, queste canzoni presentano gia' molte delle caratteristiche del sound della band inglese, ma non si puo' fare a meno di notare come ci sia qualcosa di diverso, a partire dalle atmosfere, decisamente piu' rilassate rispetto a quanto vedremo sul primo album della band, per arrivare ad un giro di basso molto roccheggiante su "Iron Maiden", che potrebbe strappare piu' di un sorriso a chi conosce solo la versione da disco e dal vivo.
Comunque sia, il vero e proprio debutto sulla scena musicale avviene nel 1980, con l'assestarsi della formazione grazie agli arrivi di Dennis Stratton alla chitarre e Clive Burr alla batteria e con la partecipazione alla storica raccolta "Metal for Muthas" (recentemente ristampata dalla Air Raid Records, l'etichetta personale di Bruce Dickinson), che diede il via alla New Wave Of British Heavy Metal.
Fu cosi' che dopo la firma del contratto con la EMI (che con gli Iron Maiden probabilmente fece uno dei piu' grandi affari della sua storia) e dopo un paio di singoli preparatori, finalmente usci' il debutto vero e proprio, ovvero...

IRON MAIDEN - 1980
Lanciato dal singolo (o forse dovremmo dire dal 45 giri) "Running Free" (che riusci' comunque ad entrare nelle charts inglesi), il primo disco degli Iron Maiden e' decisamente uno degli album fondamentali del metal, sia per i contenuti, che per il successo che ottenne. Nonostante siano passati ormai 20 anni dalla loro pubblicazione, le otto canzoni che compongono l'album riescono a risultare ancora fresche, potenti e godibilissime; certo i fasti dell'era Dickinson dovevano ancora arrivare, ma non e' un caso se molti fan considerino questo disco (ed il suo successore "Killers") come il migliore album della band. Di certo c'e' un'irruenza ed una potenza che col passare del tempo sarebbero state stemperate in favore di un songwriting piu' ricercato; in piu' c'e' lo splendido cantato di Paul Di Anno, singer spesso bistrattato dai fans, ma dotato di una voce particolare e soprattutto di una gran potenza. Tra i brani, sicuramente da segnalare ci sono l'oscura e cadenzata "Remember Tomorrow", la trascinante e anthemica "Running Free" e la strumentale "Transilvanya". Ma i due pezzi fondamentali di questo disco sono sicuramente "Phantom of the Opera" e, ovviamente, "Iron Maiden". La prima e' forse la prima canzone definitiva degli Iron Maiden, quella dalla quale sarebbe esploso lo stile caratteristico che ha il suo manifesto nell'album "The Number of the Beast", ed e' tutt'ora una delle canzoni preferite di sempre dai fans della Vergine di Ferro, tanto che il gruppo l'ha suonata anche nell'ultimo tour celebrativo del ritorno di Bruce Dickinson e Adrian Smith. "Iron Maiden" e' invece il manifesto della band, con il suo chorus anthemico, gridato ad ogni concerto da migliaia di fans, sempre presente in ognuno delle migliaia di concerti che la band ha tenuto in 20 anni di carriera. Poco dopo l'uscita dell'album Dennis Stratton lascia il gruppo e al suo posto entra Adrian Smith, che accompagnera' la band nei suoi momenti piu' fortunati ed ispirati.

KILLERS - 1981
Riuscire a ripetersi dopo l'ottimo debut-album, e a consolidare il successo ottenuto era difficile, ma gli Iron Maiden con "Killers" centrarono decisamente il bersaglio. Nonostante molti lo trovino un album noioso e sottotono, si tratta invece, a giudizio di chi scrive, di un grandissimo lavoro, forse superiore anche a quel "The Number of the Beast" che da sempre e' ritenuto il capolavoro della band. "Killers" ha dalla sua ancora la irruenza del debutto, mista ad una maggiore maturita' nell'esecuzione e nel songwriting della band, con in piu' una prestazione davvero ottima di Paul Di Anno (che di li' a poco avrebbe lasciato la band alla fine del "Killers World Tour"). Il disco si apre con la strumentale "The Ides of March", che fa da preludio ad uno dei brani piu' popolari di sempre della band, "Wrathchild", 3 minuti di potenza e di classe con il basso di Steve Harris assoluto protagonista sin dalle prime note. Da notare assolutamente anche l'ottima "Murders in the Rue Morgue" (chiaramente ispirata al racconto di E.A.Poe), caratterizzata da riff e da un cantato abbastanza roccheggianti, e la title track, interpretata alla perfezione da un ispiratissimo Paul Di Anno (tanto che Dickinson ha sempre ammesso di avere problemi a cantare questa canzone). Ma il vero e proprio gioiellino dell'intero disco e' "Purgatory", una canzone che potremmo definire praticamente perfetta (non a caso fu scelta come singolo): ritmo trascinante, un riff accattivante ed uno dei chorus piu' belli della storia del metal, con le frasi "Please take me away, take my away, so far away". Peccato solo che la band, se non nel tour susseguente al disco, non l'abbia piu' presentata dal vivo. Mah!
Durante il tour di "Killers" la band registro' un EP dal vivo in Giappone, intitolato "Maiden Japan" e contente quattro pezzi suonati in maniera magistrale: "Running free", "Remember tomorrow", "Killers" e "Innocent exile". Questa purtroppo rimane l'unica testimonianza dal vivo della band assieme a Paul Di'Anno.

THE NUMBER OF THE BEAST - 1982
Dopo il "Killers World Tour", la band si trova nella spinosa situazione di dover rimpiazzare il cantante, dopo due soli album. Ancora una volta Steve Harris azzecca la scelta giusta, affidandosi all'ugola di Bruce Dickinson, gia' cantante dei Samson, altra formazione storica della NWOBHM. Dickinson e' uno screamer, potente e lirico, ispirato da Ronnie James Dio, di grandissima presenza scenica e dotato di una voce decisamente accattivante. Di certo di strada doveva farne ancora e negli anni seguenti sarebbe sempre piu' migliorato, ma la sua prestazione su "The Number of the Beast" e' cristallina, coinvolgente, ottima. Le nuove, ottime, canzoni mostrano un songwriting meno immediato e grezzo, piu' sofisticato; il tutto sotto una copertina stupenda di Derek Riggs raffigurante Eddie (l'onnipresente mascotte della band) che all'inferno manovra una marionetta del diavolo, la quale a sua volta manovra una marionetta di Eddie. Da segnalare "Children of the Damned", pezzo abbastanza riflessivo dove per la prima volta si odono tutte le potenzialita' di Bruce Dickinson, "The Prisoner", ispirata ad un telefilm culto degli anni 60 e l'ironica e divertente "22 Acacia Avenue", seguito di un'altra canzone, "Charlotte the Harlot", contenuta nel debutto della band (e che avrebbe avuto un altro seguito con la canzone "Hooks in You" su "No Prayer for the Dying"). Ma il disco ruota decisamente intorno al trittico formato da "The Number of the Beast", canzone aperta da una citazione dalla Bibbia e caratterizzata da un riff delizioso e da un chorus conosciuto praticamente da qualunque metallaro (chorus che causo' non pochi grattacapi alla band, accusata senza alcun senso di essere satanista), da "Run to the Hills", canzone sugli indiani d'America, e soprattutto dalla piu' famosa e bella canzone di sempre dei Maiden, ovvero "Hallowed be Thy Name", la storia dell'ultima ora di un condannato a morte, prima della sua esecuzione. "Hallowed..." inizia con l'oscuro suono di campane, sottolineato da un riff cadenzato e dalla voce di Bruce, prima di una vera e propria l'esplosione: le chitarre si rincorrono come non mai in riff ed assoli, Bruce urla le strofe con trasporto, il basso di Steve Harris pulsa alla grande. Difficile non farsi stregare da questo brano entrato di diritto tra le migliroi canzoni di sempre del metal (tanto da essere giunta seconda nel referendum di Metal Hammer Millenium, dietro a "Stairway to heaven").

PIECE OF MIND - 1983
Dopo il successo planetario di "The Number of the Beast" mancava solo un elemento al mito degli Iron Maiden: Nicko McBrain!! Nell'83 il batterista entra in formazione al posto di Clive Burr e subito dimostra la sua bravura, la sua grande tecnica e la sua fantasia; e' decisamente l'ultimo tassello che mancava alla formazione e "Piece of Mind" e' la sua prima prova in studio. Gia' dall'opener "Where Eagles Dare" si nota qualcosa di diverso, a partire dall'uso dei piatti e dalle continue rullate che accompagnano la canzone. Comunque sia, in "Piece of mind" la band non fa altro che confermare lo stile di "The Number of the Beast", implementandolo anche con il songwriting di Bruce Dickinson e di Adrian Smith, in pieno stile Maiden, ma sotto molti aspetti meno standardizzato del songwriting tipico di Steve Harris. In particolare lo si nota nelle tre canzoni "Revelations", "The Flight of Icarus" (rese immortali dalla loro registrazione dal vivo su "Live after Death") e nell'ottima "Die with your Boots on", grandissimo pezzo purtroppo dimenticato dai Maiden nelle loro attuali esibizioni live. Il brano piu' popolare del disco e' sicuramente "The Trooper", canzone potente e fortemente anthemica, da sempre protagonista di qualunque show della band. In definitiva "Piece of Mind" e' un buon album, nel quale la band arricchisce il proprio sound grazie a Nicko e dove il songwriting si assesta definitivamente sullo stile che e' tuttora marchio di fabbrica riconoscibile al primo ascolto. Peccato solo per una produzione decisamente sottotono che toglie qualche punto ad un disco altrimenti ottimo. Per fortuna ci avrebbe pensato "Live after Death" a rendere giustizia alle canzoni!

POWERSLAVE - 1984
Il 1984 non vede mutamenti di formazione per la band, che aveva cambiato un membro per ognuno dei precedenti album. La line up e' quella piu' famosa, originatasi nel precedente "Piece of Mind", quella che forse rimarra' per sempre nei cuori di tutti i fans: Harris - Murray - Smith - Dickinson - McBrain. Forti di una stabilita' forse mai avuta in precedenza, gli Iron Maiden sfornano uno dei tre album che a tutti i costi bisogna avere della band: dopo l'omonimo primo album, dopo "The Number of the Beast", ecco che il combo inglese realizza "Powerslave". E' da sottolineare come in quest'album ci sia una certa spartizione del songwriting: infatti meta' album e' scritto da Steve Harris e l'altra meta' dalla coppia Smith/Dickinson (che sfornera' anche negli anni a venire pezzi memorabili). L'inizio e' al fulmicotone, "Aces High" e "2 Minutes to Midnight" aprono l'album con un energia spaventosa. Bruce canta in modo incredibile raggiungendo note altissime. Subito dopo, la strumentale "Losfer Words (Big 'Orra)", seguita da un altro degli anthem degli Irons, ovvero "Flash of the Blade", scritta da Dickinson, che non ha mai nascosto la sua passione per la scherma. A ruota arrivano le due canzoni forse meno splendenti dell'album, anche se decisamente buone, cioe' "The Duellists" (scritta da Steve Harris nonostante il titolo) e "Back in the Village". L'album si chiude con due capolavori: "Powerslave", scritta da Bruce (musica e testi), canzone potente nello stile "a cavalcata", basata sulla storia di Osiride (il dio egiziano che ogni anno doveva morire e risorgere per garantire la fertilita' dei raccolti) e la conclusiva, strabiliante "Rime of the Ancient Mariner". Composta da Harris, riprende, nei suoi tredici e passa minuti di cavalcate, cambi di tempo, arpeggi di basso e altro ancora, il poema si S.T. Coleridge dal medesimo titolo. Ancora oggi e' considerata uno dei capolavori della band.

LIVE AFTER DEATH - 1985
Dopo la pubblicazione di "Powerlsave" gli Iron Maiden si imbarcano per un incredibile tour di supporto al disco: il "World Slavery Tour", un tour mondiale di ben 300 date nell'arco di un anno, con una scenografia a dir poco monumentale e un set di canzoni spaventoso. Nel 1985, alla fine del loro "giro promozionale" pubblicano questo live, registrato durante le quattro serate sold out alla Long Beach Arena, alla periferia di Los Angeles (ma alcuni pezzi sono stati registrati all'Hammersmith Odeon di Londra). Sicuramente e' uno dei migliori live mai pubblicati, degno certamente di affiancare una pietra miliare come "Alive II" dei Kiss. L'inizio e' affidato a tale Winston Churchill: il concerto si apre infatti con le parole con le quali il Primo Ministro inglese annunciava l'entrata in guerra dal Regno Unito. Dopo la frase "We shall never surrender" ecco che parte "Aces High", potente e veloce almeno come sul disco, se non di piu', seguita ovviamente da "2 Minutes to Midnight". La band ripropone con una grandissima energia tutti classici: "The Trooper", "Revelations", "Flight of Icarus", "Hallowed Be Thy Name" (che in versione live e' veramente da brivido), "The Number of the Beast", l'intera "Rime of the Ancient Mariner" (con uno stacco centrale in cui vengono riprodotti gli scricchiolii delle tavole del ponte della nave, facendo salire un brivido lungo la schiena dei presenti), l'immancabile "Iron Maiden", "Run to the Hills" e "Running Free", in una versione di piu' di otto minuti, dovuti al fatto che nella parte centrale Bruce si diletta a intrattenere il pubblico.
Oggi il live e' stato ristampato e sono state aggiunte ben cinque canzoni, che, escluse dalla prima versione in cd, si potevano trovare solo sulla vecchia versione in doppia cassetta. Ecco cosi' che oggi possiamo godere anche di: "Wrathchild" (unico estratto dal bellissimo "Killers"), "22 Acacia Avenue", "Children of the Damned", "Die with your Boots On" e la mitica "Phantom of the Opera". Di questo live e' anche disponibile una VHS in cui si puo' ammirare l'imponente scenografia usata dagli Iron, che in quegli anni erano soliti montare sul palco delle vere "cattedrali gotiche" (anche se nella videocassetta mancano le cinque canzoni di cui sopra).

SOMEWHERE IN TIME - 1986
Rientrati in studio gli Iron Maiden si accingono a registrare uno dei loro album piu' controversi. Infatti in questo "Somewhere in Time", nato dalle mani di Steve Harris e Adrian Smith, per la prima volta fanno uso di chitarre e basso sintetizzati, oltre ovvimente a quelle normali. A molti fans questa scelta non e' andata giu', pero' di fronte alla bellezza di alcune delle canzoni qui contenute si sono presto ricreduti. "Caught Somewhere in Time" e la mitica "Wasted Years" (che ha uno dei riff piu' copiati e riciclati del mondo) aprono l'album. Segue "Sea of Madness", canzone bella ma niente di piu'. Ecco quindi una delle canzoni piu' famose degli Iron Maiden, forse anche per il modo in cui viene proposta dal vivo: "Heaven Can Wait". Il brano e' molto rapido e con un Dickinson, che non si sa come faccia a cantare cosi' velocemente, in ottima forma. Famoso lo stacco centrale proprio per la versione live (in pratica durante i concerti entrano sul palco i roadie a cantare insieme al pubblico il coro). A seguire "The Loneliness of the Long Distance Runner", canzone abbastanza triste con un assolo davvero bellissimo e poi la fantastica "Stranger in a Strange Land", che vede sempre un grandissimo Bruce alla voce. La penultima canzone e' la strana "Deja - Vu", brano abbastanza difficile da descrivere ma godibile e accattivante. L'album si conclude con la grandiosa "Alexander the Great", un omaggio personale di Steve Harris al grande conquistatore macedone: piu' di otto minuti di ottima atmosfera.

SEVENTH SON OF A SEVENTH SON - 1988
Dopo un altro lunghissimo tour mondiale gli Iron Maiden escono con il primo e fin ora unico concept album che abbiamo mai realizzato. Visioni, sogni, chiaroveggenti e profezie sono l'argomento di quest'album basato su un libro dallo stesso titolo. Proseguono gli esperimenti con i sintetizzatori e l'album che ne esce e', secondo me, l'ultimo davvero bello che abbiano fatto (anche se e' un album che ha diviso il pubblico). Molti fanno coincidere questo fatto con quello che "Seventh Son..." sia l'ultimo album con Adrian Smith, anche se non si puo' essere proprio d'accordo con queste affermazioni. Ad ogni modo, troviamo pezzi molto, molto belli, come "Moonchild", "Infinite Dreams", l'hit single "Can I Play with Madness", con la sua famosissima cavalcata, la bella e oscura title track, con una parte narrata davvero d'impatto, "The Claivoyant", che inizia con un giro di basso notevole, e "The Prophecy". Un po' sotto la media dell'album direi "The Evil that Men Do", che viene comunque ancora oggi riproposta live, e "Only the Good Die Young", anche se sono canzoni decisamente superiori a quelle che si trovano negli ultimi quattro album, a parere di chi scrive. Il tour della band li porta per la prima volta da headliners al mitico Monsters of Rock di Castle Donington.

NO PRAYER FOR THE DYING - 1990
Nuovo decennio, e nuovo cambio di line-up per la Vergine di Ferro: se ne va Adriam Smith (pare per dissensi musicali con Harris) e il suo posto e' preso da Janick Gers, chitarrista con un lungo passato nella NWOBHM (negli White Spirit e con la Gillan Band) e di session-man di lusso (Fish), ma soprattutto a fianco di Bruce Dickinson per la prima esperienza solistica di quest'ultimo, l'album "Tattoed Millionaire", uscito nei primi tempi del 1990, e relativo tour. La presenza di Gers si limita pero' a un solo lavoro fisico, visto che i brani (per lo piu' scritti da Harris) sono gia' pronti per essere registrati. "No Prayer..." e' un disco anomalo, che mescola ottime tracks (la rombante "Holy Smoke", la lirica e molto inglese title track, la veloce e coinvolgente "Public Enema Number One") a pezzi francamente orribili ("The Assassin", dal coro stupidissimo, "Run Silent Run Deep", scontatissima) e altre canzoni che invece non aggiungono nulla di nuovo a quanto gia' fatto in precedenza: "Tailgunner" (una vera e propria riscrittura di "The Clairvoyant"), "Mother Russia" (polpettone che ricalca gli schemi di "Alexander the Great") e "Fates Warning" (discreto filler dalle buone melodie). Si segnalano anche "Bring Your Daughter to the Slaughter", simpatico brano blueseggiante scritto originariamente da Dickinson per la colonna sonora di "Nightmare 4" (e registrata sull'omonimo disco) e "Hooks in You", unico brano a firma Dickinson/Smith, che altro non e' che un godibile hard rock dal testo pieno di doppi sensi. Prodotto in modo ruspante, cantato abbastanza bene, in definitiva il disco non scontenta i fan, ma manifesta i primi sintomi dello sclerotizzarsi del songwriting maideniano. Il tour seguente e' pero' come sempre un successo e decreta la grande abilita' live di Gers.
Da "No Prayer for the Dying" sono stati tratti i singoli di "Holy Smoke" (con le cover degli Stray "All in your Mind" e dei Golden Earring "Kill Me Ce Soir"), "Bring Your Daughter to the Slaughter" (con le cover dei Free "I'm a Mover" e dei Led Zeppelin "Communication Breakdown") e "Tailgunner".

THE FIRST TEN YEARS - 1990
Per festeggiare i primi 10 anni dalla pubblicazione dell'album "Iron Maiden", la band (o meglio la Emi) decide di ristampare tutti i singoli pubblicati fino a "No Prayer for the Dying", riunendoli in dieci mini-CD che contenevano ognuno due singoli, il tutto corredato da una delirante traccia parlata da Nicko McBrain, qualcosa di assolutamente schizzato (ed abbastanza incomprensibile, a dire il vero, vista la velocita' con la quale parla il folle batterista!!!). I dieci mini-album sono tutt'ora abbastanza facilmente recuperabili, fermo restando che si tratta perlopiu' di materiale di tipo collezionistico, visto che gli unici motivi d'interesse sono la presenza di varie b-sides, alcune delle quali per altro hanno trovato posto anche sugli album ufficiali nella piu' recente ristampa della discografia della band. Comunque sia valgono decisamente la pena tutti i singoli risalenti all'epoca Di Anno, visto che sono pieni di canzoni inedite, versioni curiose e cosi' via. Tra questi assolutamente imperdibile e' l'EP "Maiden Japan", che, come si diceva sopra, e' l'unica testimonianza ufficiale dal vivo del periodo Di'Anno. Va sottolineata anche la buona qualita' dei singoli del periodo "Somewhere in Time"/"Seventh Son of a Seventh Son", ed in particolare di "Can I Play with Madness"/ "The Evil that Men do", con una canzone delirante come "Black Bart Blues" e le versioni ricantate da Bruce Dickinson di "Charlotte the Harlot" e di "Prowler".
Diamo qui di seguito la lista completa dei "dischi del decennale", con alcune note relative alle cover e b-sides di ogni singolo. Per quanto riguarda i singoli estratti dagli album successivi, riportiamo le informazioni nelle singole schede:

I- Running Free/Sanctuary - 1980
Contiene: "Running Free", "Burning Ambition" (inedito), "Sanctuary", "Drifter (live)", "I've Got the Fire (live)" (cover dei Montrose), "Listen with Nicko! Part 1".

II- Women in Uniform/Twilight Zone - 1980/1981
Contieneo: "Women in Uniform", "Invasion" (cover degli australiani Skyhooks), "Phantom of the Opera (live)", "Twilight Zone", "Wrathchild", "Listen with Nicko! Part 2".

III- Purgatory/Maiden Japan - 1981
Contiene: "Purgatory", "Genghis Khan", "Maiden Japan" (EP live con "Running Free", "Remember Tomorrow", "Killers" e "Innocent exile"), "Listen with Nicko! Part 3".

IV- Run to the Hills/The Number of the Beast - 1982
Contiene: "Run to the Hills", "Total Eclipse" (inedito dalle sessions di "The Number of the Beast"), "The Number of the Beast", "Remember Tomorrow (live)", "Listen with Nicko! Part 4".

V- Flight Of Icarus/The Trooper - 1983
Contiene: "Flight of Icarus", "I've Got the Fire" (cover dei Montrose), "The Trooper", "Cross-eyed Mary" (cover dei Jethro Tull), "Listen with Nicko! Part 5".

VI- 2 Minutes to Midnight/Aces High - 1984
Contiene: "2 Minutes to Midnight", "Rainbow's gold" (cover dei Beckett), "Mission from 'arry" (registrazione di un comico litigio tra Nicko e Bruce), "Aces High", "King of Twilight" (cover/riarrangiamento di due pezzi dei Nectar), "The Number of the Beast (live)", "Listen with Nicko! Part 6".

VII- Running Free/Run to the Hills - 1985
Contiene: "Running Free", "Sanctuary", "Murders in the Rue Morgue", "Run to the Hills", "Phantom of the Opera", "Losfer Words (Big 'orra)" (tutti i brani sono dal vivo), "Listen with Nicko! Part 7".

VIII- Wasted Years/Stranger in a Strange Land (1986)
Contiene: "Wasted Years", "Reach Out" (inedito cantato da Adrian Smith), "The Sheriff of Huddersfield" (inedito), "Stranger in a Strange Land", "That Girl" (cover degli FM), "Juanita" (inedito), "Listen with Nicko! Part 8".

IX- Can I Play with Madness/The Evil that Men Do - 1988
Contiene: "Can I Play with Madness", "Black Bart Blues" (inedito), "Massacre" (cover dei Thin Lizzy), "The Evil that Men Do", "Prowler '88", "Charlotte the Harlot '88", "Listen with Nicko! Part 9".

X- The Clairvoyant/Infinite Dreams - 1988/1989
Contiene: "The Clairvoyant (live)", "The Prisoner (live)", "Heaven can Wait (live)", "Infinite Dreams (live)", "Killers (live)", "Still life (live)", "Listen with Nicko! Part 10". (I due singoli promozionavano la VHS live "Maiden England", registrata durane il concerto del Monsters of Rock di Donington 1988)

FEAR OF THE DARK - 1992
Il nuovo lavoro dei Maiden si presenta con il singolo "Be Quick or Be Dead", grande mazzata speed che, posta anche in apertura del disco, segna una specie di rinascita per la band. In realta' "Fear of the Dark" e' un lavoro un po' in bilico, dove risulta evidente lo sforzo di aggiornare e aprire il sound e il songwriting della band, ma dove si nota sempre di piu' la spaccatura tra lo stile di scrittura di Harris e quello di Dickinson, che trova in Gers (perfettamente amalgamato nella band) e nel suo chitarrismo quasi zeppeliniano il degno compagno di avventure. Purtroppo va detto subito che la produzione non e' delle migliori, e che lo stesso Bruce sembra aver perso molto smalto, riducendosi spesso a terribili vocals a paperetta. In ogni caso questo rimane un lavoro tutt'altro che da buttare: ci sono l'hard rock bluesato di "From Here to Eternity", l'affascinante e a suo modo progressiva "Afraid to Shoot Strangers" (modello per quasi tutte le canzoni successive dei Maiden), le oscure "Fear is the Key" e "Wasting Love" (una metal ballad in grande stile) e soprattutto la straordinaria e suggestiva title-track, a giudizio di chi scrive una delle migliori song scritte da Harris, con le sue atmosfere tenebrose. Non mancano i brani mal riusciti: "Childhood's End" ha un giro chitarristico affascinante, ma non sembra avere ne' capo ne' coda; "The Fugitive" e' una canzone orribile e banalissima, che non avrebbe dovuto mai essere registrata; "The Apparition" sembra piu' uno scioglilingua per il povero Bruce, anche se il ritmo zompettante ricorda qualcosa dei Led Zeppelin. Infine ci sono i divertenti hard rock di "Chains of Misery", "Judas Be My Guide" (scritte entrambe da Dickinson/Murray), brani magari non geniali ma coinvolgenti, e l'allegra "Weekend Warrior".
Con il nuovo tour gli Iron Maiden tornano da headliners a Donigtnon e fanno tappa anche in Italia per un memorabile Monsters of Rock dove, ne e' testimone chi scrive, suonarono un grande concerto senza lasciar fuori alcun classico. E intanto si prepara l'uscita di un nuovo disco live.
Da "Fear of the Dark" sono stati tratti i singoli di "Be Quick or Be Dead" (con l'inedita "Nodding Donkey Blues" e la cover dei Montrose "Space Station No.5"), "From Here to Eternity" (con le cover "Roll Over Vic Vella", rielaborazione di un classico degli ELO, e "I Can't See My Feeling" dei Budgie) e "Wasting Love".

A REAL LIVE ONE - 1993
Progettato come la prima parte di un doppio live e contenente solo brani della produzione post- "Live After Death" (per non obbligare i vecchi fan ad acquisti inutili), "A Real Live One" arriva sul mercato assieme a una notizia bomba: Bruce Dickinson lascia gli Iron Maiden per proseguire verso altre strade musicali. Il tour che accompagnera' il nuovo disco sara' l'ultimo con la band. I fan sono shockati, ma ancora piu' shockante sara' la pessima prestazione di Bruce durante il tour: evidentemente demotivato, fiacco e annoiato il cantante non offrira' certo una prestazione ottimale durante il suo farewell tour. In ogni caso il disco dal vivo non e' male: certo la produzione (opera di Harris) e' amatoriale, ma i brani sono tutti ben suonati e soprattutto esenti da pesanti manipolazioni. La partecipazione del pubblico e' formidabile e caldissima, ricreando la perfetta atmosfera di un contesto live. Tra le cose migliori troviamo una straordinaria versione di "Fear of the Dark" e anche molti brani minori (come "Tailgunner") acquistano dal vivo una carica in piu'. Stupendi anche gli estratti da "Seventh Son...", a testimonianza della qualita' di quel tanto bistrattato lavoro.
Da "A Real Live One" e' stato tratto il singolo di "Fear of the Dark" (con le live tracks "Bring Your Daughter to the Slaughter", "Hooks in You" e "Tailgunner").

A REAL DEAD ONE - 1993
La seconda parte del doppio live e' un CD dedicato alle canzoni classiche, registrate in parte durante il tour di "Fear of the Dark" e in parte durante il "Real Live Tour" del 1993, la cui scaletta, a sorpresa, includeva canzoni non piu' eseguite da lungo tempo e rispolverate proprio in occasione dell'ultimo saluto a Dickinson. "A Real Dead One" risulta quindi molto appetibile per tutti, sia i nuovi adepti della band che i fan della prima ora, che possono trovare motivi di interesse anche nel confronto con lo storico "Live After Death": purtroppo il nuovo live perde punti sul fronte della produzione, decisamente grezza per non dire confusionaria, e delle esecuzioni, stavolta non impeccabili. Pero' e' innegabile che l'ascolto delle antiche "Prowler", "Transylvania" e "Remember Tomorrow" (ben suonate da tutti e cantate discretamente da Dickinson) provochi qualche brivido lungo la schiena dei vecchi appassionati. Segnalo anche una versione incompleta di "Where Eagles Dare" e la solita, massiccia "The Trooper". Il trittico finale "2 Minutes to Midnight" - "Iron Maiden" - "Hallowed Be Thy Name", cantate a squarciagola da tutto il pubblico, e' pero' da vero infarto, il manifesto indistruttibile di una band nel male e nel bene immutabile.
Dickinson lascia la nave madre e il futuro sembra incerto...quale sara' la strada su cui Harris condurra' la sua band?
Da "A Real Dead One" e' stato tratto il singolo di "Halloweed Be Thy Name" (con le live tracks "Wrathchild", "The Trooper" e "Wasted Years").
Nota: i due dischi dal vivo di cui sopra sono stati recentemente ristampati in un'unica confezione con il titolo "A Real Live Dead One".

LIVE AT DONINGTON 1992 - 1993
Per chiudere i conti con le registrazioni dal vivo e dare il definitivo addio a Bruce Dickinson (definitivo fino al 1999 per lo meno), gli Iron Maiden fanno uscire un doppio dal vivo abbastanza pregevole, contenente le registrazioni del concerto che nel 1992 li vide headliners al mitico Monsters of Rock, svoltosi nell'immenso Donington Park. Il disco non raggiunge i livelli di "Live After Death", pero' e' decisamente superiore ai due "Real..." usciti quasi in contemporanea, sia per la produzione, sia per la grinta e la forza con cui suona la band, Bruce compreso, decisa a lasciare un buon ricordo ai propri fans accorsi numerosissimi. Ecco cosi' che la Vergine di Ferro propone piu' o meno un mix dei brani gia' apparsi sugli altri due live album appena pubblicati, mischiando vecchio e nuovo, per un totale di 20 brani. Mentre l'inizio del concerto (che comincia ovviamente con "Be Quick or Be Dead") e' affidato quasi solo ai pezzi piu' nuovi, con solo "The Number of the Beast" e "Wratchild" tra i pezzi del periodo vecchio (ossia prima di "Live After Death"), il finale e' tutto per i grandi classici del passato. Sono da notare oltre alle tre sopra citate, delle belle versioni di "Fear of the Dark", "Can I Play with Madness", della divertente "Bring your Daughter to the Slaughter", ma soprattutto una bellissima "Hallowed Be Thy Name" (nel periodo in cui uscirono i dischi la TV passava spesso un video di questa canzone tratto dai live della band).
In generale il prodotto e' buono, e considerando che, dopo il "Live After Death", la band, ha fatto solo tre dischi dal vivo, vale la pena di dare un ascolto a questo "Live at Donington", perche', a parere di chi scrive, e' il migliore.
Il disco usci' all'epoca in doppio cd, doppia cassetta (con una confezione alquanto spartana) e VHS (quest'ultima davvero degna di nota: realizzata con una tecnica particolare che alterna al normale filmato a colori anche il bianco e nero e girata con un sacco di telecamere; un ottimo acquisto), ma oggi e' stato ristampato con una diversa copertina che riproduce parzialmente il manifesto originale del concerto di Donington.

THE X FACTOR - 1995
Il nuovo singer dei Maiden e' annunciato nel febbraio 1994: non e' ne' Michael Kiske, ne' Joey Belladonna ne' (come vociferato) il povero Paul Di Anno. Nonostante audizioni con fior di cantanti (come Damian Wilson dei Threshold e il tuttofare John West), la Vergine di Ferro opta per Blaze Bailey, singer dei Wolsbane, band inglese di hard rock stradaiolo con gia' tre dischi alle spalle e una discreta esperienza live. Il buon Blaze sembra essere stato scelto piu' per la somiglianza con Dickinson che per altro, o almeno cosi' si dice...ma la prova del fuoco arriva un anno dopo, con questo "The X Factor" che segna una svolta abbastanza radicale nella band, a partire dal nuovo artwork firmato Hugh Syme. Bailey e' un buon cantante, ma inserito in un contesto musicale a lui alieno: se sui toni bassi la sua voce mostra inaspettate somiglianze con quella di Dickinson (ed e' dotata di un notevole magnetismo), quando le melodie richiedono strappi e tirate il simpatico inglese sembra sempre fuori tono e al limite delle sue capacita'. Insomma, Steve Harris continua a scrivere i brani a modo suo, ma stavolta non ha accanto un cantante capace di interpretare efficacemente le sue scelte melodiche. Questo penalizza non poco la riuscita del disco, per altro piagato da altri problemi: la produzione (di nuovo opera di Harris) e' molto soft e toglie del tutto il mordente alle chitarre, mentre la batteria sembra piu' volte un fustino vuoto. E poi il songwriting: ben cinque canzoni assumono la classica struttura alla "Halloweed Be Thy Name" (o meglio, alla "Afraid to Shoot Strangers"), che, se apprezzabile nel singolo episodio (in effetti i brani in se', non sono brutti) rendono il disco terribilmente ripetitivo e noioso: "Sign of the Cross" e' il brano meglio costruito, ma "Fortunes of War", "The Aftermath", "Blood on the World's Hands" e "The Edge of Darkness" sono uno la fotocopia dell'altro. "Man on the Edge" e' una buona fast song (ma sembra "Be Quick or Be Dead") ben cantata, "Judgement of Heaven" una canzone trascinante sullo stile di "The Evil that Men Do". Sono questi i brani migliori di un disco che registra pero' anche canzoni di una piattezza spaventosa, basti per tutte l'orrida "Look for the Truth".
"The X Factor" insomma lascia insoddisfatti sul contenuto e perplessi sul futuro della musica della band inglese. L' "X-FacTour" pero' registra un buon successo (nonostante gli evidenti limiti di Bailey sui vecchi pezzi) e Steve Harris afferma a piu' riprese di essere pienamente convinto delle scelte fatte. Peccato che sia l'unico a davvero pensarla cosi'.
Da "The X-Factor" sono stati tratti i singoli "Man on the Edge" (in due formati con le inedite "I Live My Life", "Justice of the Peace" e "Judgement Day", tutti ottimi brani rispetto alla media del disco) e "Lord of the Flies" (con le cover di "Doctor Doctor" degli UFO e "My Generation" degli Who).

BEST OF THE BEAST - 1996
Per riempire il tempo fino all'uscita del nuovo disco, i Maiden pubblicano una maxi raccolta che copre tutta la loro carriera; il disco esce sia in versione normale che in versione doppio-Cd. Per non rendere il disco superfluo ai fan di antica fede, la compilation contiene qualche chicca: le citate due tracce degli storici "Soundhouse Tapes", una versione dal vivo di "Afraid to Shoot Strangers" cantata (male) da Bailey e una nuova canzone, "Virus". Il brano, con le sue atmosfere prog che ricordano certe cose di "Seventh Son..." e' decisamente migliore di molte canzoni di "The X-Factor", e lascia ben sperare per il futuro. "Virus" esce anche come singolo, con l'aggiunta di due altre tracce classiche: "Sanctuary" e "Wrathchild", nella versione registrata per la storica compilation "Metal for Muthas".

VIRTUAL XI - 1998
Il secondo album con Blaze Bayley alla voce e' un altro mezzo fiasco, anche se il singolo europeo "The Angel and the Gambler" arriva nelle top 10 persino nel regno della techno, ovvero l'Italia. Si nota un miglioramento della produzione rispetto alla precedente release, ma anche un netto peggioramento nel songwriting, e la voce di Blaze convince sempre meno. Se da una parte troviamo un suono un po' piu' potente e degli assoli a volte davvero splendidi, e tecnicamente superiori a tanti assoli degli stessi Maiden dei tempi d'oro, ad opera del tanto criticato (non da chi scrive, va detto) Janick Gers, dall'altra si notano una schematizzazione delle canzoni che assumono la struttura "arpeggio iniziale - strofa - ritornello - strofa - ritornello - arpeggio finale" con pochissime varianti, un eccesso di ripetitivita' dei ritornelli fino all'ossessione e in generale poca fantasia nelle melodie e nei riff. Ci si chiede per esempio perche' la scelta di fare due versioni di "The Angel and the Gambler", quando gia' quella del singolo la si sopporta con un po' di sforzo, c'era davvero bisogno di mettere nell'album la versione completa di nove minuti?? Considerando poi che nei tre minuti in piu' viene ripetuta la stessa frase un'infinita' di volte... Insomma un lavoro che lascia davvero perplessi. Eppure non e' tutto da buttar via. In fondo c'e' anche del buono. Innanzitutto direi che il prezzo del cd e' giustificato solo dalla presenza della bellissima "The Clansmen", l'unica canzone davvero riuscita dell'album (che tra le altre cose cantata live da Bruce ha assunto ancora piu' fascino), e che dimostra che Steve Harris puo' ancora scrivere qualcosa di buono. Carine sono anche "Lightning Strikes Twice" e "Don't Look to the Eyes of a Stranger", ma la cosa finisce qui. Alla fine il capro espiatorio e' diventato proprio Bayley, che se da un lato ha effettivamente una voce non adatta agli Iron Maiden, dall'altro non ha certo la colpa di un songwriting scadente. La speranza e' che il ritorno di Bruce Dickinson e Adrian Smith porti nuove idee. Staremo a vedere.
Il singolo tratto da "Virtual XI" e' "The Angel and The Gambler", uscito in due versioni che abbinano differenti tracce Cd-rom dal vivo a versioni, sempre dal vivo di "Blood on the World's Hands" e "The Aftermath". Inoltre in Giappone e' uscito il singolo di "Futureal" che recupera come b-sides le due cover presenti sul singolo di "Lord of the Flies".

ED HUNTER - 1999
Inutile negare che gli Iron Maiden alla fine siano anche una grande macchina da soldi: d'altronde sono il gruppo metal piu' conosciuto e famoso, anche tra i non metallari. Comprensibile quindi che in tempi di Playstation e boom dei videogiochi anche la band inglese si facesse tentare dal colorato mondo virtuale, progettando un videogame con protagonista, ovviamente, Eddie, la mascotte di sempre. Dopo un referendum sul sito ufficiale della band sono state scelte le 20 canzoni piu' famose (che sono state riproposte durante il tour di bentornato a Bruce Dickinson) per potere fare da colonna sonora al gioco, uscito dopo molti ritardo. Peccato che il risultato alla fine sia davvero deludente: il gioco e' uno sparatutto staticissimo, quasi impossibile e parecchio noioso (a meno di non avere una bella pistola a raggi infrarossi da collegare al Pc), salvato solo da una grafica davvero eccellente che ritrae tutti i luoghi delle copertine dei dischi della band e dal fatto che qualcuno potrebbe trovare molto simpatico sparare a dei punkettoni come nel primo quadro. Comunque sia, "Ed Hunter" e' uscito in una versione triplo cd, dei quali uno dedicato al gioco e due alla colonna sonora, con i 20 brani scelti dai fans. Da evitare assolutamente a meno di essere dei supporters sfegatati della band.
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Alby, Amarth & Lorenzo
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