AXEL RUDI PELL - the masquerade ball
Aprile 2000
Axel Rudi Pell propone la sua formula al confine fra power e hard rock da piu' di una decina d'anni, senza contare la sua precedente esperienza negli Steeler, eppure dopo tanti album e innumerevoli cambi di formazione la musica del biondo chitarrista continua a coinvolgere ed entusiasmare e in passato ci ha regalato anche un paio di gemme. Alla base di un giudizio tanto positivo per un artista che in fondo altro non e' che un clone (di Blackmore ovviamente) c'e' una considerazione molto semplice: Axel conosce i suoi limiti, e non ne fa mistero. Questo fa di lui un personaggio molto simpatico, e fuga dalla sua musica tentazioni da eroe della sei-corde. Detto questo e' ora mio compito ingrato spiegare perche' "The masquerade ball" e' un capitolo sotto tono in questa storia.
Cominciamo dai pezzi, in particolare quelli meno elaborati: sono tutti tirati, con un bel chorus e un riff accattivante. Il problema e' che finiscono con l'assomigliarsi un po' troppo (Ma "Hot wheels" e' _davvero_ anche un altro pezzo!), scorrendo via senza rimanere piu' di tanto dentro l'ascoltatore. Manca cioe' la varieta' che aveva caratterizzato il precedente album, con quelle aperture melodiche che lo avvicinavano a certo rock radiofonico. Se poi li' l'arrivo di un nuovo cantante non aveva fatto rimpiangere il predecessore la stessa cosa non si puo' dire per il nuovo batterista. Terrana e' certamente arrivato a giochi fatti, con l'unico compito di suonare determinate parti gia' scritte, ma tutto sommato ci si aspettava da lui una prova meno scolastica; tanto piu' nel dover sostituire Jorg Michael.
In ogni caso i momenti migliori di "The masquerade ball" sono quelli piu' evocativi, a cominciare dalla title track, pezzo molto lungo come vuole la tradizione. Qui ai cori epici e all'incedere marziale si aggiungono alcune parti di archi a dare colore al tutto. Nulla che non sia gia' stato detto in contesti simili, ma anche in questo caso il risultato non annoia e non cade troppo nello scontato. Il mio brano preferito e' pero' "The line", una via di mezzo fra una ballad e un pezzo epico, con un crescendo d'atmosfera che ipnotizza e una grande prestazione vocale di Gioeli. E comunque c'e' anche la ballad, "The temple of the holy", degno preludio alla conclusione dell'album, affidata ad una cover: "July morning" degli Uriah Heep. A mio parere piuttosto ben fatta, non stravolge l'originale e ne mantiene quel sapore malinconico; l'hammond lo suona il solito Doernberg, praticamente l'unico al mondo (fra i "giovani") in grado di farlo. Certo la voce qui non riesce a competere con quella di Byron, ma adesso sono troppo di parte...
Quello che pero' e' difficile da rendere a parole e' la sensazione che in "The masquerade ball" manchi una buona dose di freschezza in termini proprio di ispirazione, che sia insomma un bell'esercizio di maniera. Ma in definitiva si tratta di un album ben fatto, con alcuni pezzi decisamente ottimi, lontano ,questo si', dai lavori migliori dello stesso Pell. Questo non scoraggi chi pensava di avvicinarsi ad esso, sicuramente ne varra' la pena, a patto naturalmente che poi corriate a procurarvi anche "Black moon pyramid" e magari proprio "Look at yourself" degli Uriah Heep.

VOTO: 1/1
Marco LG
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INFO:
Anno: 2000
Etichetta: SPV
Durata: 67.49 minuti
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