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Gli AC/DC sono una di quelle band sempre uguali a se stesse, che da sempre divertono e coinvolgono con la stessa formula. Sebbene negli ultimi anni la frequenza delle loro uscite discografiche sia notevolmente diminuita, questa regola aurea della loro carriera non e' mai stata infranta, e anche questa volta non lo sara'. Fatta questa premessa doverosa, affinche' sia chiaro cosa il nuovo album ha da offrire occorre ricordare che i cinque musicisti di cui stiamo parlando (ed in particolare i fratelli Angus e Malcolm Young, vere menti del progetto) calcano le scene da quasi trent'anni; sono insomma veterani, gente di esperienza, ma anche inevitabilmente di eta'. Se si tiene presente questo punto, fondamentale, non si puo' non ammettere come sia decisamente troppo pretendere da costoro la furia che caratterizzo' la loro storia ai tempi di "Back In Black" (1980). Ed infatti "Stiff Upper Lip" e' un album dal ritmo tranquillo, dove spesso canta piu' la chitarra di Angus della voce di Brian. E' fin troppo facile bollarlo come "moscio" e lavarsene le mani, e per questo non lo faremo, ma non si puo' nascondere che ci sono in esso episodi a dir poco imbarazzanti, dove la ripetitivita' sfocia nella noia e un ritornello diventa odioso gia' al secondo passaggio: "Hold me back" e "Can't stand still" ne sono ottimi esempi. Ecco allora il mio dilemma: l'album non mi e' dispiaciuto e si tratta di una band "storica", veri e propri dinosauri dell'Hard Rock diranno i piu' giovani, che pero' ha nel suo vastissimo repertorio prodotti decisamente migliori. Che fare? Sinceramente preferisco di gran lunga raccontarvi dell'energia che sprigionano canzoni come "Stiff upper lip", "House of Jazz" o "Come and get it" (titolo che ricorda i migliori Whitesnake, forse non a caso), piuttosto che soffermarmi troppo a lungo sui difetti, che pure innegabilmente ci sono. Un po' perche' sono un vecchio fan degli AC/DC, un po' perche' sento che tanta ostilita' in fondo questo disco non se la merita. Se volete e' il solito discorso: quando in giro c'e' tanta mediocrita' un album discreto diviene una manna! E in ogni caso, quando ci azzeccano questi cinque vecchietti sono ancora in grado di salire in cattedra: ascoltate ad esempio la conclusiva "Give it up", e vedete un po' se riuscite a tenere fermo il piedino o ancora meglio la testa. Perche' e' questo il loro segreto: riuscire comunque a divertire e magari regalare un paio di minuti di pura evasione, anche se la voce non e' quella di una volta, anche se certi cliche' sono un po' triti e, infine, anche se Angus in shorts e' sempre piu' ridicolo! Quella statuetta in copertina in effetti rasenta il patetico, e non riesce proprio a conferire alla cover l'aura di evocazione che aveva l'originale degli Uriah Heep ("Wonderworld"). Ma io forse non faccio testo, dato che quel coretto tanto semplice quanto stupido, accompagnato da quel giro di chitarra ruffiano ruffiano in "Meltdown" mi ha stregato...
VOTO: 1/1 Marco LG
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