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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
17 Dicembre 2007
TRENI, FENICI E FIABE

Ci avete mai fatto caso? Un viaggio in treno è paragonabile ad un concerto.

Ogni stazione è come una pausa tra una canzone e l'altra, e quando il treno si rimette in cammino, dapprima lento, poi sempre più veloce, è come assistere ad un brano che nasce, si evolve, cresce, ora accelera e ora rallenta. Un brano che respira, che vive con voi, tutto attorno a voi. E voi non siete altro che i passeggeri dentro il vagone, comodamente seduti nel vostro scompartimento, persi ad ammirare il paesaggio, o più semplicemente in piedi schiacciati da anime perse e sudate che come voi sono lì per assistere a quel magico concerto che si sta svolgendo su quelle rotaie sempre fin troppo trafficate.
A volte il viaggio tra una stazione e l'altra è troppo corto, oppure vi distraete e non riuscirete poi più a ricordare bene il paesaggio, persi come siete in una discussione con il vostro vicino di posto. Altre volte invece riuscite a farvi talmente trasportare da quello che state vedendo ed ascoltando, che quei cinque minuti diventano come come per incanto infiniti e si perdono in quel confine del tempo che prende il nome di Eternità. In treno si scontrano ed incontrano culture differenti, si amalgamo persone che altrimenti non avrebbero mai avuto occasione di incontrarsi, o più semplicemente ci si può lasciar cullare da quel dolce dondolio scandito dal ritmo tra una traversina e l'altra. Mentre l'orizzonte sfreccia via, lontano, sempre più distante, fino a scomparire dietro la linea del Mai più.

Certi viaggi, poi, sono infiniti. Salite su di un treno a lunga percorrenza, e le fermate diminuiranno sempre di più, fino quasi a scomparire. Il tempo tra una stazione e l'altra vi sembrerà una sorta di epopea greca, tali saranno le diversità che riuscirete a scorgere da quel finestrino sempre più incantato che vi separa dal mondo. Sarete talmente abituati a tragitti brevi che quel viaggio infinito assumerà tutte le sembianze e la consistenza di una magica esperienza di vita. E magari non baderete a piccoli dettagli come una frenata brusca del locomotore, o un'area brulla e tragicamente rovinata da un incendio troppo recente. Non farete caso al controllore che vi distoglierà dalla culla dei vostri pensieri, e ignorerete il pianto di un bambino lontano, talmente lontano che la carrozza vicina vi sembrerà come appartenesse ad un'altra vita. Non farete caso a tutte queste piccole imperfezioni, e vi lascerete soltanto cullare da quel viaggio eterno, lungo quanto basta per farvi chiedere "di più", lungo quanto basta per non essere abbastanza, lungo quanto basta per non ricordarne l'inizio ma non volerne la fine.

I Dresda hanno abbandonato i treni regionali per salire su carrozze a lunga percorrenza. Salite con loro. Sedetevi comodamente. Guardate fuori dal finestrino. E non lasciatevi intimidire da quella scritta "prossima fermata: più tardi", perchè rischierete di chiudere gli occhi e bendarvi di fronte ad un viaggio che merita veramente di essere vissuto. Venerdì 14 dicembre, al Nota Bene Live di Rapallo, sono salito su di un treno con un biglietto di sola andata, e mi sono perso nel fascino di quel percorso, di quelle note, di quella sola ed unica canzone. Quanto lunga? Abbastanza, non abbastanza.

Dopo di loro, come a risvegliare la coscienza e riportarmi sulla faccia di questa benevola terra, hanno calcato il palco gli Splindeparì, con il loro rock progressive rinato dalle ceneri dopo una lunga pausa. Come una buona fenice degna di tal nome, hanno presentato nuove composizioni e dimostrato di possedere la giusta linfa vitale, degna di un gruppo che merita sicuramente di uscire da quella morsa locale che ogni tanto sembra voler avvolgere realtà che esistono da tantissimo tempo. Una voce calda, a volte forse non perfettamente udibile ma comunque sempre presente, che nel poco spazio a disposizione usciva e colmava gli spazi, accompagnata da una batteria sempre sul punto di cambiare tempo e rompere le righe. E così faceva. Vi erano poi un basso, una chitarra ed una tastiera, che andavano a riempire ogni buco rischiasse di restare vuoto, danzando all'unisono e intrecciando melodie mai banali o scontate. Fino allo scoccare della mezzanotte.

Mezzanotte. Quando tutto sembrava finito, Hipurforderai ha regalato un assaggio della sua eclettica arte ad un pubblico seduto per terra e raccolto come un'unica entità, ancora assetata. Di musica. Di esperienza nuove. Di suoni. Di scarpette fiabesche che non verranno indossate da una principessa addormentata, ma fuse nella pressa della vita moderna per essere poi riciclate e utilizzate come apparecchi acustici da vecchie megere. Mezzanotte. L'avvento del ventunesimo secolo, che spazza via ogni frammento del passato per poi recuperarlo e stravolgerlo al suo interno come una nuova esperienza di vita vissuta. Di vita sognata. Di vita segreta e di vita suonata. Di vita finita. Mezzanotte. La musica è finita, andiamo a dormire in pace.

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