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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
10 Ottobre 1999
MOONSPELL - THE BUTTERFLY EFFECT

Il Gatto Fenriz entrò nel suo negozio di dischi preferito e cominciò a guardarsi intorno. Notò quasi subito il nuovo lavoro dei Moonspell, e ne chiese una copia al Sacro Pino.
"No, una schifezza del genere a te non la vendo", lo fulminò uno dei tre gestori di Ragnarok Records. Cosa poteva avere indotto il suo vecchio amico Dotto Pino a sconsigliargli quell'album con tali parole? Nonostante tutti i dubbi che cominciavano a germogliare nel suo tormentato animo, il Gatto Fenriz rincasò e si preparò all'ascolto.
"The Butterfly Effect", l'Effetto Farfalla. Al Gatto Fenriz erano sempre piaciute le farfalle, ma sapeva che in quel contesto gli insetti non c'entravano niente. Tale nome era infatti la spiegazione di un concetto scientifico secondo il quale un minimo cambiamento nell'ordine delle cose poteva portare ad enormi sconvolgimenti e variazioni impreviste. Una farfalla che sbatteva le ali a Pechino avrebbe potuto causare un temporale in Italia. Teoria. Al Gatto Fenriz interessava la pratica adesso, e indirizzo quindi le proprie sensazioni all'ascolto del disco.
"Soulsick" era il primo brano che apriva le danze, e iniziava a spiegare la realtà dei Moonspell nel 1999. Il progetto parallelo Daemonarch aveva lasciato i suoi influssi, soprattutto nel cantato di Fernando e in certe parti di chitarra e batteria.
"Butterfly fx", che dava il titolo all'intero album, era una canzone stoppata molto particolare, di sicuro impatto.
"Can't bee" era invece un brano lento (non una ballad!) con scoppi improvvisi tetramente epici.
"Lustmord" era invece forse la canzone più violenta dell'intero album, con delle percussioni che tiravano le funi di tutti gli strumenti e conducevano alla successiva... ..."Selfabuse", dominata da un pesantissimo basso, ricca di pause, rallentamenti e magiche atmosfere regalate da una grande tastiera.
"I am the eternal spectator" si faceva ricordare invece per essere industrialeggiante, col cantato di Ribeiro che strizzava l'occhio ai Fear Factory di Demanufacture e ai Type O Negative.
"Soulitary vice" (carino il gioco d parole) aveva una chitarra ipnotica che, come il ronzio di una mosca, gli entrava in testa e non usciva più.
"Disappear here" era forse il brano meno riuscito, una canzone lenta senza grossi spunti personali.
"Adaptables" era un'altra canzone stoppata molto particolare, e sicuramente trascinante.
"Angelizer" era invece l'essenza del sound Moonspell in questo disco. Cambi melodici frequenti, parti lente che diventavano violente per poi tornare lente.
"Tired" giocava molto col Requiem di Mozart, che faceva da intro alla canzone, ricompariva al centro e chiudeva le danze.
"K" era la canzone che chiudeva il disco ed era suddivisa in due parti: la prima, strumentale, era decisamente rilassante a tal punto da far sembrare di essere al centro di una giungla amica popolata da fantastiche creature; la seconda parte, invece, era una litania portoghese crescente anticipata da un lugubre suono di campane a lutto ed accompagnata ora da una caotica chitarra distorta ora da un organo inquietante.
Dovette confessare al proprio intimo di essere confuso. Il Gatto Fenriz seriamente non capiva che cosa non andasse in quel disco. C'era evoluzione sonora, c'era il recupero della cattiveria andata un po' persa in "Sin/Pecado", c'era... non c'era una canzone immediatamente riconoscibile. I Moonspell si stavano spostando verso scritture sempre più criptiche (sperava che non sarebbero diventate troppo rischiose...) ma così facendo non riuscivano più a centrare quelle perle di canzoni che erano riusciti a comporre in passato.
"Alma mater" e "Opium" erano ormai solo più un ricordo?
Il Gatto Fenriz miagolò, sperando che il vento gli portasse quelle risposte che tanto desiderava.

[Commento lasciato da Pazuzu il 26 Febbraio 2004]
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