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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
23 Aprile 2006
PIETRE

Sporche, lacere e grezze. Come tante parvenze di realtà appena svegliatesi dal torpore di un secolo di storia lasciva, siamo ancora qui. Sporche, lacere e grezze. Come se fossimo ricordi di un avaro in punto di morte, siamo state abbandonate nel nostro letto di malattia, e siamo state dimenticate. Sepolte nella sabbia, dove bambini ignari raschiano il fondo delle loro conoscenze con la plastica delle loro esperienze. Sepolte nella sabbia, come mausolei abbandonati nel vento di una collina al centro del mondo ma trasparente agli sguardi della vita. Sepolte nella sabbia, a ingrigire sotto gli occhi dei gabbiani che indolenti alle tempeste continuano la loro folle corsa contro le nuvole.
Una volta non eravamo così. Una volta eravamo come boccioli di primavera sotto il placido tocco di cotone di un naufrago assetato. Eravamo riverite da tutti, e nel centro esatto di quel pendolo fatato che è la tolleranza terrena. Eravamo lustre, bianche e linde, una volta. Poi è calato l’inverno. È calato come cala il sole, e le ombre della rovina si sono portate via tutte le certezze che ci avevano avvolto e cullato fino a quel giorno, fino a quel momento, fino a quel respiro. E da allora, siamo rimaste qui. Sporche, lacere e grezze. Sole.
Ora siamo dipinte dai poeti come se fossimo reliquie sopravvissute alle incurie del tempo, ma la folle verità è che siamo soltanto appassite nell’indifferente agonia di tutti, e nulla più. Non saranno parole di pietà a farci sentire migliori, a farci sentire differenti, a farci sentire ancora amate. Non saranno parole dettate dall’orgoglio a farci provare ancora quella gioia che abbiamo ucciso molti anni fa, quando siamo cresciute, quando siamo state dimenticate. Ora siamo così. Accettateci per come siamo. Lasciateci state. Lasciateci amare.

Voci attorno che bisbigliano numeri. Applausi di quella gioia che circonda avidamente un pensiero dannato dalle convinzioni terrene. Risa nude come l’anima di una triste medusa nell’oceano dell’espressione. Luci e parole che significano finta concentrazione per divertirsi con le parole di una ragazza intrappolata dalle abitudini appiattite dal sole. Grani di piombo che pesano sullo spirito come sorrisi di finti valori, corsi via nel colpo di coda di un’onda chiassosa. Basta.

Per fortuna la giornata è finita.

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