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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
20 Agosto 2005
GIORNO DUE – 10.37

Guardo il sole già alto, e sorrido.
Sento il silenzio che mi circonda, mi avvolge tra le sue calde spire, e ripenso alla giornata di ieri. Ho rivisto persone che non rivedevo da anni, e ricevuto sorrisi che non mi sarei mai aspettato. Ho trovato un grammo di pace nel paniere dell’estate, e non ne sono stato sopraffatto. Bello. Inizio adesso a programmare la giornata di oggi, solo per capire che devo interrompermi qui, adesso, prima di commettere un errore. Grave. Succederà quello che dovrà succedere, adesso non ci voglio pensare. Non voglio iniziare a vincolarmi tutto il giorno solo per avere un maledetto piano da seguire, come se fossi in una prigione per cui non si può far altro che aspettare i rintocchi del tempo che fugge via con la speranza mai ascoltata di superare anche solo di cinque metri quelle sbarre di acciaio che ci separano dalla vita reale, dalla vita quotidiana, dalla vita degli altri.
Si, perché è proprio la vita degli altri quella che noi maggiormente desideriamo, per tutta la vita. Invidia, rancore, malinconia, rabbia, apparenza, tutto ci smuove per riuscire a raggiungere i livelli di vita di qualcun altro, di un dio minore che noi abbiamo eletto come tale e che ci sembra irraggiungibile, ma a cui noi puntiamo ugualmente. Vogliamo questo, desideriamo quello, ardentemente speriamo di ottenere quell’altro. E per cosa, poi? Solo per dire di averlo raggiunto, per farcene vanto, e poi sceglierci un’altra meta da raggiungere, un’altra linea di traguardo da superare, un altro maledetto traguardo. Maledetto. Piango sorridendo per questa condizione del mio animo. Per l’ennesima volta, stavo confondendo le mie sensazioni con quello che credo sia l’intero genere umano. Do per scontato che quello che si muove nel mio cuore si agiti anche negli spiriti di tutta l’umanità, come a cercare una scusa per le mie azioni, una scusa per i miei pensieri, una scusa per le mie parole. Ma ecco la verità, eccola qua.
Non sono tutti uguali a me, per fortuna. Ci sono persone che non hanno bisogno di ritrovarsi ogni tanto con se stessi per rendersi conto degli errori che stavano commettendo e smettere di commetterli. Ci sono persone che riescono a fare la cosa giusta al momento giusto senza pensarci due volte, senza avere patemi d’animo che li accompagnano ogni singola ora del giorno. Ci sono persone che sbagliano senza avere la coscienza di sbagliare, e solo per questo la loro vita è infinitamente migliore della mia. Dio, che cosa sono diventato? Dio, che cosa vorrei diventare?
Vorrei avere la coscienza a posto, vorrei godere del potere divino del perdono, quando in realtà so benissimo che per certi pensieri non esiste e non esisterà mai una redenzione necessaria e sufficiente a farmi dimenticare tutto, a farmi dimenticare da dio e dall’uomo. Vorrei avere la coscienza a posto, ma so benissimo che non bastano quattro note di pianoforte soffuso a mondarmi lo spirito, quando il sole sta tramontando e stormi di gabbiani ritornano a casa con il cibo per i loro piccoli affamati. Non esiste redenzione per un animo che sa di peccare, e continuerà imperterrito a farlo, nella buona e nella cattiva sorte. Non esiste e non deve esistere redenzione per un dannato di vita che spera soltanto di cambiare in meglio e non ottiene altro che misere variazioni in peggio.
Guardo il sole già alto, e sorrido.
Sorrido per me, sorrido per te, sorrido per tutto quello che sono. È bello sapere di essere quello che si è, conoscere quello che si è rischiato di diventare e quello che non si diventerà mai. Ci si sente quasi superiori, a volte, con queste piccole gocce di conoscenza. Ci si sente quasi come dei, a volte, con questi piccoli barlumi di potere incondizionato sul proprio animo, senza cercare inutilmente l’appoggio di vuoti totem di vetro che potrebbero accompagnare l’esistenza di qualunque essere umano, quando invece tutto quello che cambierà sarà soltanto il nostro futuro.
Invidia la vita, o essere umano che tanto credi di avere ottenuto dai tuoi giorni. Invidia la vita, o essere umano che hai raggiunto la pace interiore a costo di chissà quale omicidio volontario. Invidia la vita, o essere umano dalla memoria tanto corta, così corta da averti fatto dimenticare il tuo stesso nome e la tua vera e propria essenza. Chi sei, cosa fai, dove vai. Non sono più domande, per il tuo corpo agitato. Non sono più domande, per come le intendevano gli antichi filosofi. Non sono più domande, ma sono diventate le tue risposte a tutto quello che non avrai mai il coraggio di chiedere, a tutto quello che non avrai mai la speranza di ottenere.
Ho la netta sensazione che il sonno stia cercando di cogliere di soppiatto, per l’ennesima volta, l’indomito brillare degli occhi di un bambino che neanche conosco e che vorrei fosse mio. Pensieri paterni. Ma per tutta la vita non potrò mai trovare la risposta che cerco. Non esiste soluzione a quell’enigma giurassico che è la mia vita, la tua coscienza, la nostra verità. Ed ecco che, ancora una volta, mi accorgo di fare confusione tra quello che sento e quello che immagino sentano tutti gli altri. È il segnale di fine corsa. È la bandierina abbassata sul traguardo di una pagina bianca colmata di inutili e fugaci impressioni. Non mi rimane altro da fare che alzare le mie dita e fuggire lontano. Lontano da me. Lontano da te. Lontano da queste inutili e fugaci impressioni.
Guardo il sole già alto, e sorrido.

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