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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
2 Febbraio 2005
LUDOVICO EINAUDI

Immaginate un cielo nero. Nero come un pozzo di petrolio. Nero come l'animo di un peccatore incallito. Nero come il nero più nero del nero.
E sotto questo cielo nero, gocce incessanti di pioggia. Gocce che cadono quasi benevole dal cielo, ma non è questo a salvarvi. Le gocce continuano a cadere, e sembrano seguire una melodia che, da dietro la vostra finestra, riuscite quasi a sentire. Non udite il suono di ogni singola goccia che cade, ma udite gli accordi che ne fuoriescono, e l'armonia che sembra pervadere la terra sotto quel cielo nero.
Voi siete in casa, ed è questo a salvarvi da quelle gocce, da tutte quelle note che avvolgono il mondo intero. Voi avete un camino acceso alle vostre spalle, che vi riscalda l'anima. Sentite provenire ogni tanto qualche sparuto colpo di tosse da una stanza alle vostre spalle, ma non gli date importanza. Passeranno. Ora state prestando tutta la vostra attenzione a quelle strane gocce. Vi siete fatti rapire da quell'immagine di minuscole partiture d'acqua che cadono dall'alto e finiscono la loro vita sbattendo sull'asfalto, sull'erba, sul cemento. Gocce destinate a portare sollievo a qualcuno, e allo stesso tempo far disperare qualcun altro. Gocce portatrici di riso e di pianto, gocce che possono rendere felice un bambino e far intristire un vecchio malato di vita. Gocce che sembrano quasi una metafora di vita, incessanti ed inesorabili come la sorte di una foglia avvizzita.
A tutto questo a tratti si unisce lui, il vento. Vento che accompagna quelle gocce fatate, vento che prende il sopravvento e sovrasta anche il rombo di un tuono lontano, vento che sembra salutare e ringraziare il cielo nero di averlo portato lì, quel giorno, ad accompagnare tutte quelle gocce che cadendo al suolo sembrano note impazzite gettate su di uno spartito ingiallito dalla mano di un musicista dimenticato dal tempo e dallo spazio.
Il caldo alle vostre spalle comincia quindi a scomparire, a svanire d’improvviso, come succede ai sogni non appena sopraggiunge la veglia. Vi siete accorti che quello che volete adesso, non è il caldo fittizio di un camino acceso. Non è un gatto che vi fa le fusa in grembo, mentre leggete il giornale. Non è un paio di pantofole calde ai piedi. No, non è niente di tutto questo.
Incredibilmente, adesso l’unica cosa che voi sentite di volere veramente è uscire fuori, e correre all’impazzata lasciandovi cullare da quel mare di gocce che vi circondano. Che vi sussurrano parole silenziose. Che vi ricordano che c’è anche il vento, lì vicino, a unirvi a loro. E voi vi lascerete accompagnare da quei dolci suoni, inconfondibili e irripetibili nella vana realtà quotidiana, quando il torpore della vita di tutti i giorni prenderà il sopravvento. Siete solo più voi e loro. Voi e le gocce. Accordi di gocce in maggiore. Gocce diminuite. Gocce e vento. Vento e gocce. E voi lì, in prima fila ad assistere a quell’incredibile e pacato concerto.

Il 31 gennaio 2005, al Carlo Felice di Genova si sono esibiti due musicisti.
Ludovico Einaudi, alle Gocce e Pianoforte.
Marco Decimo, al Vento e Violoncello.
Lasciatevi cullare.

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