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9 Ottobre 2014
IL GIARDINO DELLE PAROLE
Se Gabriele D'Annunzio non avesse scritto "La pioggia nel pineto"...
Se fosse vissuto circa un secolo dopo...
Se avesse visto qualche film di Hayao Miyazaki...
Se, se, se...
Domande ipotetiche a parte, il film d'animazione "Il giardino delle parole" di Makoto Shinkai è una vera e propria gioia per gli occhi e per la mente. Nonostante la breve durata [46 minuti comprensivi di titoli di coda], la pellicola colpisce immediatamente per l'uso dei colori e l'animazione degli sfondi. E non crediate a quanto potreste leggere su Wikipedia o su altri siti di informazione cinematografica, perché: i veri protagonisti sono le gocce d'acqua. Gocce che cadono dal cielo, gocce che disegnano laghi, gocce che aumentano il passo seguendo il riflesso delle figure umane e delineano ogni singola foglia degli alberi. La stagione delle piogge diventa una metafora per la descrizione dell'animo umano, quasi fosse una sorta di rifugio in cui ripararsi e coltivare i propri sogni.
Okay, nel film è narrata anche la storia di un uomo di 15 anni e una ragazza di 27, e di come le loro vite si intreccino nel ritmo cadenzato dell'acqua piovana. È ovviamente una storia triste, accompagnata da melodie di pianoforte che aggiungono grammi di mestizia alla già plumbea situazione, fino al climax finale in cui alle gocce di pioggia si aggiungono anche inevitabili litri di lacrime. E sarebbe una storia banale nel suo svolgimento e nella sua scontata conclusione, se non ci fosse quella cornice di gocce che, poco per volta, inizia ad espandersi sempre di più diventando la tela stessa su cui si poggia l'intero film. E che lo salva.
Sono sicuramente tre quarti d'ora spesi meglio che dedicando la propria attenzione a polizieschi italiani o gare di vallette. E se il 2013 ha visto la nascita di questa breve pellicola, non vedo l'ora che giunga il prossimo lavoro, sperando possa essere di più ampio respiro. Fino ad allora, cercherò una pura risposta effettiva alle mie nuove domande ipotetiche...
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