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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
27 Maggio 2009
ISTANTANEE DELL'EUROPA - PUNTATA 4

Silenzio.
Non succede che rare volte, ma ogni tanto il mondo intero ammutolisce. E quando succede, è sempre alla sprovvista. Sono istanti in cui l'unico suono che riusciamo a percepire è il battito del nostro stesso cuore, un battito che va ad unirsi al respiro che diventa via via più affannoso per lo stupore e la sorpresa. Fino a pochi istanti prima, ne siamo certi, potevamo percepire anche soltanto un ticchettio lontano o il semplice rumore del vento. Fino a pochi istanti prima c'era il ronzio di una zanzara all'angolo sinistro dell'orecchio che invano cercavamo di allontanare. Fino a pochi istanti prima eravamo nel nostro mondo, il mondo a cui siamo abituati, quello stesso mondo che ogni tanto ci rende perfino sordi. Sordi alla vita, sordi alla pietà, sordi alla gioia, o più semplicemente sordi e basta. Poi, d'improvviso, la svolta.
Silenzio.
Tutti i rumori spariscono, tutte le distrazioni si dissolvono, tutto il mondo si zittisce. Di colpo. E restiamo noi, solo noi, al centro di questo vuoto che ci circonda e ci abbraccia, ci avvolge e ci schiaccia. E' un silenzio talmente forte che ci sembra quasi di percepire un urlo dal più profondo della nostra mente, un urlo agghiacciante, un urlo fortissimo, un urlo lancinante. E' un silenzio talmente forte che riusciamo a percepire l'accavallarsi dei nostri pensieri, oramai liberi da qualunque restrizione, oramai privi di attrito e liberi di scivolare lungo le pareti del nostro più profondo essere. E l'urlo aumenta. E' un urlo di dolore, un urlo di rabbia, un urlo di coscienza. E' un urlo contro di noi e contro il mondo, quel mondo che mi ha abbandonato e lasciato in balia del mio sporco e lurido candore.
Silenzio.
Ci sono posti in cui i suoni sembrano essere proibiti all'ingresso, come se esistesse un buttafuori invisibile che impedisce loro l'accesso a quei paradisi perduti. Ma non sempre sono giardini incantati, non sempre sono luoghi che portano gioia e serenità. A volte quei posti sono diventati muti per le troppe urla che hanno udito in passato, e che ancora echeggiano nella nostra mente quando varchiamo la soglia che li separa dal resto del mondo. A volte sono posti dimenticati da tutte le divinità a cui potremmo pensare. A volte sono l'essenza del sonno cerebrale, l'assenza del suono primordiale. Impallidiamo, quando i nostri passi ci conducono in questi posti. Impallidiamo e ci immobilizziamo, dalla punta dei capelli alle radici che ci impediscono di muovere le gambe di un ulteriore centimetro. Impallidiamo e vorremmo andarcene immediatamente, ma dentro di noi sappiamo che non è possibile. Non è possibile, perchè quello che abbiamo davanti agli occhi è comunque un suono che dobbiamo imparare a conoscere. A percepire. Imparare a ricordare.
E' il suono del silenzio.



Quell'estate, uscito da Auschwitz, non riuscii a trovare frasi per descrivere quello che... quello... Imponente. Paura. Enorme. Capelli. Mattoni. Grida. Silenzio. Freddo. Urla. Aria. Mura. Traversine. Legno. Scarpe. Silenzio.
Parole, ma non frasi. E, ancora oggi, non ci sono affatto riuscito.

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