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Gennaio 2009
25 gennaio 2009
OMBRE
"Come prevedevo, autostrada deserta; sarebbe stato un viaggio stupendo, se non ci fosse stata nebbia: sembrava di guidare in una sala fumatori, con le strisce bianche per terra ad indicare i cessi... sarà stato per questo che a Busalla avevo già la vescica gonfia!"
Il viaggio è finito.
La nebbia sale da ogni parte, tessendo la sua tela di trasparente inconsistenza nel buio della notte. Le macchine scivolano attraverso di essa, lentamente, con tutte le luci disponibili accese, quasi vogliano tracciare un percorso invisibile che invece scompare dietro ogni curva. Dietro ogni albero. Dopo ogni galleria. La nebbia abbraccia silenziosa tutte quelle luci che appaiono e scompaiono, mentre dolci note allietano il viaggio dei pochi che pensano di mettersi in viaggio dopo mezzanotte, sperando nella clemenza del traffico. Che infatti arriva, ma con quella clemenza arriva anche lei. Di soppiatto, lei arriva senza avvisare. E tutto scompare immediatamente. Lei è venuta per ovattare tutto. Lei è venuta per spezzare le ombre che anche di notte faticano a scomparire. Mostrate rispetto. Inchinatevi, di fronte a lei. Prostratevi, di fronte alla nebbia.
E le ombre scompaiono, per cedere il posto a tutte le paure che tenete nascoste dentro il cuore. Le ombre spariscono, e a nulla serve cercare di illuminare a giorno quella grotta in cui vivete, quella grotta che vi dona sicurezza, quella grotta dalla quale osservate il mondo intero. Alzate invano tutte le luci che avete a disposizione, ma non serve a niente: più luce cercate di fare, più restate accecati dai vostri vani tentativi. Smettete quindi di proiettare su di me le vostre ombre, sperando che io mi comporti come agireste voi. Io non sono con voi in quella caverna piena di ombre in cui vi siete rinchiusi, e dalla quale proiettate tutte le vostre paure, le vostre speranze, le vostre ansie. Io non sono con voi, e a nulla serve credere che tutto il mondo sia paese. Palese menzogna. La gogna vi aspetta, nell'oscurità alle vostre spalle che striscia, e che si avvicina sempre di più.
Restate fermi. Immobili. Non cercate di muovere un muscolo. Anche aprire la bocca per sputare sentenze è un crimine in quella grotta, perchè le labbra producono ombre, e quelle ombre restano scolpite nella pietra e non svaniranno domani. Tra qualche anno, tra qualche centinaia d'anni, chissà, forse non saranno altro che polvere sul fondo di quel terreno roccioso, su cui altri piedi poggeranno e lasceranno le loro orme destinate ad arrugginire come già le vostre prima. Restate fermi. Ogni movimento non sarà altro che un tentativo di muovere quei fili da burattinaio che nemmeno possedete, e che vi rendono goffi come un cieco di fronte ad un cartello stradale. Immobili. E' l'unica speranza che vi resta, prima di essere giudicati e giustiziati dal tempo tiranno che non conosce pietà, il tempo che non si concede tregua. Restate fermi. Ovunque voi siate, respirate sottovoce: anche un sussurro è un grido per una pulce, e una pulce salta molto meglio di voi.
Tutte le macchine rallentano, in quella bianca illusione divenuta realtà. Le luci, tutte quelle luci che fino a qualche metro prima erano una traccia indiscutibile che mostrava il cammino da percorrere, diventano improvvisamente un unico alone indistinto. La nebbia avvolge tutto, e sembra voler rapire i colori verso il freddo cielo della notte, come se fossero una flotta di malsani marziani che abbandonano il pianeta dopo una cocente delusione. Nulla è come si aspettavano. Niente li ha soddisfatti, e a loro non resta altro che piangere. E così fanno, si abbandonano al pianto, un pianto silente e allo stesso tempo assordante. Sulle differenze che li separano da quel mondo che vorrebbero esplorare ma che non riescono nemmeno a comprendere. Sulle lacrime che fuoriescono dai loro corpi ma che rinnegano l'istante successivo che si sono frantumate in terra. Su loro stessi. Stanno abbandonando le speranze perchè non riescono a concepire quella realtà che per loro è aliena. Una realtà impensata. Un'ombra che si muove di vita propria, e senza seguire le loro indicazioni, i loro dettami, i pensieri che hanno sempre ritenuto corretti e che si sono rivelati corrotti. Lo spazio li attende, e sanno che non posso fare altro che tornare alla loro dimora. Non possono fare altro che rifugiarsi in quelle certezze che si sono costruiti ad anni luce da qui, e che qui non valgono. Non reagiscono ai loro stimoli. Non esistono. La strada di fronte a loro è ancora lunga, ma...
...il viaggio è finito.
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6 gennaio 2009
BEFANA
Tutto il mondo girava vorticosamente. Vampate di colori e suoni esplodevano tutte intorno, senza sosta, sotto il ritmo perenne di una danza antica di secoli. Le gambe sembravano volersi muovere da sole, ma la testa era troppo pesante. Troppo pesante. E quelle risate, quelle bocche spalancate, quelle file di denti marci che non conoscevano pudore e continuavano a brillare sotto la luce di un fuoco vivo, scoppiettante, che arrivava fino al cielo. Le ombre cercavano di ghermirla con il loro abbraccio incorporeo e palpabile al tempo stesso. Come si era trovata in quella situazione? Quando era cominciato tutto? Faticava a ricordarlo.
"Domani sera vieni alla festa nei boschi? Per te sarà una sorta di inizio."
Un invito innocente, una domanda a cui non poteva dire di no. E non era sua intenzione farlo, in tutta sincerità. Era sempre stata la sua passione, e adesso era stata invitata ufficialmente. Non vedeva l'ora. Corse a casa velocemente, e passò l'intera giornata a domandarsi se sarebbe stata pronta, cosa avrebbe dovuto dire e fare per non essere ridicola, per non passare per ingenua nonostante la sua oramai non più giovane età. Fantasticò con la sua mente su tutto quello che sarebbe potuto accadere, da quella sera in avanti. Forse non era ancora pronta, ma non le importava. Sarebbe stata all'altezza. Non avrebbe deluso nessuno.
E finalmente l'ora giunse. Arrivò sul posto con il suo carico di aspettative e di speranze, e si trovò di fronte una decina di anziane signore, come lei, che già stavano accendendo il fuoco. "Vieni, unisciti a noi." Iniziò ad imitare tutti i gesti che per anni aveva studiato solo sui libri, prese a fare tutto quello che facevano le sue sorelle maggiori. Spezzò un ramo, lo gettò in aria e lo osservò con cura mentre andava ad unirsi come per incanto a tutti quelli che già erano stati spezzati. "Tieni, bevi questo con me." Un invito di cui avrebbe volentieri fatto a meno, ma non era in condizione di rifiutare. Non quella sera. E quindi alzò il suo calice di legno e iniziò a brindare con una, poi con due, infine con tutte le streghe che si erano radunate lì quella sera per completare lo strano rituale dei boschi. La coscienza poco per volta la abbandonò, e non si accorse che tutte le altre figure avevano iniziato a danzare attorno al fuoco, e la stavano indicando deridendola. Doveva allontanarsi. Sentiva esplodere dentro di lei la sensazione di essere fuori luogo, di essere sbagliata. E a quelle dita puntate che ancora la indicavano, che ancora la deridevano, non potè fare altro che rispondere con un frase biascicata. "Beffa! Beffa naaah! Beffa! Beffa naaah!"
Si risvegliò di soprassalto. Era ancora in quella radura sperduta, tra gli alberi, tutta coperta di muschio e risate che ancora le risuonavano nelle orecchie. Il sole era già alto in cielo, e i suoi raggi illuminavano tutte quelle ombre che la notte prima le erano sembrate così tetre, così lunghe, così oscure. Che stupida. Si rese conto di essere stata solo presa in giro, e provò pena per quelle donne che avevano voluto giocarle un così brutto scherzo. Non le sembrava giusto, non le sembrava corretto, non le sembrava nemmeno lontanamente buono. E fu allora che prese la sua decisione: non avrebbe più cercato di far parte di quella congrega di streghe, dentro di sè sentiva che non era la sua strada. Lei era diversa da tutte loro. Si sentiva differente, speciale. Aveva capito la differenza.
Da quel giorno, invece di cercare di incutere timore nelle persone e godere delle sventure altrui, lei avrebbe cercato di premiare le anime candide. Non avrebbe più dedicato la sua vita a studiare malefici per far del male a degli sconosciuti, ma sarebbe stata virtuosa nonostante il suo aspetto da vecchia megera. E in ricordo di quella notte, sarebbe andata in giro per i paesi a portare doni ai bambini, le anime più pure al mondo.
Era il 6 gennaio. Era nata la Befana.
[Ispirato ad una leggenda ligure del medioevo]
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