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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
Ottobre 2008

29 ottobre 2008
CONTAINER

Ferro arrossato.
Grigio come il lento succedersi delle emozioni in un animo turbato, se ne sta lì, fermo. Immobile. Grigio e appassito come una stagione oramai giunta alla fine, che attende con ansia che torni il suo tempo. Se mai accadrà. La ruggine abbraccia tutte le sue scanalature, che sono state accarezzate negli anni da mani sempre diverse. Mani che lo hanno condotto in giro per il mondo. Mani che lo hanno cullato ed accudito, corroso e violentato, usato abusato e usato ancora. La ruggine lo ricopre con un calore inaspettato, e sembra che voglia ricordare a tutti che anche il più utile dei soprammobili ogni tanto si ricopre di polvere, e viene dimenticato quasi per caso. Fermo. Immobile.
Ferro battuto.
Ricorda ancora il giorno in cui fu riempito di medicinali, e venne mandato in un paese lontano in missione umanitaria. Si sentiva importante, si sentiva necessario, si sentiva fortunato. Si sentiva unico, ed indispensabile. Avrebbe fatto la differenza, forse, quel giorno. Un paio di ore di ritardo, e le conseguenze si sarebbero fatte sentire. Un paio di soste di troppo, ed il mondo non sarebbe mai più stato lo stesso. Si era sentito desiderato, atteso, benedetto. Poi tutto svanisce, ed era tornato alla vita di tutti i giorni, sballottato su navi di cui neanche ricorda il nome, verso destinazioni il cui ha perso il conto da quanto gli sono sembrate inutili. Tutto svanisce, e l'unica cosa che resta sono i ricordi di quegli istanti, di quei momenti, di tutti quei sorrisi che era riuscito a ricevere e a conservare per sempre nel suo cuore di freddo metallo.
Ferro bagnato.
Le gocce di questa pioggia di fine ottobre lo calpestano incessantemente, ora dopo ora, senza sosta. Senza concedere riposo, senza conoscere pause. Le gocce gli mostrano la pianura tutto intorno a lui, dove giace abbandonato a se stesso, in balia di un'erba che cresce sempre più prepotente tutto intorno a lui, e lo avvolge facendogli il solletico e sfiorandolo alle fondamenta. Non c'è più un futuro per lui, non visiterà più nessun posto. La sua vita è oramai giunta al termine, e il lento succedersi del sole che ora si alza e ora tramonta non è altro che una prolungata agonia, un dolore senza fine. Il suo destino è oramai segnato, e non potrà più fare ritorno a casa, se mai ne ha avuta una. Se mai ne è esistita una che potesse considerare tale.
Ferro arrugginito.
Guardo quel container che giace lì, immobile. Fermo. Guardo quel container e non posso che provare invidia per la vita piena che ha lasciato ad altri che continueranno il suo cammino, ad altri che lo imiteranno, a chi lo sostituirà. Guardo quel container e dimentico tutta la stanchezza che mi assale in queste ore, perchè capisco che non ha senso provare tristezza per lui, così come non vale la pena fermarsi a riflettere sulla durata dell'esistenza di una farfalla. Il destino ha scelto per lui il cammino che più gli sarebbe stato congeniale, e non ci sono rimpianti abbastanza grandi che cambierebbero il suo stato attuale. E' sereno, in pace con se stesso, e ricorda con onore tutti i passi che lo hanno condotto fin lì, fino a quel prato, fino a quei singoli fili d'erba che lo cullano e lo accarezzano senza sosta. E' felice della sue crescita, è soddisfatto delle sue esperienze, così come del suo declino ed infine della sua morte. Non sta fermandosi a contare le gocce che gli crollano addosso, non si sta colpevolizzando per ciascuna di esse. Non sta piangendo per i mille sbagli che potrebbe aver commesso nel corso del suo eterno errare. E' sereno, e non chiede nulla più.
Distolgo lo sguardo e mi allontano dalla finestra, vergognandomi per me stesso. Per i miei pensieri, per i miei rimpianti. Erro arrossato. E' l'imbarazzo per i miei pensieri più ignobili, per i miei desideri che giaceranno inesauditi nel tempo. Erro arrugginito, quasi vinto dalle intemperie del succedersi del tempo. Erro bagnato per la stanza, promettendo a me stesso che mai più camminerò sotto la pioggia piangendo.
Ma non erro battuto.
Ero perso, e sono rinato. Anche se mi sembra di essere fermo, anche se ho la sensazione di restare sempre immobile. Ero vinto, e mi sono destato. Ho raccolto le mie certezze e le ho disperse al vento, infrangendole sui fianchi di quel container inanimato, che è più vivo di me.
Ero battuto. Ora non più.

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