Twitter
LinkedIn
Google+
YouTube
Facebook
Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
Febbraio 2000

12 febbraio 2000
MY DYING BRIDE + THE GATHERING - RAINBOW (MILANO)

La serata non iniziava nel migliore dei modi. Il Gatto Fenriz aveva saputo solo alla fine che gli OPETH non avrebbero suonato quella sera, e ne era veramente dispiaciuto. Un po' perché il loro ultimo lavoro era veramente eccelso e un po' perché li aveva sempre seguiti con particolare interesse, fatto sta che quando erano venuti a mancare aveva pianto lacrime amare. Ma non intendeva rovinarsi il concerto per un motivo così banale.
Il primo gruppo a calcare il palco erano quindi stati i THE GATHERING, capitanati dalla bella e brava vocalist Anneke Van Giersbergen. Le danze si erano aperte con le note di "liberty bell" tratte dal loro ultimo album, e subito erano diventate palesi le caratteristiche di questo gruppo olandese.
Anneke aveva veramente il dono di stregare la folla sottostante, con i suoi movimenti suadenti (anche se a volte sembrava che andasse a caccia di Farfalle in mezzo ad enormi Prati Verdi...) e la sua incredibile voce. Era proprio questo il punto di forza del gruppo: le canzoni non perdevano niente rispetto alla versione in studio anzi, rendevano forse ancora più giustizia al successo del gruppo...
L'unica pecca erano certi problemi all'impianto audio, che facevano fischiare il microfono in determinate canzoni causando una più che evidente ira di Anneke nei confronti dei tecnici del suono... problemi che sarebbero rimasti un po' per tutta la serata...
Era così trascorsa più di un'ora tra le note di "strange machines" ed "eleanor" prese dal primo album con la cantante, passando per "on most surfaces" e "nighttime birds" fino ad approdare all'ultimo disco di cui era stata presentata anche la canzone più lunga (ben 27 minuti!!!) "how to measure a planet?" senza scordare ovviamente la strana e distorta "probably built in the fifties". Un'esperienza più che positiva per un gruppo che oramai non doveva dimostrare più nulla.
Lo stage dei Gathering non era ancora terminato quando il Gatto Fenriz si era diretto verso il bar del Rainbow per rinfrescarsi la gola e aveva così scoperto, con suo grande stupore e inenarrabile gioia, che i MY DYING BRIDE si stavano dissetando al banco in mezzo alla folla. Scambiate due parole con Aaron (facendo anche due fusa, ma si sa, i Gatti un po' ruffiani lo sono...) era tornato verso il concerto in atto e aveva aspettato con ansia l'inizio del gruppo inglese.
E dopo solo una mezz'ora di pausa, ecco finalmente salire sul palco i My Dying Bride, nella loro attuale formazione di ben 6 musicisti. Oltre alla voce, le due chitarre, il basso e la batteria, faceva infatti parte del gruppo una tastierista che aveva preso l'ingrato compito di colmare il vuoto creatosi con la mancanza del violinista.
L'inizio era stato scandito dalle note di "she is the dark", canzone apripista anche dell'ultimo album e, ragazzi, quella si che era potenza. Il suono dei MDB era veramente cupo (colpa dell'acustica del luogo?) ma allo stesso tempo sprizzava potenza e cattiveria allo stato brado, coinvolgendo anche i presenti venuti solo per il concerto dei Gathering.
Non erano mancate ovviamente canzoni vecchie, come ad esempio "cry of mankind" e la stupenda "a kiss to remember", ed erano solo state dimostrazioni di classe e virtù.
Mancava il violino, era vero, ma l'istrionismo di Aaron che si contorceva, soffriva e gemeva sul palco riempivano anche quei minuscoli buchi che si sarebbero potuti venire a creare.
Un'ora circa di canzoni, decisamente troppo poco per questa grande band. La serata era finita verso le 22.30 quando, in attesa di salire sul tour-bus per tornarsene a casa, i My Dying Bride si erano soffermati tra i fans vogliosi di autografi, foto, strette di mano e anche solo frasi di compiacimento. Umili e sinceri, i MDB non avevano cercato di evitare tutti coloro che venivano verso di loro, dimostrando ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, chi erano stati i veri leader della serata.

Commenti (3)



10 febbraio 2000
THERION – DEGGIAL

Il cielo era plumbeo, l'aria fredda e minacciosa. Si sentivano già i tuoni rimbombare in lontananza. Tutto lasciava presagire che un uragano fosse imminente, quando... d'un tratto il cielo si aprì, e il sole tornò a splendere su quegli enormi e pacifici Prati Verdi stracolmi di Cagnolini.
Questa era la sensazione che persisteva nell'animo del Gatto Fenriz all'ascolto del nuovo disco dei Therion. L'album di per se gli piaceva molto, ed era anche il suo preferito da un po' di tempo a quella parte, ma era come se ci fosse una nota stonata in tutta quella partitura.
Le canzoni continuavano la strada iniziata con "Theli" e proseguita con "Vovin", cioè mostravano una controparte orchestrale imponente e mai banale. In più in questo lavoro Christofer Johnsson (il chitarrista, la vera anima dei Therion) aveva riacquisito un po' di quella grinta che mancava nel disco precedente. Che poi questo portasse a rifarsi al Metal Anni '80 era innegabile, e in certi episodi la melodia sapeva paurosamente di deja-vu (tanto per fare un piccolo esempio, il riff centrale di "eternal return" rimandava a "mother russia" dei Maiden...) e quindi perdeva un po' in freschezza.
In totale erano 11 brani di media durata, finalmente registrati con l'aiuto di un'orchestra vera. Già in passato Christofer si era fatto aiutare da una sezione di archi, ma stavolta era presente anche una sezione di fiati e di percussioni, che amalgamava ancora meglio il suono e regalava gioiellini come "via nocturna" e "ship of luna".
Proprio "ship of luna" era poi uno degli episodi che più incuriosiva il Gatto Fenriz. Questa canzone, come anche la title-track "deggial", mostrava una parte melodica e positiva che non si era mai riscontrata nei precedenti lavori dei Therion, ed era come una ventata di aria fresca in una stanza buia ed ermeticamente chiusa. Portava con se una sensazione di pace, che lo rimandava a quei famosi Prati Verdi e Cagnolini.
Ma non doveva soffermarsi su quel lato... doveva essere obiettivo ed andare avanti.
I cori, in passato affidati quasi esclusivamente a voci femminili, in questo lavoro avevano una degna controparte maschile che contribuivano a dare una maggiore maturità e anche, perché no, facevano rimpiangere un po' meno la mancanza di un cantante vero e proprio.
Lacuna che comunque veniva colmata in "flesh of the gods" dove alla voce era presente Hansi Kursch dei Blind Guardian che rendeva il pezzo molto più heavy: la canzone iniziava come un classico anthem dei Guardian, ma subito dopo si evolveva tramite un riff anni '80 in qualcosa di veramente unico.
Era inutile... più ci pensava più il Gatto Fenriz non voleva trovare difetti i quel lavoro... forse veramente i suoi giudizi stavano andando peggiorando di giorno in giorno...
All'improvviso si rese conto di una cosa. C'era effettivamente una qualcosa che non gli piaceva in quel disco... qualcosa che lui avrebbe voluto fosse la parte migliore ed invece era riuscita come la peggiore...
L'album si concludeva con "o fortuna" di Carl Orff tratta dai Carmina Burana ma reinterpretata e riarrangiata... e, ad ascoltarla bene, era come un pugno nello stomaco. Non bastava Waldemar Sorychta alla chitarra acustica a innalzare al cielo un brano che invece strisciava e faticava anche solo ad alzare il capo... non bastava l'epicità presente nel brano originale che qui mancava quasi totalmente. Tutto questo non bastava. Era come se i Therion avessero dimostrato che quello non era il loro album capolavoro, ma solo un piccolo passo verso qualcosa che doveva ancora venire.
E questo piaceva al Gatto Fenriz. Un po' perché si era accorto che poteva ancora essere obiettivo, e un po' perché adesso non gli restava che mettersi in attesa del loro prossimo disco, sapendo che lo avrebbero stupito come sempre, regalandogli un album magari non eccelso, ma sicuramente originale e fresco...
I Therion erano come il suo nipote preferito, questo era un dato di fatto, e adesso non vedeva l'ora che, dopo i primi passi, fosse venuto il giorno in cui avrebbero imparato a camminare... e poi a correre...

Commenti (1)



10 febbraio 2000
THE GATHERING – SUPERHEAT

C'era bisogno di questo disco? Questa era la domanda che continuava a risuonare nei neuroni impazziti del Gatto Fenriz mentre ascoltava i The Gathering. Si era convinto da poco che il disco dei Sentenced cresceva con gli ascolti, e gli dispiaceva. Raramente si era sbagliato.
Dopo 5 album e altrettanti singoli, i Gathering avevano fatto uscire questo live, con 6 canzoni su 10 prelevate direttamente dal loro ultimo lavoro. Non mancavano certo i gioiellini del passato, a partire da "strange machines" passando per "nighttime birds" e finendo su "sand and mercury", tutte rese molto interessanti e aggiornate alla nuova dimensione in cui era entrato il gruppo olandese... ma qualcosa ancora non gli tornava.
Il disco era bello, orecchiabile, melodico come in fondo erano sempre stati da quanto era arrivata Anneke alla voce... registrato bene, dimostrava come i Gathering fossero un gran gruppo che anche dal vivo dimostrava che la classe non è acqua.
Era anzi un disco che avrebbe consigliato a chi non avesse mai ascoltato niente del gruppo, dato che sintetizzava perfettamente quello che erano stati e che erano adesso... ma che cosa lo turbava allora?
Non era la bonus-track contenente il video di "eleanor" in CD-ROM, e non era nemmeno il corposo booklet pieno di belle foto live...
Forse era solo un tarlo... il dubbio... la certezza di essersi già sbagliato una volta in una valutazione... il timore di poterlo fare di nuovo... ma non poteva essere questo il caso! Qui non c'era niente che stonava, non una nota era fuori posto, non un passaggio era inutile o scontato. La musica forse non era immediata, ma quando mai i Gathering erano stati immediati? Un gruppo dalle potenzialità pressoché infinite, tant'era vero che i cloni non si potevano oramai più contare su una mano...
Ma allora perché si sentiva così? Solo il dolce suono di "probably built in the fifties" risvegliò il Gatto Fenriz dal suo torpore e lo scosse. Lo aspettava il compito più duro. Faccia a faccia con la sua paura di prati verdi e cagnolini, ripose "Superheat" nella sua custodia e si preparò psicologicamente...

Commenti (1)



10 febbraio 2000
AS DIVINE GRACE – SUPREMATURE

Aspettava questo disco come si aspetta un nipote alla fermata dell'autobus quando si è già nonni... con molta apprensione. Il Gatto Fenriz era stato letteralmente rapito dalle composizioni del loro precedente lavoro "Lumo" (datato 1997), e questa era sicuramente la prova del nove per gli As Divine Grace.
Melanconica, triste e oscura, che non a caso spesso ricordava certe canzoni degli indimenticati e indimenticabili The 3rd And The Mortal, la musica si allargava nella sua mente al dolce suono della cantante Hanna Halske, istrionica conduttrice di questa onirica fabbrica di suoni. Le dieci canzoni che componevano il disco non lasciavano immediatamente una traccia dietro di se come avevano fatto nel loro lavoro precedente, ma avevano cominciato a stringersi a spirale, lentamente, attorno al suo animo finché non lo avevano conquistato totalmente. Non era una musica chiara e tonda, era piuttosto una parabola ascendente che puntava al cielo senza attraversare alcuna nuvola.
Non riusciva a scegliere una sola canzone che rappresentasse degnamente il disco, da quanto era stato rapito dai suoni. Riusciva solo a ricordare alcuni scoppi di chitarra, seguiti a ruota da lenti sconvolgimenti sonori che portavano a... cosa?
Avantgarde Metal... se proprio voleva definire in qualche modo quello che sentiva questo era il modo migliore... voleva dire tutto e allo stesso tempo niente... Chitarre ora pesanti ora sognanti, voce un po' triste e un po' calda, senza che mai si capisse quando iniziava una parte e finisse l'altra. E su tutto, la musica di questi 5 finlandesi che riuscivano a capire l'origine delle emozioni stesse e a tramutarla in musica.
Sublime. Ma non per tutti.
Il Gatto Fenriz spense lo stereo e mise via il disco sullo scaffale. Allungò una delle sue zampette pelose e ne afferrò un altro... e la sua paura da nonno alla fermata dell'autobus crebbe nuovamente. Dopo i Sentenced e gli As Divine Grace, lo aspettava ora un altro nipotino...

Commenti (1)



10 febbraio 2000
SENTENCED – CRIMSON

PAZUZU: L'ansia mi attanagliava, ero in preda agli spasmi... aspettavo questo disco come si aspetta un vecchio amico che non si vede da un po' di tempo, quando si ha paura che l'intesa che si era raggiunta sia venuta meno. Ma non era stato così. I Sentenced erano sempre gli stessi.
GATTO FENRIZ: A dire il vero il disco all'inizio mi era parso un po' piatto. Canzoni monotone, senza quella grinta che aveva contraddistinto i vecchi lavori di questo gruppo finlandese. E anche la voce non mi sembrava dare il massimo di se, con tutte le sue limitazioni ovviamente...
PAZUZU: Più il disco avanzava più mi accorgevo che cresceva dentro di me, diventava più epico, nonostante non fossero presenti quegli anthems tipici di album quali "Amok" e "Down"... ma d'altra parte erano passati 5 anni...
GATTO FENRIZ: In altre parole ero come deluso da questo disco. Mi sembrava che le idee iniziassero a scarseggiare a Tenkula & C., e che nonostante tutti i loro sforzi le canzoni uscissero tirate e per nulla spontanee e genuine.
PAZUZU: E che cosa dire della canzone "Killing Me Killing You", il vero pezzo forte del disco, con quel suo inizio pianistico da brividi e lo scoppio improvviso delle chitarre, sempre nei canonici timbri Sentenced, con quella NWOBHM decadente mischiata ad un death senza growls... non per niente la canzone era stata scelta per il primo singolo estratto dall'album e anche per il video presente sull'album.
GATTO FENRIZ: Non potevo non chiedermi che cosa sarebbe successo al gruppo se a suo tempo il vecchio singer Taneli Jarva non se ne fosse andato e non fosse arrivato al suo posto questo Ville Laihiala, la vera palla al piede dei Sentenced. Era come sentire un James Hetfield senza iniziativa che saltellava da un brano all'altro rendendoli simili l'uno all'altro... una noia! Non volevo arrendermi all'idea che un gruppo così promettente si stesse rovinando con le sue stesse mani, ma che altro potevo fare oramai?
PAZUZU: Dopo "Frozen" avevano intrapreso una strada più intimista, costruita su canzoni meno immediate a chitarre a volta più acide rispetto agli anni passati, più pause nel dipanarsi delle singole composizioni. Ma restavano sempre loro, con quella voglia di melodia, quei brani quasi ruffiani che ti rimangono in testa se non dal primo almeno dal terzo ascolto, quella finta immediatezza e quei testi tristi, melanconici e tetri. Era possibile perdersi nella musica dei Sentenced, e ritrovare la strada era veramente arduo. You've lost yourself in me... in me...
GATTO FENRIZ: Cercavo dentro di me e la soluzione era lì, a portata di mano, finlandese pure lei...

Commenti (1)


ULTIMI COMMENTI

05/08: My BEST 10 ALBUMS
05/08: My BEST 10 ALBUMS
13/07: Ipse dixit
13/07: Cipolla
13/07: Ezio e le Scorie Lese
13/07: Cipolla
13/07: Cipolla
24/01: Cipolla
24/01: Cipolla
30/05: Ciambelle
30/05: Ciambelle
14/03: Ipse dixit
19/01: Steganografia Metallorum
03/01: Professioni
03/01: Professioni
27/11: PENDULUM
24/11: Professioni
19/07: Nevermore
19/07: Nevermore
30/12: Math

DOWNLOAD ZIP

Antro del Fato: 1, 2, 3, 4
Control Denied: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10
Control Denied 2: 1, 2, 3
Imagine 7D: 1, 2, 3, 4
Le sole 24 Ore: 1
Lupus: 1