ORANGE GOBLIN - the big black
Giugno 2000
Giungono al terzo disco gli inglesi Orange Goblin, compiendo forse il passo definitivo verso la maturazione stilistica. Dopo lo scivolone del precedente "Time Travelling Blues", il quintetto di ubriaconi con il vizio della musica pesante si rimette prontamente in piedi e confeziona un disco potente e trascinante, che mostra una decisa personalita'. Le coordinate musicali non sono assolutamente cambiate: la band continua a proporre un hard rock pesantemente influenzato dai Black Sabbath, mescolato a una forte dose di psichedelia di marca Hawkwind/Pink Floyd. Ma se nei lavori precedenti il gruppo faticava a mettere insieme brani variegati, finendo per annoiare, per questo "The Big Black", invece, la coppia di chitarristi Joe Hoare & Pete O'Malley, ha dato fondo a tutte le sue capacita'. Le canzoni sono infarcite di di riffs su riffs, cambi di tempo, passaggi groovy, atmosfere spaziali, crescendo chitarristici con il wah-wah protagonista: la tensione e' sempre alta, l'interesse rimane sempre vivo. Giusto risalto va dato sicuramente anche del lavoro del produttore Billy Anderson (gia' con Melvins, Sleep, Neurosis e altri), che regala alla musica una potenza e brillantezza sonora fin'ora latitanti. Insomma, se una volta gli Orange Goblin potevano sembrare una versione piu' rockeggiante dei Cathedral, adesso sono piu' vicini ai Fu Manchu di "In Search Of..." e riescono a coinvolgere bene l'ascoltatore. Tra i brani che mi hanno favorevolemente colpito citerei l'accoppiata iniziale formata da "Scorpionica" e "Quincy the Pigboy", un vero concentrato di energia elettrica, e poi anche "Cozmo Bozo" (con efficaci spunti orientali-narcolettici), l'ipnotica strumentale "You'll Never Get to the Moon in That" e la cadenzata title track, in cui fa capolino lo spirito piu' doom della band. Non male anche "Hot Magic, Red Planet", con una psichedelica parte centrale. Dal punto di vista strumentale tutte le tracks sono davvero interessanti, mentre diverso e' il discorso riguardante l'operato del cantante Ben Ward, unico limite di questo album fresco e "vivo". Lo stile monotono del singer non riesce a donare alle canzoni alcuna ulteriore sfumatura, tant'e' che dal punto di vista vocale i brani finiscono un po' tutti per assomigliarsi, cosa che potrebbe annoiare l'ascoltatore meno attento.
In conclusione, quest' album ha molta piu' carne al fuoco di quello che sembri e richiede parecchi ascolti per essere pienamente apprezzato. Per i fans della band, "The Big Black" sara' sicuramente fonte di nuovo piacere sonico. Se non conoscete gli Orange Goblin, questo disco rappresenta il punto di partenza ideale.

VOTO: 1/1
Lorenzo
INFO:
Anno: 2000
Etichetta: Rise Above/Music For Nations
Durata: 48.19 minuti
Homepage: Rise Above
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