Nella seconda meta' degli anni ottanta da Los Angeles parte un nuovo
fenomeno, una rivoluzione del modo di intendere il glam. Il nuovo
stile verra' presto ribattezzato "street" a intendere la sua
provenienza dai bassifondi e la carica di rabbia che questo comporta.
Capostipiti del genere sono senza dubbio i Guns 'n' Roses di Axel
Rose e Tracii Guns; ma questa formazione e' destinata da subito
all'instabilita' e ben presto Tracii abbandona la barca per mettere
in piedi un suo progetto, gli L.A. Guns appunto. Il primo omonimo
album e' del 1988 e contiene una carica tale da collocarlo
indelebilmente tra i grandi lavori del metal in genere. La formazione
e' stellare: alla voce troviamo l'ugola d'oro Philip Lewis, alle
chitarre oltre a Tracii Guns c'e' Mick Cripps (quest'ultimo anche
alle tastiere), e la sezione ritmica e' data da Kelly Nickels (basso)
e Nickey Alexander (batteria).
Un disco cattivo, forse non particolarmente potente ma
dall'adrenalina decisamente elevata. L'opener "No mercy", veloce e
graffiante, e' un grido di battaglia; ritrovarsi a cantare (o urlare
semplicemente) il ritornello e' un attimo. Ma attenzione, qui non ci
sono melodie catchy, o ritornelli melodici, la forza di questo album
sta' proprio nell'impatto, tanto che la ballad "One way ticket"
sfugge alla regola del mi-sciolgo-per-te e anzi graffia da fare male.
Non e' un caso insomma che nel retro di copertina la band si presenti
armata fino ai denti! Una produzione grezza, a tratti anche troppo,
alimenta il clima stradaiolo che scaturisce da ogni solco di questo
vecchio vinile. Canzoni molto veloci dal cantato urlato straripante
liriche trasgressive, con assoli al fulmicotone. La prima facciata
non da' tregua: "Sex action" e' sensuale, "One more reason" e'
desolante ("Gimme one more reason to die!"), "Electric gypsy" e'
disturbante e "Nothing to lose" e' rabbia allo stato puro. La side B
e' sempre carica di tensione, ma questa viene stemperata al meglio
dalla strumentale "Cry no more", delicato arpeggio di chitarra
accompagnato da cenni di orchestrazione; intro alla successiva "One
way ticket" di cui si e' gia' detto. Merita pero' certamente di
essere ricordata anche la conclusiva "Down in the city", un po'
perche' si tratta di un pezzo davvero coinvolgente, un po' perche' in
essa troviamo tutti i cliche' del genere, dagli stacchetti per
aumentare la tensione alle armoniche a bocca ai campacci!
Divertentissimo notare come certe soluzioni fossero in effetti degli
stereotipi...
Lavoro in ogni caso maiuscolo, frutto probabilmente di frustrazione e
di voglia di rivincita, in fondo come moltissimi altri nel metal;
album cosi' gli L.A. Guns non ne faranno altri, perdendosi alla
ricerca del successo e quindi della melodia facile facile, fino
all'inevitabile scomparsa negli anni novanta. In definitiva quello
che vi sto' presentando e' un disco che all'epoca aveva le stesse
potenzialita' di "Appetite for destruction", riscoprirlo oggi, finita
l'ubriacatura per la band di Axel Rose, e' un atto dovuto.