Curioso come le cose cambino col tempo, anche nel fantastico mondo dell'hard&heavy. Dieci anni fa il death metal era vituperato da gran parte del pubblico metallico: musicisti incapaci, rumore senza senso, fissazioni horror da teenager pieno di brufoli...quante ne abbiamo sentite? Critiche che, col senno di poi, suonano davvero ingiuste, perche' e' innegabile che molta della musica piu' interessante giunta alle nostre orecchie in questi anni sia nata proprio per mano di (ex?) death metal bands. E' bastato che i giovani musicisti di un tempo crescessero un poco, ampliassero le loro vedute musicali e comprendessero l'infinita varieta' di espressioni che abbraccia il mondo del Metallo per giungere a risultati notevolissimi. Amorphis, Sentenced, PanThyMonium, Death, Entombed, Gorguts, Therion e tante altre formazioni ci hanno regalato dischi spesso esaltanti, sperimentali, capaci di suscitare reazioni estreme e radicali divisioni tra i fan della prima ora e i sostenitori della direzione innovativa. Gli olandesi Gorefest fanno pienamente parte di questo movimento e il qui' presente "Soul Survivor" e' innegabilmente un lavoro controverso e ibrido, ma proprio per questo pieno di fascino.
Per stessa ammissione del leader Jan-Chris De Koeijer, "Soul Survivor" nasce dal tentativo di fondere con le radici estreme dei Gorefest un nuovo campionario di sonorita' prese dagli anni Settanta; non c'e' esempio migliore di questa volonta' che l'opener "Freedom", pazzesco incrocio di potentissimo hard rock, chitarre sature, ritornello orecchiabile, ritmo incalzante e vocione gutturale, il tutto mescolato in una calda atmosfera quasi southern-rock: un brano che puo' ricordare l'operato di Zakk Wylde e che, sicuramente, ha anticipato di diversi anni alcune soluzioni della scena stoner (chi ha detto Roachpowder?). "Heart-Soul-Fire", recita una scritta nel libretto del CD, e mai parole furono piu' azzeccate per descrivere gli altri brani pulsanti e sanguigni che compongono il disco. Si va dai coinvolgenti up-tempo di "Dog Day" e "Chamaleon" al riff accattivante (e alquanto familiare) della divertente title-track, per giungere all'inarrestabile ritmo di "Demon Seed" con il basso in primo piano; proprio le quattro corde, accompagnate da un efficace uso dell'organo hammond (quanto mai originale in ambito estremo), dettano con autorevolezza il passo delle canzoni migliori: "Forty Shades" picchia duro nello stomaco, prima di un finale chitarristico infarcito di wah-wah; "River" recupera riff e ritmi al limite del death metal, in un'atmosfera quasi orientaleggiante, poi cambia all'altezza dell'assolo entrando in uno stacco che ricorda qualcosa degli ultimi Cathedral; infine la ritmata "Electric Poet" si contraddistingue per bellissime parti di chitarra pienamente influenzate dai Pink Floyd di "Animals" (l'assolo!). E se "Blood is Thick" rimane l'unico brano non proprio riuscito, con il suo andamento quasi alla AC/DC brutalizzati, la finale "Dragon Man" porta con se' un'atmosfera inquietante dettata dal riff scandito e dall'oscuro contrappunto di tastiere. Tutta da godere poi e' la ghost track...
Provate a indovinare che fine hanno fatto i Gorefest...nonostante un buon tour europeo e un fantastico ulteriore lavoro ("Chapter 13", del 1998), si sono sciolti nell'indifferenza generale. Un destino che ha spesso accomunato i gruppi piu' coraggiosi. Eppure, nel generale revival delle sonorita' "stonate" che contraddistingue questi tempi, piu' di un appassionato del genere potra' trovare pane per i suoi denti. Date una seconda possibilita' a questi figli bastardi di Entombed e Deep Purple!