"I had so much to say / But no words to speak"
E' difficile parlare di questo nuovo disco dei Fates Warning. Una parte del problema e' che con la band del chitarrista Jim Matheos esiste un'affinita' particolare, una vicinanza emotiva che e' nata molti anni fa sulle note dello stupendo "Parallels". Un altro aspetto sta nel fatto che "Disconnected" e' a tutti gli effetti un lavoro sfuggente, multiforme, indefinibile e complesso, vicino e allo stesso tempo lontano da quanto la band ha prodotto fin'ora, saldamente proiettato verso scenari musicali futuri. Cosi', a tre lunghi anni di distanza dal capolavoro "A Pleasant Shade of Grey" (maestosa prova di equilibrio tra tecnica straordinaria e sconfinata intensita' emotiva), i Fates Warning si ripresentano con una manciata di canzoni che sfidano le categorie e le semplificazioni musicali parlando direttamente al cuore con una forza e una lucidita' che non ha eguali.
Non e' mai mancato il coraggio a questa band. E il coraggio e' allontanarsi dagli stereotipi del prog metal, da tutto quanto fatto in precedenza e cercare nuove strade, pur mantenendo inalterata la fondamentale inquietudine che contraddistingue il miglior metallo. "It's all the same if nothing changes", recita un verso dei nuovi brani: mai verita' e' stata messa in pratica con maggiore convinzione come in questo disco. Le sonorita' si espandono, arricchite da tastiere oscure e tecnologiche (grande la prova di Kevin Moore agli arrangiamenti), le strutture dei brani si dilatano e si fanno piu' imprevedibili, fluide, mentre la chitarra di Matheos perde i toni metallici per acquistare nuovi colori spaziali e ipnotici, liberandosi degli orpelli del chitarrismo ipertecnico. A questo va aggiunta l'incredibile fantasia che anima la sezione ritmica (l'intesa tra Mark Zonder e Joey Vera ha decisamente del sovrannaturale) e la magistrale prova di Ray Alder alla voce, ormai maturato oltre i confini del semplice metal singer e per la prima volta coinvolto anche in maniera sostanziosa nella composizione dei testi. Bene, a questo punto torna il dilemma iniziale...cosa dire di questo disco? Puo' bastare una semplice descrizione delle tracks per trasmettere la mutevole gamma di sensazioni che l'ascolto provoca? E'difficile, ma ci proviamo comunque, cominciando dall'ipnotico lamento di chitarra che marchia la prima parte della title-track, prima di sfociare nella coinvolgente "One": ritmiche complesse, atmosfera quasi alla Porcupine Tree, ritornello stupendo: basta un minuto per capire che i Fates Warning sono tornati e che la loro lezione non ha ancora alcun degno erede. Nella cadenzata "So" la combinazione chitarra/tastiere costruisce un'atmosfera oscura e sottilmente opprimente, lontana pero' dalle pesantezze del classico mid-tempo metal. "Pieces of Me" e' forse il brano piu' nel classico stile FW per andamento ritmico, anche se le tastiere quasi techno danno un sapore tutto nuovo alla canzone, che potrebbe essere citata come ipotetico esempio di "metal del domani". Dopo questi semplici assaggi (la parte piu' diretta del disco), "Disconnected" entra nel vivo con la straordinaria "Something from Nothing", dieci minuti intensissimi e assolutamente anticonvenzionali: un crescendo che parte da una lunga intro psichedelica, prima di sfociare in un minaccioso mid-tempo e in un ritornello di una bellezza davvero sconvolgente. Di nuovo, mancano le parole: questa canzone viene da un altro pianeta, e si proietta verso altre galassie. Unico punto di riferimento opportuno e' quanto fatto da Devin Townsend nel progetto Ocean Machine. Ma, badate bene, si parla solo di sensazioni: "Something from Nothing" e', a tutti gli effetti, un saldo manifesto del futuro dell'heavy metal. Si puo' superare un tale capolavoro? Il gruppo ci prova - e fallisce il bersaglio solo di un pelino - con la seguente "Still Remains", una lunga suite che rielabora nella nuova ottica moderna certe sensazioni del disco precedente, senza per questo risultare mera scopiazzatura: Matheos crea l'ennesimo capolavoro di tristezza e introspezione, il pathos titanico di Alder e la prestazione maiuscola di tutta la band (con il professor Zonder che impartisce le sue lezioni di batteria) lasciano sinceramente senza fiato, mentre la musica sembra riallacciarsi vagamente a quanto fatto dai Rush nella loro fase piu' tecnologica e futuristica. O meglio, come ha detto qualcuno: "Questo sembra un pezzo dei Rush del 2010". Non poteva esserci definizione migliore. Con la seconda (e altrettanto inquietante) parte della title-track, apocalittica visione di un malinconico mondo lontano, si chiude questa enigmatico lavoro, ennesimo sigillo di classe di una band unica. "Disconnected" e' un'album di enorme spessore e i Fates Warning continuano a dettar legge: il loro personalissimo discorso musicale, distante (e' proprio il caso di dirlo) anni luce dai cliche' e dalla mediocrita', ci offre uno squarcio di quello che sara' il futuro della "nostra" musica. Sta a voi adesso affrontare il varco...