I Cohiba sono una giovane rock-band toscana che, dopo anni di gavetta e di esperienze live, e' giunta (quest'anno) alla fatidica prova del demo autoprodotto. Registrato professionalmente a Firenze presso il Planet Sound Studio, il cd possiede un suono davvero ottimo e pulito, sintomo che (probabilmente) la band non ha badato a spese per trasformare in musica la proprio ambizione.
"Un cuore migliore" e' un album composto da otto tracce (intro compresa) di rock italiano ottimamente confezionato e arrangiato, sulla scia dei Timoria di "Viaggio senza vento" e "2020-Speedball", dischi che hanno segnato un ideale punto d'incontro tra l'approccio tipicamente nostrano alla musica e la freschezza innovatrice dei piu' importanti gruppi stranieri. I Cohiba non sono sterili imitatori, sia chiaro. Infatti e' evidente che la palese l'influenza dei Timoria (ma chi non inizia ispirandosi a qualcun altro?) non ha negato al gruppo la possibilita' di esprimere la propria personalita' e e le proprie idee, spesso vincenti. Dopo una breve intro il disco entra nel vivo con l'accattivante e sbarazzina melodia di "le le", con l'ottimo Edo alla voce in perenne bilico tra dolcezza e psicosi, e prosegue con la bellissima "La rosa" (il pezzo migliore, a mio giudizio), languida malinconia inframezzata da brucianti accelerazioni, vicine ad un certo hard rock di stampo anglosassone. Tra l'altro la canzone e' splendidamente arrangiata, e quel piano che fa timidamente capolino nel bel mezzo del chaos e' molto piu' di una buona trovata. Sezione ritmica sugli scudi per la successiva e tirata "Underground" (con una lode particolare per la tecnica sbalorditiva del giovanissimo batterista Gabriele), mentre "Povera regina" e' cupa e perversa nonche' ricca di pathos e tocchi magici.
La delicata melodia di "Risveglio" (rock sinfonico?) esplode in un ritornello incisivo e accattivante, e la seguente "Uomo superficiale" ruba un riff agli anni '70 e lo trasforma in un pezzo rock moderno di grande efficacia (molto belli certi passaggi di basso e da urlo gli stacchi di batteria) con il refrain che sa adagiarsi su morbide tastiere. Il demo si chiude con la distante e coraggiosa melodia de "Il mio pensiero", di certo non brutta ma forse inferiore alle precedenti, probabilmente l'unico (mezzo) passo falso di un lavoro intenso e sentito, con almeno un paio di tracks che non nascondono i proprio intenti radiofonici (il che non e' necessariamente un male, anzi). Un disco vivace e fresco da parte di un gruppo che ha le potenzialita' per crescere ancora. Provare per credere.