Massiccio. Cosi' si presentava al primo impatto il nuovo album dei Cemetary 1213, ed il Gatto Fenriz ne era pienamente soddisfatto. Seguiva il gruppo da quando si chiamava semplicemente Cemetary, e aveva continuato ad interessarsene quando avevano cambiato nome in Sundown, pubblicando quel noto capolavoro di "design 19".
"The beast divine" apriva adesso il massacro con "the lighting / firewire", canzone che chiariva l'evoluzione subita dal gruppo capitanato da Mathias Lodmalm nel corso degli anni: chitarre distorte e aggressive che danzavano attorno alle vocals ora screming ora pulite che sfociavano nel distorto e filtrato in alcuni passaggi. La matrice era chiaro metal svedese, della scuola che aveva partorito i Tiamat di "Clouds" e sicuramente ispirato anche i primi Sentenced. A tutto questo in alcune canzoni erano state aggiunte parti elettroniche che non snaturavano affatto il suono ottenuto, impreziosendolo anzi con nuove trovate e anthems che entravano nella testa per non uscire piu'. Brani trascinanti, guidati spesso e sovente da una batteria fuori dalle righe che intrecciava il ritmo con riffoni di chitarra da cardiopalma.
Ma non tutti i brani erano iperveloci; alcuni presentavano pause riflessive e cadenzate che avrebbero fatto muovere la testa anche ad un profano. E inoltre come si poteva dimenticare "antichrist 3000", una composizione ambiziosa che ricordava i Samael di "Passage", con le sue linee industriali, e andava oltre proponendo uno sconvolgente ritornello filtrato-urlato...
Il metal proposto dai Cemetary 1213 in certi momenti strizzava l'occhio anche a certe nuove mode new metal, ma senza inutili pacchianate o trovate commerciali. Che cosa si poteva chiedere ancora?
"The beast divine" era solo il primo atto di una trilogia musicale che avrebbe impegnato il gruppo negli anni a venire. Il Gatto Fenriz aspettava fiducioso.