Con questo "No Visible Scars" esordiscono discograficamente gli Area 54, quartetto inglese di cui fino ad oggi ignoravo completamente l'esistenza. Heavy metal piuttosto robusto, con tocchi dark, pesantemente influenzato dalla tradizione metallica della madrepatria. Questa in sintesi e' la proposta musicale della band, che presenta notevoli somiglianze con quanto prodotto da un altro gruppo britannico, gli ormai disciolti Dominion. E, proprio come i Dominion, anche gli Area 54 non riescono ad accendere particolari entusiasmi con la loro musica. Certo, le prime due tracce, "You See the Light" e "Where to Hide (Suicide)", con le chitarre maideniane e il ritmo incalzante, lasciano un'impressione abbastanza positiva nell'ascoltatore, nonostante un cantato non particolarmente incisivo. Ma e' un fuoco di paglia, perche' altrove, invece, l'originalita' latita: brani come "And the Last Embrace", la strumentale "Missing Time" o "Futile Dream", risentono platealmente dell'influenza dei Paradise Lost (quelli di "Icon" e "Draconian Times") e, in pochi frangenti intricati, del death metal melodico alla In Flames. Riferimenti importanti, ma sia chiaro che gli Area 54 non raggiungono assolutamente il livello qualitativo dei suddetti gruppi. Manca completamente l'atmosfera inquietante e cupa che contraddistingue il metallo in chiave oscura, e i brani non trasmettono alcuna carica emotiva; forse e' colpa della voce monotona e poco espressiva, ma non sono poche neppure le ingenuita' compositive: basta ascoltare le chitarre acustiche della citata "Futile Dream" e l'incipit di "Overload" (rubati rispettivamente a Paradise Lost e My Dying Bride), o l'inutile stacco tastieristico di "...13 Shades of Insanity", con un imbarazzante assolo di batteria. Canzoni davvero insipide, per di piu' affossate una produzione "ballerina" (ne risente piu' volte la sezione ritmica), curata - guarda caso - da Simon Efemey, gia' collaboratore di innumerevoli gruppi gothic-metal europei. Non sono male invece gli spunti classico-metallici tra Savatage e Iron Maiden in "Parasitic", pur in un contesto musicale stereotipato, e la piu' aggressiva "The Face of all your Fears", dove fa la comparsa anche il cantato growl che, forse, avrebbe meritato di essere assoluto protagonista di piu' di un brano.
Insomma, gli Area 54 alla prima uscita ufficiale mancano abbastanza il bersaglio e, vista la competitivita' del mercato attuale, sara' difficile per loro conquistarsi un posto al sole con queste premesse. Gli spunti discreti da sviluppare in futuro ci sono (buon esempio in questo senso e' anche "Time Takes no Pain"), ma non mi sento di consigliare questo disco se non agli inguaribili aficionados di sonorita' metallico-darkeggianti.